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2022-04-08
Via subito le mascherine ai bimbi: fanno male
iStock
Sempre pronto a ventilare nuove restrizioni, o a prolungare le esistenti, sull’obbligo di utilizzare le mascherine al chiuso, il ministro della Salute ha messo le mani avanti. «Dopo Pasqua vedremo cosa fare dal primo maggio in avanti», è stato l’incoraggiante annuncio. Sottinteso, anzi già anticipato, se la curva epidemiologica non sarà scesa ai livelli che solo Roberto Speranza ha in mente e non comunica, rimarremo imbavagliati fino a inizio estate.
Quasi certamente, il dispositivo di protezione delle vie respiratorie resterà obbligatorio nelle scuole per chi ha compiuto i 6 anni. La scusa sarà che manca poco al termine delle lezioni di metà giugno, meglio non rischiare focolai in classe. Così, nelle scuole dell’infanzia, dove i piccoletti over 6 sono costretti a mascherare il volto, aumenteranno le difficoltà respiratorie, ma anche i ritardi nello sviluppo sociale e linguistico, come riportano i due studi, uno inglese l’altro spagnolo, dell’articolo sottostante.
«Se ci fosse, effettivamente, una utilità collegata a una necessità, che è quella di impedire che il contagio possa di nuovo divampare, allora si deve sicuramente continuare a tenerle», ha dichiarato Antonello Giannelli, presidente dell’Anp, l’Associazione nazionale presidi. «Mi rendo conto del fatto che ci sono dei numeri», dei contagi Covid, «in risalita», tiene a precisare il dirigente scolastico, «quindi, una certa attenzione credo sia necessaria e doverosa. Preferiremmo tutti tenere le mascherine in classe un mese e mezzo in più, che non sopportare conseguenze peggiori dopo».
Se è comprensibile l’uso prolungato di questi dispositivi su mezzi di trasporto pubblico, dove il distanziamento risulta inattuabile, del tutto inutile appare l’obbligo a oltranza in aula. Soprattutto per gli scolari che, se si infettano, hanno una percentuale di rischio estremamente bassa di avere complicanze dal Covid, al contrario rafforzano la loro immunità e non sono pericolosi veicoli di contagio in famiglia, visto che il 92% degli italiani si è vaccinato. Con questo virus dobbiamo imparare a convivere, meglio allentare restrizioni inutili quanto dannose per le fasce di età più giovani. Di tutt’altro avviso è, come sempre, Walter Ricciardi. «Le mascherine sono un presidio importantissimo e, purtroppo, finché avremo varianti così contagiose, vanno tenute, soprattutto all’interno, ma anche all’esterno», ripete instancabile il consulente del ministro della Salute.
Contrario alle riaperture, avrebbe tenuto tutti con super certificato verde e semaforo a colori per le Regioni. Le sue previsioni sono all’insegna del catastrofismo: «Ci dobbiamo preparare mentalmente per una battaglia di lunga durata che non finisce con l’emergenza giuridica», ha scandito. «Tutti gli aspetti, vaccinazione, green pass, mascherine e comportamenti saggi vanno tenuti, e il Paese deve prepararsi a una battaglia di lunga durata». Se un italiano su dieci continuerà ad indossare la mascherina, anche dopo la fine dell’obbligo, secondo una ricerca promossa dall’associazione Donne e qualità della vita, convinto che «ci sarà una recrudescenza della malattia molto presto e che il Covid non sia vinto per niente, almeno nel 77% dei casi», decisamente più ottimista appare il sottosegretario alla Salute Andrea Costa.
Ha detto, infatti, di «ritenere ragionevole pensare che, il 1 maggio, le mascherine non saranno più obbligatorie, neppure al chiuso, ma piuttosto raccomandate», perché «a oggi sussistono le condizioni per raggiungere questo obiettivo». Non esclude «l’ipotesi di mantenerle al chiuso», in situazioni particolari come, appunto, treni, metropolitana, aerei, ma il sottosegretario non ha fatto cenni all’uso continuato nelle scuole.
La decisione, se sarà presa in tal senso, nascerà ancora una volta dalla determinazione di Speranza di rinviare il ritorno alla normalità, condizionando, di conseguenza, la cabina di regia a esprimere un parere per l’uso a oltranza. Saranno penalizzati gli studenti, ancor più gli scolari e i bimbi della materna che hanno compiuto i sei anni, costretti a non togliersi la mascherina «di tipo chirurgico, o di maggiore efficacia protettiva», nemmeno al caldo di giugno.
