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2022-04-08
Via subito le mascherine ai bimbi: fanno male
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Sempre pronto a ventilare nuove restrizioni, o a prolungare le esistenti, sull’obbligo di utilizzare le mascherine al chiuso, il ministro della Salute ha messo le mani avanti. «Dopo Pasqua vedremo cosa fare dal primo maggio in avanti», è stato l’incoraggiante annuncio. Sottinteso, anzi già anticipato, se la curva epidemiologica non sarà scesa ai livelli che solo Roberto Speranza ha in mente e non comunica, rimarremo imbavagliati fino a inizio estate.
Quasi certamente, il dispositivo di protezione delle vie respiratorie resterà obbligatorio nelle scuole per chi ha compiuto i 6 anni. La scusa sarà che manca poco al termine delle lezioni di metà giugno, meglio non rischiare focolai in classe. Così, nelle scuole dell’infanzia, dove i piccoletti over 6 sono costretti a mascherare il volto, aumenteranno le difficoltà respiratorie, ma anche i ritardi nello sviluppo sociale e linguistico, come riportano i due studi, uno inglese l’altro spagnolo, dell’articolo sottostante.
«Se ci fosse, effettivamente, una utilità collegata a una necessità, che è quella di impedire che il contagio possa di nuovo divampare, allora si deve sicuramente continuare a tenerle», ha dichiarato Antonello Giannelli, presidente dell’Anp, l’Associazione nazionale presidi. «Mi rendo conto del fatto che ci sono dei numeri», dei contagi Covid, «in risalita», tiene a precisare il dirigente scolastico, «quindi, una certa attenzione credo sia necessaria e doverosa. Preferiremmo tutti tenere le mascherine in classe un mese e mezzo in più, che non sopportare conseguenze peggiori dopo».
Se è comprensibile l’uso prolungato di questi dispositivi su mezzi di trasporto pubblico, dove il distanziamento risulta inattuabile, del tutto inutile appare l’obbligo a oltranza in aula. Soprattutto per gli scolari che, se si infettano, hanno una percentuale di rischio estremamente bassa di avere complicanze dal Covid, al contrario rafforzano la loro immunità e non sono pericolosi veicoli di contagio in famiglia, visto che il 92% degli italiani si è vaccinato. Con questo virus dobbiamo imparare a convivere, meglio allentare restrizioni inutili quanto dannose per le fasce di età più giovani. Di tutt’altro avviso è, come sempre, Walter Ricciardi. «Le mascherine sono un presidio importantissimo e, purtroppo, finché avremo varianti così contagiose, vanno tenute, soprattutto all’interno, ma anche all’esterno», ripete instancabile il consulente del ministro della Salute.
Contrario alle riaperture, avrebbe tenuto tutti con super certificato verde e semaforo a colori per le Regioni. Le sue previsioni sono all’insegna del catastrofismo: «Ci dobbiamo preparare mentalmente per una battaglia di lunga durata che non finisce con l’emergenza giuridica», ha scandito. «Tutti gli aspetti, vaccinazione, green pass, mascherine e comportamenti saggi vanno tenuti, e il Paese deve prepararsi a una battaglia di lunga durata». Se un italiano su dieci continuerà ad indossare la mascherina, anche dopo la fine dell’obbligo, secondo una ricerca promossa dall’associazione Donne e qualità della vita, convinto che «ci sarà una recrudescenza della malattia molto presto e che il Covid non sia vinto per niente, almeno nel 77% dei casi», decisamente più ottimista appare il sottosegretario alla Salute Andrea Costa.
Ha detto, infatti, di «ritenere ragionevole pensare che, il 1 maggio, le mascherine non saranno più obbligatorie, neppure al chiuso, ma piuttosto raccomandate», perché «a oggi sussistono le condizioni per raggiungere questo obiettivo». Non esclude «l’ipotesi di mantenerle al chiuso», in situazioni particolari come, appunto, treni, metropolitana, aerei, ma il sottosegretario non ha fatto cenni all’uso continuato nelle scuole.
La decisione, se sarà presa in tal senso, nascerà ancora una volta dalla determinazione di Speranza di rinviare il ritorno alla normalità, condizionando, di conseguenza, la cabina di regia a esprimere un parere per l’uso a oltranza. Saranno penalizzati gli studenti, ancor più gli scolari e i bimbi della materna che hanno compiuto i sei anni, costretti a non togliersi la mascherina «di tipo chirurgico, o di maggiore efficacia protettiva», nemmeno al caldo di giugno.