Due mesi fa, alcuni illustri virologi, pediatri, esperti di malattie infettive e di disagi psichici di diverse università statunitensi, hanno messo a punto una sorta di vademecum per genitori e insegnanti dal titolo Children, Covid, and the urgency of normal. Un invito a ritornare al più presto alla normalità per la salute dei bambini. Raccomandano di evitare l’uso prolungato delle mascherine in classe che, assieme ad altre restrizioni, «aumentano la paura e trasmettono l’idea, errata, che le scuole non sono sicure». Affermano che «i bambini non sono un pericolo», esortano a non trattare i piccoli non vaccinati in modo diverso. Invito che, in Italia, si fatica a comprendere, meglio far partire le multe da 100 euro per gli over 50 che non hanno ancora offerto il braccio. I primi 200.000 avvisi sono già in viaggio, pare che le Poste prevedano 100.000 spedizioni al giorno.
«Ritardi nel fare amicizia e parlare»
Lunedì, l’Office for standards in education, children’s services and skills (Ofsted) ha pubblicato gli esiti di un’indagine condotta tra il 17 gennaio e il 4 febbraio scorsi, in 70 strutture per l’infanzia, del Regno Unito. Il report afferma che le misure adottate per combattere il Covid, compreso l’uso di mascherine, da parte degli operatori, che impediscono la capacità dei bambini di decodificare le espressioni facciali, hanno colpito i piccoli nel loro sviluppo sociale e linguistico. L’autorità di supervisione scolastica britannica ha osservato che i bimbi hanno, spesso, difficoltà a fare amicizia e parlare. Sono stati rilevati un «vocabolario limitato» e «l’incapacità di reagire ai movimenti facciali più semplici». I ritardi nello sviluppo del linguaggio hanno comportato problemi di socialità, dal momento che «non entravano in contatto con altri bambini nel modo previsto».
La qualità del rapporto con le maestre non è affatto buona per i piccoli che hanno compiuto due anni questa primavera, tanto quanto è durata la pandemia, e fino a oggi «sono stati circondati da adulti con maschere, quindi, non potevano vedere i movimenti delle labbra e le posizioni della bocca», perdendo un’importantissima forma di comunicazione, affermano gli ispettori che hanno effettuato i controlli.
Per aiutare i piccoli a recuperare il ritardo, alcuni membri del personale hanno ricevuto una formazione aggiuntiva sullo sviluppo del linguaggio.
Molti bambini sono risultati più timidi e ansiosi nell’affrontare i coetanei, perché non abituati ad altri volti. Per insegnare loro a esprimere i sentimenti, alcuni asili hanno introdotto le «carte delle emozioni», immagini di bimbi che mostrano diversi movimenti facciali. Invece di poter guardare i loro amichetti, sono costretti a riconoscere le emozioni su pezzi di carta. Il rapporto di Ofsted indica, tra le ripercussioni sullo sviluppo, un ritardo di molti nell’imparare a gattonare e camminare. A volte avevano anche bisogno di aiuto per vestirsi o soffiarsi il naso, a un’età in cui avrebbero dovuto essere in grado di farlo da soli.
Margery Smelkinson, esperta di malattie infettive, assieme ad altri due ricercatori statunitensi, aveva pubblicato a gennaio su The Atlantic un intervento circa la non utilità delle mascherine a scuola. Partendo dalla considerazione che «solo due studi randomizzati hanno misurato l’impatto delle mascherine sulla trasmissione del Covid, e nessuno includeva bambini», la dottoressa affermava che «imporre a milioni di bimbi uno strumento di protezione che fornisce scarsi benefici riconoscibili, sulla base del fatto che non abbiamo ancora raccolto prove concrete dei suoi effetti negativi, viola il principio più elementare della medicina: primo, non nuocere. Il fondamento degli interventi medici e di sanità pubblica dovrebbe essere che funzionino, non che non abbiamo prove sufficienti per dire se sono dannosi».
Mascherine controproducenti, quando non dannose, ma anche poco utili. Lo afferma uno studio condotto in Spagna, con finanziamenti ministeriali, in 1.900 scuole della Catalogna e pubblicato a marzo. Dopo aver messo a confronto mezzo milione di bimbi tra 3-5 anni, non obbligati alla mascherina, e quelli di fascia 6-11, con l’obbligo, è arrivato alla conclusione che i dispositivi di protezione facciale nelle scuole non erano associati a una minore incidenza o trasmissione di Sars-Cov-2, suggerendo che questo intervento non era efficace.