Due mesi fa, alcuni illustri virologi, pediatri, esperti di malattie infettive e di disagi psichici di diverse università statunitensi, hanno messo a punto una sorta di vademecum per genitori e insegnanti dal titolo Children, Covid, and the urgency of normal. Un invito a ritornare al più presto alla normalità per la salute dei bambini. Raccomandano di evitare l’uso prolungato delle mascherine in classe che, assieme ad altre restrizioni, «aumentano la paura e trasmettono l’idea, errata, che le scuole non sono sicure». Affermano che «i bambini non sono un pericolo», esortano a non trattare i piccoli non vaccinati in modo diverso. Invito che, in Italia, si fatica a comprendere, meglio far partire le multe da 100 euro per gli over 50 che non hanno ancora offerto il braccio. I primi 200.000 avvisi sono già in viaggio, pare che le Poste prevedano 100.000 spedizioni al giorno.
«Ritardi nel fare amicizia e parlare»
Lunedì, l’Office for standards in education, children’s services and skills (Ofsted) ha pubblicato gli esiti di un’indagine condotta tra il 17 gennaio e il 4 febbraio scorsi, in 70 strutture per l’infanzia, del Regno Unito. Il report afferma che le misure adottate per combattere il Covid, compreso l’uso di mascherine, da parte degli operatori, che impediscono la capacità dei bambini di decodificare le espressioni facciali, hanno colpito i piccoli nel loro sviluppo sociale e linguistico. L’autorità di supervisione scolastica britannica ha osservato che i bimbi hanno, spesso, difficoltà a fare amicizia e parlare. Sono stati rilevati un «vocabolario limitato» e «l’incapacità di reagire ai movimenti facciali più semplici». I ritardi nello sviluppo del linguaggio hanno comportato problemi di socialità, dal momento che «non entravano in contatto con altri bambini nel modo previsto».
La qualità del rapporto con le maestre non è affatto buona per i piccoli che hanno compiuto due anni questa primavera, tanto quanto è durata la pandemia, e fino a oggi «sono stati circondati da adulti con maschere, quindi, non potevano vedere i movimenti delle labbra e le posizioni della bocca», perdendo un’importantissima forma di comunicazione, affermano gli ispettori che hanno effettuato i controlli.
Per aiutare i piccoli a recuperare il ritardo, alcuni membri del personale hanno ricevuto una formazione aggiuntiva sullo sviluppo del linguaggio.
Molti bambini sono risultati più timidi e ansiosi nell’affrontare i coetanei, perché non abituati ad altri volti. Per insegnare loro a esprimere i sentimenti, alcuni asili hanno introdotto le «carte delle emozioni», immagini di bimbi che mostrano diversi movimenti facciali. Invece di poter guardare i loro amichetti, sono costretti a riconoscere le emozioni su pezzi di carta. Il rapporto di Ofsted indica, tra le ripercussioni sullo sviluppo, un ritardo di molti nell’imparare a gattonare e camminare. A volte avevano anche bisogno di aiuto per vestirsi o soffiarsi il naso, a un’età in cui avrebbero dovuto essere in grado di farlo da soli.
Margery Smelkinson, esperta di malattie infettive, assieme ad altri due ricercatori statunitensi, aveva pubblicato a gennaio su The Atlantic un intervento circa la non utilità delle mascherine a scuola. Partendo dalla considerazione che «solo due studi randomizzati hanno misurato l’impatto delle mascherine sulla trasmissione del Covid, e nessuno includeva bambini», la dottoressa affermava che «imporre a milioni di bimbi uno strumento di protezione che fornisce scarsi benefici riconoscibili, sulla base del fatto che non abbiamo ancora raccolto prove concrete dei suoi effetti negativi, viola il principio più elementare della medicina: primo, non nuocere. Il fondamento degli interventi medici e di sanità pubblica dovrebbe essere che funzionino, non che non abbiamo prove sufficienti per dire se sono dannosi».
Mascherine controproducenti, quando non dannose, ma anche poco utili. Lo afferma uno studio condotto in Spagna, con finanziamenti ministeriali, in 1.900 scuole della Catalogna e pubblicato a marzo. Dopo aver messo a confronto mezzo milione di bimbi tra 3-5 anni, non obbligati alla mascherina, e quelli di fascia 6-11, con l’obbligo, è arrivato alla conclusione che i dispositivi di protezione facciale nelle scuole non erano associati a una minore incidenza o trasmissione di Sars-Cov-2, suggerendo che questo intervento non era efficace.
I ricercatori non hanno riscontrato che il tasso di incidenza o la trasmissione del virus fossero significativamente inferiori tra i bimbi obbligati a tenere un dispositivo di protezione in classe, rispetto ai minori di sei anni, che potevano rimanere a volto scoperto. Quique Bassat, pediatra ed epidemiologo dell’istituto sanitario Isglobal, ha tenuto a precisare: «Le mascherine offrono protezione, ma nei bambini piccoli dai tre agli 11 anni, dove la trasmissione è più bassa e le attitudini al rischio sono diverse da quelle degli adolescenti, l’impatto di questa misura è più modesto».
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Roberto Speranza tergiversa sulla fine dell’obbligo di indossarle, anche se per gli alunni sono molto dannose. Pensa di imbavagliarci ancora. Ma gli studi parlano chiaro, a scuola danni enormi. Intanto partite le prime 200.000 multe agli over 50 che non si sono vaccinati. Ne arriveranno 100.000 al giorno.Una serie di studi europei ha certificato l’inutilità, e anche la pericolosità, dell’uso delle protezioni sul viso dei più piccoli. Causano anche eccessiva timidezza e ansia.Lo speciale contiene due articoli.Sempre pronto a ventilare nuove restrizioni, o a prolungare le esistenti, sull’obbligo di utilizzare le mascherine al chiuso, il ministro della Salute ha messo le mani avanti. «Dopo Pasqua vedremo cosa fare dal primo maggio in avanti», è stato l’incoraggiante annuncio. Sottinteso, anzi già anticipato, se la curva epidemiologica non sarà scesa ai livelli che solo Roberto Speranza ha in mente e non comunica, rimarremo imbavagliati fino a inizio estate. Quasi certamente, il dispositivo di protezione delle vie respiratorie resterà obbligatorio nelle scuole per chi ha compiuto i 6 anni. La scusa sarà che manca poco al termine delle lezioni di metà giugno, meglio non rischiare focolai in classe. Così, nelle scuole dell’infanzia, dove i piccoletti over 6 sono costretti a mascherare il volto, aumenteranno le difficoltà respiratorie, ma anche i ritardi nello sviluppo sociale e linguistico, come riportano i due studi, uno inglese l’altro spagnolo, dell’articolo sottostante. «Se ci fosse, effettivamente, una utilità collegata a una necessità, che è quella di impedire che il contagio possa di nuovo divampare, allora si deve sicuramente continuare a tenerle», ha dichiarato Antonello Giannelli, presidente dell’Anp, l’Associazione nazionale presidi. «Mi rendo conto del fatto che ci sono dei numeri», dei contagi Covid, «in risalita», tiene a precisare il dirigente scolastico, «quindi, una certa attenzione credo sia necessaria e doverosa. Preferiremmo tutti tenere le mascherine in classe un mese e mezzo in più, che non sopportare conseguenze peggiori dopo». Se è comprensibile l’uso prolungato di questi dispositivi su mezzi di trasporto pubblico, dove il distanziamento risulta inattuabile, del tutto inutile appare l’obbligo a oltranza in aula. Soprattutto per gli scolari che, se si infettano, hanno una percentuale di rischio estremamente bassa di avere complicanze dal Covid, al contrario rafforzano la loro immunità e non sono pericolosi veicoli di contagio in famiglia, visto che il 92% degli italiani si è vaccinato. Con questo virus dobbiamo imparare a convivere, meglio allentare restrizioni inutili quanto dannose per le fasce di età più giovani. Di tutt’altro avviso è, come sempre, Walter Ricciardi. «Le mascherine sono un presidio importantissimo e, purtroppo, finché avremo varianti così contagiose, vanno tenute, soprattutto all’interno, ma anche all’esterno», ripete instancabile il consulente del ministro della Salute. Contrario alle riaperture, avrebbe tenuto tutti con super certificato verde e semaforo a colori per le Regioni. Le sue previsioni sono all’insegna del catastrofismo: «Ci dobbiamo preparare mentalmente per una battaglia di lunga durata che non finisce con l’emergenza giuridica», ha scandito. «Tutti gli aspetti, vaccinazione, green pass, mascherine e comportamenti saggi vanno tenuti, e il Paese deve prepararsi a una battaglia di lunga durata». Se un italiano su dieci continuerà ad indossare la mascherina, anche dopo la fine dell’obbligo, secondo una ricerca promossa dall’associazione Donne e qualità della vita, convinto che «ci sarà una recrudescenza della malattia molto presto e che il Covid non sia vinto per niente, almeno