I ricercatori non hanno riscontrato che il tasso di incidenza o la trasmissione del virus fossero significativamente inferiori tra i bimbi obbligati a tenere un dispositivo di protezione in classe, rispetto ai minori di sei anni, che potevano rimanere a volto scoperto. Quique Bassat, pediatra ed epidemiologo dell’istituto sanitario Isglobal, ha tenuto a precisare: «Le mascherine offrono protezione, ma nei bambini piccoli dai tre agli 11 anni, dove la trasmissione è più bassa e le attitudini al rischio sono diverse da quelle degli adolescenti, l’impatto di questa misura è più modesto».
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Roberto Speranza tergiversa sulla fine dell’obbligo di indossarle, anche se per gli alunni sono molto dannose. Pensa di imbavagliarci ancora. Ma gli studi parlano chiaro, a scuola danni enormi. Intanto partite le prime 200.000 multe agli over 50 che non si sono vaccinati. Ne arriveranno 100.000 al giorno.Una serie di studi europei ha certificato l’inutilità, e anche la pericolosità, dell’uso delle protezioni sul viso dei più piccoli. Causano anche eccessiva timidezza e ansia.Lo speciale contiene due articoli.Sempre pronto a ventilare nuove restrizioni, o a prolungare le esistenti, sull’obbligo di utilizzare le mascherine al chiuso, il ministro della Salute ha messo le mani avanti. «Dopo Pasqua vedremo cosa fare dal primo maggio in avanti», è stato l’incoraggiante annuncio. Sottinteso, anzi già anticipato, se la curva epidemiologica non sarà scesa ai livelli che solo Roberto Speranza ha in mente e non comunica, rimarremo imbavagliati fino a inizio estate. Quasi certamente, il dispositivo di protezione delle vie respiratorie resterà obbligatorio nelle scuole per chi ha compiuto i 6 anni. La scusa sarà che manca poco al termine delle lezioni di metà giugno, meglio non rischiare focolai in classe. Così, nelle scuole dell’infanzia, dove i piccoletti over 6 sono costretti a mascherare il volto, aumenteranno le difficoltà respiratorie, ma anche i ritardi nello sviluppo sociale e linguistico, come riportano i due studi, uno inglese l’altro spagnolo, dell’articolo sottostante. «Se ci fosse, effettivamente, una utilità collegata a una necessità, che è quella di impedire che il contagio possa di nuovo divampare, allora si deve sicuramente continuare a tenerle», ha dichiarato Antonello Giannelli, presidente dell’Anp, l’Associazione nazionale presidi. «Mi rendo conto del fatto che ci sono dei numeri», dei contagi Covid, «in risalita», tiene a precisare il dirigente scolastico, «quindi, una certa attenzione credo sia necessaria e doverosa. Preferiremmo tutti tenere le mascherine in classe un mese e mezzo in più, che non sopportare conseguenze peggiori dopo». Se è comprensibile l’uso prolungato di questi dispositivi su mezzi di trasporto pubblico, dove il distanziamento risulta inattuabile, del tutto inutile appare l’obbligo a oltranza in aula. Soprattutto per gli scolari che, se si infettano, hanno una percentuale di rischio estremamente bassa di avere complicanze dal Covid, al contrario rafforzano la loro immunità e non sono pericolosi veicoli di contagio in famiglia, visto che il 92% degli italiani si è vaccinato. Con questo virus dobbiamo imparare a convivere, meglio allentare restrizioni inutili quanto dannose per le fasce di età più giovani. Di tutt’altro avviso è, come sempre, Walter Ricciardi. «Le mascherine sono un presidio importantissimo e, purtroppo, finché avremo varianti così contagiose, vanno tenute, soprattutto all’interno, ma anche all’esterno», ripete instancabile il consulente del ministro della Salute. Contrario alle riaperture, avrebbe tenuto tutti con super certificato verde e semaforo a colori per le Regioni. Le sue previsioni sono all’insegna del catastrofismo: «Ci dobbiamo preparare mentalmente per una battaglia di lunga durata che non finisce con l’emergenza giuridica», ha scandito. «Tutti gli aspetti, vaccinazione, green pass, mascherine e comportamenti saggi vanno tenuti, e il Paese deve prepararsi a una battaglia di lunga durata». Se un italiano su dieci continuerà ad indossare la mascherina, anche dopo la fine dell’obbligo, secondo una ricerca promossa dall’associazione Donne e qualità della vita, convinto che «ci sarà