nel 77% dei casi», decisamente più ottimista appare il sottosegretario alla Salute Andrea Costa. Ha detto, infatti, di «ritenere ragionevole pensare che, il 1 maggio, le mascherine non saranno più obbligatorie, neppure al chiuso, ma piuttosto raccomandate», perché «a oggi sussistono le condizioni per raggiungere questo obiettivo». Non esclude «l’ipotesi di mantenerle al chiuso», in situazioni particolari come, appunto, treni, metropolitana, aerei, ma il sottosegretario non ha fatto cenni all’uso continuato nelle scuole. La decisione, se sarà presa in tal senso, nascerà ancora una volta dalla determinazione di Speranza di rinviare il ritorno alla normalità, condizionando, di conseguenza, la cabina di regia a esprimere un parere per l’uso a oltranza. Saranno penalizzati gli studenti, ancor più gli scolari e i bimbi della materna che hanno compiuto i sei anni, costretti a non togliersi la mascherina «di tipo chirurgico, o di maggiore efficacia protettiva», nemmeno al caldo di giugno.Due mesi fa, alcuni illustri virologi, pediatri, esperti di malattie infettive e di disagi psichici di diverse università statunitensi, hanno messo a punto una sorta di vademecum per genitori e insegnanti dal titolo Children, Covid, and the urgency of normal. Un invito a ritornare al più presto alla normalità per la salute dei bambini. Raccomandano di evitare l’uso prolungato delle mascherine in classe che, assieme ad altre restrizioni, «aumentano la paura e trasmettono l’idea, errata, che le scuole non sono sicure». Affermano che «i bambini non sono un pericolo», esortano a non trattare i piccoli non vaccinati in modo diverso. Invito che, in Italia, si fatica a comprendere, meglio far partire le multe da 100 euro per gli over 50 che non hanno ancora offerto il braccio. I primi 200.000 avvisi sono già in viaggio, pare che le Poste prevedano 100.000 spedizioni al giorno.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/via-mascherine-bimbi-fanno-male-2657121164.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="ritardi-nel-fare-amicizia-e-parlare" data-post-id="2657121164" data-published-at="1649411045" data-use-pagination="False"> «Ritardi nel fare amicizia e parlare» Lunedì, l’Office for standards in education, children’s services and skills (Ofsted) ha pubblicato gli esiti di un’indagine condotta tra il 17 gennaio e il 4 febbraio scorsi, in 70 strutture per l’infanzia, del Regno Unito. Il report afferma che le misure adottate per combattere il Covid, compreso l’uso di mascherine, da parte degli operatori, che impediscono la capacità dei bambini di decodificare le espressioni facciali, hanno colpito i piccoli nel loro sviluppo sociale e linguistico. L’autorità di supervisione scolastica britannica ha osservato che i bimbi hanno, spesso, difficoltà a fare amicizia e parlare. Sono stati rilevati un «vocabolario limitato» e «l’incapacità di reagire ai movimenti facciali più semplici». I ritardi nello sviluppo del linguaggio hanno comportato problemi di socialità, dal momento che «non entravano in contatto con altri bambini nel modo previsto». La qualità del rapporto con le maestre non è affatto buona per i piccoli che hanno compiuto due anni questa primavera, tanto quanto è durata la pandemia, e fino a oggi «sono stati circondati da adulti con maschere, quindi, non potevano vedere i movimenti delle labbra e le posizioni della bocca», perdendo un’importantissima forma di comunicazione, affermano gli ispettori che hanno effettuato i controlli. Per aiutare i piccoli a recuperare il ritardo, alcuni membri del personale hanno ricevuto una formazione aggiuntiva sullo sviluppo del linguaggio. Molti bambini sono risultati più timidi e ansiosi nell’affrontare i coetanei, perché non abituati ad altri volti. Per insegnare loro a esprimere i sentimenti, alcuni asili hanno introdotto le «carte delle emozioni», immagini di bimbi che mostrano diversi movimenti facciali. Invece di poter guardare i loro amichetti, sono costretti a riconoscere le emozioni su pezzi di carta. Il rapporto di Ofsted indica, tra le ripercussioni sullo sviluppo, un ritardo di molti nell’imparare a gattonare e camminare. A volte avevano anche bisogno di aiuto per vestirsi o soffiarsi il naso, a un’età in cui avrebbero dovuto essere in grado di farlo da soli. Margery Smelkinson, esperta di malattie infettive, assieme ad altri due ricercatori statunitensi, aveva pubblicato a gennaio su The Atlantic un intervento circa la non utilità delle mascherine a scuola. Partendo dalla considerazione che «solo due studi randomizzati hanno misurato l’impatto delle mascherine sulla trasmissione del Covid, e nessuno includeva bambini», la dottoressa affermava che «imporre a milioni di bimbi uno strumento di protezione che fornisce scarsi benefici riconoscibili, sulla base del fatto che non abbiamo ancora raccolto prove concrete dei suoi effetti negativi, viola il principio più elementare della medicina: primo, non nuocere. Il fondamento degli interventi medici e di sanità pubblica dovrebbe essere che funzionino, non che non abbiamo prove sufficienti per dire se sono dannosi». Mascherine controproducenti, quando non dannose, ma anche poco utili. Lo afferma uno studio condotto in Spagna, con finanziamenti ministeriali, in 1.900 scuole della Catalogna e pubblicato a marzo. Dopo aver messo a confronto mezzo milione di bimbi tra 3-5 anni, non obbligati alla mascherina, e quelli di fascia 6-11, con l’obbligo, è arrivato alla conclusione che i dispositivi di protezione facciale nelle scuole non erano associati a una minore incidenza o trasmissione di Sars-Cov-2, suggerendo che questo intervento non era efficace. I ricercatori non hanno riscontrato che il tasso di incidenza o la trasmissione del virus fossero significativamente inferiori tra i bimbi obbligati a tenere un dispositivo di protezione in classe, rispetto ai minori di sei anni, che potevano rimanere a volto scoperto. Quique Bassat, pediatra ed epidemiologo dell’istituto sanitario Isglobal, ha tenuto a precisare: «Le mascherine offrono protezione, ma nei bambini piccoli dai tre agli 11 anni, dove la trasmissione è più bassa e le attitudini al rischio sono diverse da quelle degli adolescenti, l’impatto di questa misura è più modesto».
Elon Musk (Ansa)
La controffensiva del magnate galvanizza X. Viktor Orbán scrive che «l’attacco della Commissione dice tutto. Quando i padroni di Bruxelles non riescono a spuntarla nel dibattito, arrivano alle multe. L’Europa ha bisogno della libertà d’espressione, non di burocrati non eletti che decidono cosa possiamo leggere o dire. Giù il cappello per Elon Mask perché ha tenuto il punto». Geert Wilders, leader sovranista olandese, se la prende con l’esecutivo di Ursula von der Leyen: «Nessuno vi ha eletto», twitta. «Non rappresentate nessuno. Siete un’istituzione totalitaria e non riuscite nemmeno a dividere in sillabe le parole “libertà d’espressione”. Non dovremmo accettare la multa a X, semmai abolire la Commissione Ue». Musk applaude: «Assolutamente! La Commissione Ue venera il dio della burocrazia, che soffoca il popolo d’Europa».
Oltreoceano, intanto, parte la rappresaglia. Reuters riferisce che il Dipartimento di Stato studia una stretta sui visti per chi si è reso «responsabile o complice della censura o del tentativo di censura di espressioni protette negli Stati Uniti». A cominciare dai fact checker dei social. Il vice di Marco Rubio, Christopher Landau, reduce dalle accuse di filocastrismo a Federica Mogherini, lancia poi una sorta di ultimatum: «O le grandi nazioni d’Europa sono nostri partner nella protezione della civiltà occidentale che abbiamo ereditato da loro, oppure non lo sono. Ma non possiamo fingere di essere partner mentre quelle nazioni permettono alla burocrazia non eletta, antidemocratica e non rappresentativa dell’Ue a Bruxelles di perseguire politiche di suicidio di civiltà». Il diplomatico lamenta: i medesimi Paesi, «quando indossano il cappello della Nato, insistono sulla cooperazione transatlantica come elemento centrale della sicurezza. Ma quando hanno il cappello dell’Ue portano avanti ogni sorta di agenda che spesso è totalmente contraria agli interessi e alla sicurezza degli Stati Uniti».
La lite scoppia, appunto, a 24 ore dalla pubblicazione del testo con cui la Casa Bianca ha ridefinito le proprie priorità. I media italiani lo hanno recepito con sgomento. Il Corriere, ieri, parlava di «attacco choc all’Europa». Secondo Repubblica, «Trump scarica l’Europa». La Stampa era listata a lutto: «Addio Europa, strappo americano». «Con la National security strategy di Trump l’America è ufficialmente un avversario», recitava l’editoriale di Giuliano Ferrara sul Foglio.
La Commissione Ue ha rivendicato la sua autonomia: decidiamo noi per noi, anche su libertà d’espressione e «ordine internazionale fondato sulle regole». Nel documento di Washington, ha ammesso Kaja Kallas, «ci sono molte critiche, ma credo che alcune siano anche vere. Se si guarda all’Europa, si nota che ha sottovalutato il proprio potere nei confronti della Russia. Dovremmo avere più fiducia in noi stessi. Gli Stati Uniti sono ancora il nostro più grande alleato». Piccato il premier polacco, Donald Tusk: l’Europa, ha spiegato agli «amici americani», è « il vostro più stretto alleato». E «abbiamo nemici comuni. A meno che non sia cambiato qualcosa». Lucida l’analisi di Guido Crosetto. Il ministro della Difesa ha sottolineato che lo spostamento del fulcro degli interessi strategici Usa, dal Vecchio continente all’Indo-Pacifico, era una «traiettoria evidente già prima dell’avvento di Trump, che ha soltanto accelerato un percorso irreversibile». Quando il processo è cominciato, non tutti erano attenti: nel 2000, George W. Bush fece rientrare diverse unità di stanza in Germania; Barack Obama richiamò un paio di brigate, per un totale di 8.000 soldati. E fu lui a stabilire che il futuro «perno» (pivot) della politica statunitense sarebbe stato l’Asia. The Donald, peraltro, ci ha tenuto a precisare che «l’Europa rimane strategicamente e culturalmente vitale per gli Stati Uniti». Crosetto ha insistito sulla necessità di mobilitare, insieme al resto dell’Unione, gli «investimenti pubblici e privati» necessari a «recuperare il tempo perso su tecnologie fondamentali» per diventare militarmente autosufficienti.
Ma se qualcuno ha invocato la collaborazione tra Stati membri per mettere in pratica un caposaldo del piano Trump (l’Europa deve imparare a «reggersi in piedi da sola», recita il manifesto), qualcun altro ha approfittato dello «choc» di cui sul Corsera per rilanciare il vecchio pallino: l’alleanza con Pechino. Da più Europa a più Cina è un attimo.
Ne ha discusso sul quotidiano di Torino, col pretesto di contestare il protezionismo del golden power, l’ex ministro dell’Economia, Giovanni Tria. Dimenticando che la penetrazione dei capitali del Dragone equivale a un commissariamento dei nostri asset.
L’intervento di Romano Prodi sul Messaggero, invece, più che malevolo è apparso surreale. In sintesi: siccome quel puzzone del tycoon si mette d’accordo con le autocrazie, noi dobbiamo... metterci d’accordo con un’autocrazia. «Finora», ha notato l’ex premier, «soltanto la Cina sta preparando una strategia alternativa, non solo usando le terre rare come arma di guerra ma, soprattutto, sostituendo il mercato americano con un’accresciuta presenza in tutto il resto del mondo». È in questo spazio che, a suo avviso, dovrebbero incunearsi gli europei. Per evitare «il collasso finale di quello che resta della globalizzazione», sostiene Prodi. In funzione di utili idioti, temiamo noi. Peccato che, ha sospirato il fondatore dell’Ulivo, né l’Ue né i dirigenti di Pechino sembrino «in grado di preparare la strada per arrivare al necessario compromesso». Alla faccia degli infausti vaticini di Trump: se è così, possiamo ancora salvarci.
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E’ una ricetta omnibus che nelle giornate di freddo predispone a piatto conviviale e succulento. Certo il primato spetta ai milanesi che servono l’ossobuco con il loro magnificente risotto giallo ma di fatto, essendo questo un taglio di carne, a torto definito povero, è una preparazione che si trova in tutte le zone urbane d’Italia. Condizione necessaria era che ci fosse un macello ed è errata convinzione che in campagna si mangiasse tanta carne; ci pensate al contadino che si ciba del suo “trattore”?
Dunque potremmo dire che questa è una ricetta piccolo-borghese, ma enorme nel sapore. Noi ve la proponiamo alla toscana, ancorché semplificata. Invece dei pelati ci siamo limitati al concentrato di pomodoro, ma il risultato è ottimo!
Ingredienti – 4 ossibuchi di generose dimensioni, tre cipolle, tre coste di sedano, tre carote, una patata, un paio di pomodorini, 6 cucchiai di farina 0, 60 gr di burro e 80 gr di olio extravergine di oliva, 3 cucchiai di concentrato di pomodoro, 3 foglie di alloro e 3 di salvia, un mazzetto di prezzemolo, un bicchiere di vino bianco secco, sale e pepe qb.
Procedimento – Con una carota, una cipolla, una costa di sedano, la patata e i pomodorini preparate un brodo vegetale mettendo le verdure a bollire in almeno un paio litri di acqua. In un tegame capiente fate fondere il burro nell’olio extravergine di oliva e sistemateci le foglie di salvia e alloro. Infarinate gli ossibuchi e passateli in tegame a fiamma vivace in modo che si sigillino. Nel frattempo con le altre verdure fate un battuto grossolano. Sfumate gli ossibuchi col vino bianco e quando la parte alcolica è evaporata toglieteli dal tegame e teneteli da parte. Fate stufare il battuto nel tegame e appena le cipolle diventano trasparenti rimettete in cottura gli ossibuchi. Coprite con il brodo vegetale, aggiungete il concentrato di pomodoro, fate sciogliere e lasciate andare per almeno un ora e mezza. Aggiustate di sale e di pepe, aggiungete il prezzemolo tritato e servite.
Come fa divertire i bambini – Fate infarinare a loro gli ossibuchi vedrete che ne saranno entusiasti
Abbinamento – Abbiamo scelto un Chianti Classico Gran selezione, va benissimo un Nobile di Montepulciano; in alternativa il rosso dei milanesi il San Colombano o una Barbera monferrina, astigiana o dell’Oltrepò
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Roberto Calderoli (Ansa)
Certo, serviranno dei soldi per adeguare i servizi offerti. Ma non è detto che ne serviranno tanti, dato che spesso alcuni governatori hanno le risorse ma le spendono male o non le spendono, a differenza di altri presidenti di Regione che vedono invece arrivare nelle proprie strutture sanitarie dei pazienti provenienti proprio dalle zone dove i quattrini pubblici vengono male investiti.
Altra cosa: i Lep sono previsti nella Costituzione, quella riformata nel 2001 dal centrosinistra e confermata da un referendum Nessun governo, compresi quelli progressisti, li ha mai attuati. L’unico che da tre anni ci prova, nonostante raccolte firme di protesta o interventi della Consulta, è l’esecutivo Meloni nella persona del ministro degli Affari regionali, Roberto Calderoli. Per non perdere tutta la legislatura senza produrre nulla, l’esponente leghista ha fatto inserire nella legge di Bilancio alcuni articoli che facciano partire i criteri dei Lep. Finalmente dopo 24 anni di attesa. Il Pd però vorrebbe far aspettare i cittadini del Sud altri anni. Tant’è che Francesco Boccia, capogruppo dem al Senato, ha minacciato «ostruzionismo a oltranza» se non verranno stralciati i Lep, a costo di andare anche in «esercizio provvisorio». Insomma, il partito di Elly Schlein è disposto a far saltare il taglio dell’Irpef pur di non rispettare una norma costituzionale, quella Carta che a sinistra venerano più del Vangelo.
Perché questa paura di una riforma? I Lep, ricorda Calderoli, servono anche per centrare un obiettivo del Pnrr, il federalismo fiscale, entro giugno 2026. Pnrr, ricordiamolo, scritto dal governo Conte 2 e modificato da quello Draghi, nei quali il Pd era forza predominante. Forse i governatori del campo largo temono di confrontarsi con la responsabilizzazione nell’utilizzo delle risorse pubbliche?
Il ministro leghista comunque tira dritto, forte anche della difesa di Fratelli d’Italia sui Lep nella legge di bilancio. E parallelamente martedì inizieranno le audizioni della commissione Affari costituzionali di Palazzo Madama sul disegno di legge di delega al governo per la determinazione dei Lep. L’ipotesi, secondo quanto emerso all’esito dell’ultima riunione, è quella di avviare il ciclo di audizioni, per poi proseguirlo a gennaio. Secondo quanto raccolto da Public Policy saranno sentiti Sabino Cassese, giudice emerito della Corte costituzionale e presidente del comitato tecnico-scientifico con funzioni istruttorie per l’individuazione dei Lep. E ancora: l’Ufficio parlamentare di bilancio, l’Anci, l’Unione delle province d’Italia, Cgil, Cisl, Uil la cassa degli infermieri d’Italia, l’Ance, l’Associazione nazionale dei costruttori edili, lo Svimez, e persino Antonino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe. Audizioni istituzionali, democratiche, aperte al confronto. Quello che il Pd non vuole sull’autonomia.
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Raffaele Speranzon (Imagoeconomica)
Nel processo appena conclusosi avevano chiesto quasi 3 milioni, gliene sono stati riconosciuti 480.000. Roggero gliene aveva già pagati 300.000, racimolati svendendo due appartamenti di famiglia. A questi vanno aggiunti altri 300.000 euro per le spese legali. Il senatore di Fratelli d’Italia, Raffaele Speranzon, e altri 18 colleghi dello stesso partito, a luglio avevano presentato un disegno di legge: niente più risarcimenti a chi commette quel genere di reati.
Onorevole Speranzon, il suo disegno di legge intende diminuire o azzerare il risarcimento dovuto all’aggressore in caso di eccesso colposo di legittima difesa. A che punto è?
«Sto aspettando che venga incardinato in commissione, spero che in breve tempo possiamo andare a discussione e approvarlo entro la fine della legislatura».
Il suo obiettivo è quello di colmare una lacuna normativa e ristabilire un criterio di giustizia. Ci spieghi meglio.
«L’obiettivo è quello di evitare che chi ha messo in pericolo qualcuno con violenza e minacce abbia diritto ad un indennizzo. Chi minaccia l’integrità fisica o patrimoniale di un altro individuo deve sapere che, se quell’azione gli andasse male, non riceverebbe un euro di risarcimento».
Potrebbe essere un deterrente.
«Certamente. Qualcuno potrebbe pensare di sistemare la propria famiglia in questo modo: se la rapina mi va bene, porto a casa qualcosa, se mi va male, comunque la mia famiglia otterrebbe un sacco di soldi. Sostanzialmente se non riesco a rapinarlo, lo rapino lo stesso grazie alla legge e quel risarcimento potrebbe addirittura essere superiore a quello che gli avrei potuto rubare. Se il nostro ddl diventasse legge, questo cortocircuito sparirebbe».
Se sei un ladro non puoi chiedere risarcimenti. Sembra una cosa normale.
«Dovrebbe. Se decidi di attentare alla mia incolumità o a quella della mia famiglia o al mio patrimonio, non puoi aver titolo a ricevere alcun risarcimento, anche se l’aggredito ha ecceduto nella sua difesa. La reazione all’offesa di un ladro, un rapinatore o un violentatore, può anche essere eccessiva ma non può dare adito a risarcimenti. Il sistema attuale lo consente, noi vogliamo cancellare questa possibilità».
Poteva servire al povero Roggero?
«Poteva servire se, più coerentemente con i fatti, il giudice, invece di condannarlo per omicidio volontario, lo avesse condannato per eccesso di legittima difesa, un reato più consono a quello che ha fatto».
Invece per il giudice è paragonabile a un assassino.
«Sono andati loro ad aggredirlo nel suo negozio. C’è poi da considerare l’esasperazione di un uomo che era stato rapinato cinque volte, il suo stato psicologico nel lavorare in un contesto come quello, sentendosi continuamente minacciato. Sicuramente ha ecceduto nella legittima difesa, ma certo non è un assassino e non dovrebbe risarcire nessuno. È lui che semmai avrebbe diritto a un ristoro. È lui la vittima».
Ma nel mondo dell’assurdo in cui viviamo, ai familiari di chi muore sul lavoro vanno, sì e no, 12.000 euro; e ai familiari di chi rapina, mezzo milione.
«Una cosa indecente, che dimostra ancor di più la lacuna normativa in ambito civile che va colmata. È la ragione per la quale decisi di presentare questo ddl».
Ma se poi un giudice trasforma un eccesso di legittima difesa in un omicidio volontario plurimo, c’è poco da fare…
«Eh sì, se il magistrato di turno contesta l’omicidio volontario si esce dal confine del ddl. A Roggero non sarebbe servito nemmeno il nostro ddl perché l’interpretazione da parte del giudice di ciò che è accaduto, a nostro avviso sbagliata, lo fa uscire da quel confine».
Cosa c’è dentro quel confine?
«C’è l’eccesso colposo di legittima difesa, per il quale Roggero è giusto che risponda. Non certo per omicidio volontario. Le condizioni psicologiche nelle quali si trovava dovevano portare il giudice a riconoscere solo quella fattispecie di reato».
Non sarebbe il caso di rimettere mano anche alla legge sulla legittima difesa? Non servirebbe un provvedimento che tenesse conto più delle ragioni degli aggrediti che di quelle degli aggressori?
«La riforma è andata in quella direzione, il nostro ddl lo stesso. L’errore nella sentenza sul gioielliere sta alla base. Chi attenta all’incolumità fisica di una persona o al suo patrimonio, deve mettere in conto la possibilità di una reazione anche durissima e fatale nei suoi confronti. Noi sosteniamo che quella reazione non dovrebbe essere sanzionata né dal punto di vista penale, né tanto meno civile».
Uno che reagisce a una rapina finisce in galera per 15 anni e viene condannato a un risarcimento ai parenti di chi lo ha rapinato. Non è pazzesco?
«Chi subisce una rapina vede la propria vita rovinata, indipendentemente dal fatto che la sventi o meno. Noi le leggi le possiamo anche fare, ma serve una cultura giuridica di chi interpreta i fatti, che veda nella difesa dell’aggredito il punto di partenza nella valutazione degli accadimenti».
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