una recrudescenza della malattia molto presto e che il Covid non sia vinto per niente, almeno nel 77% dei casi», decisamente più ottimista appare il sottosegretario alla Salute Andrea Costa. Ha detto, infatti, di «ritenere ragionevole pensare che, il 1 maggio, le mascherine non saranno più obbligatorie, neppure al chiuso, ma piuttosto raccomandate», perché «a oggi sussistono le condizioni per raggiungere questo obiettivo». Non esclude «l’ipotesi di mantenerle al chiuso», in situazioni particolari come, appunto, treni, metropolitana, aerei, ma il sottosegretario non ha fatto cenni all’uso continuato nelle scuole. La decisione, se sarà presa in tal senso, nascerà ancora una volta dalla determinazione di Speranza di rinviare il ritorno alla normalità, condizionando, di conseguenza, la cabina di regia a esprimere un parere per l’uso a oltranza. Saranno penalizzati gli studenti, ancor più gli scolari e i bimbi della materna che hanno compiuto i sei anni, costretti a non togliersi la mascherina «di tipo chirurgico, o di maggiore efficacia protettiva», nemmeno al caldo di giugno.Due mesi fa, alcuni illustri virologi, pediatri, esperti di malattie infettive e di disagi psichici di diverse università statunitensi, hanno messo a punto una sorta di vademecum per genitori e insegnanti dal titolo Children, Covid, and the urgency of normal. Un invito a ritornare al più presto alla normalità per la salute dei bambini. Raccomandano di evitare l’uso prolungato delle mascherine in classe che, assieme ad altre restrizioni, «aumentano la paura e trasmettono l’idea, errata, che le scuole non sono sicure». Affermano che «i bambini non sono un pericolo», esortano a non trattare i piccoli non vaccinati in modo diverso. Invito che, in Italia, si fatica a comprendere, meglio far partire le multe da 100 euro per gli over 50 che non hanno ancora offerto il braccio. I primi 200.000 avvisi sono già in viaggio, pare che le Poste prevedano 100.000 spedizioni al giorno.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/via-mascherine-bimbi-fanno-male-2657121164.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="ritardi-nel-fare-amicizia-e-parlare" data-post-id="2657121164" data-published-at="1649411045" data-use-pagination="False"> «Ritardi nel fare amicizia e parlare» Lunedì, l’Office for standards in education, children’s services and skills (Ofsted) ha pubblicato gli esiti di un’indagine condotta tra il 17 gennaio e il 4 febbraio scorsi, in 70 strutture per l’infanzia, del Regno Unito. Il report afferma che le misure adottate per combattere il Covid, compreso l’uso di mascherine, da parte degli operatori, che impediscono la capacità dei bambini di decodificare le espressioni facciali, hanno colpito i piccoli nel loro sviluppo sociale e linguistico. L’autorità di supervisione scolastica britannica ha osservato che i bimbi hanno, spesso, difficoltà a fare amicizia e parlare. Sono stati rilevati un «vocabolario limitato» e «l’incapacità di reagire ai movimenti facciali più semplici». I ritardi nello sviluppo del linguaggio hanno comportato problemi di socialità, dal momento che «non entravano in contatto con altri bambini nel modo previsto». La qualità del rapporto con le maestre non è affatto buona per i piccoli che hanno compiuto due anni questa primavera, tanto quanto è durata la pandemia, e fino a oggi «sono stati circondati da adulti con maschere, quindi, non potevano vedere i movimenti delle labbra e le posizioni della bocca», perdendo un’importantissima forma di comunicazione, affermano gli ispettori che hanno effettuato i controlli. Per aiutare i piccoli a recuperare il ritardo, alcuni membri del personale hanno ricevuto una formazione aggiuntiva sullo sviluppo del linguaggio. Molti bambini sono risultati più timidi e ansiosi nell’affrontare i coetanei, perché non abituati ad altri volti. Per insegnare loro a esprimere i sentimenti, alcuni asili hanno introdotto le «carte delle emozioni», immagini di bimbi che mostrano diversi movimenti facciali. Invece di poter guardare i loro amichetti, sono costretti a riconoscere le emozioni su pezzi di carta. Il rapporto di Ofsted indica, tra le ripercussioni sullo sviluppo, un ritardo di molti nell’imparare a gattonare e camminare. A volte avevano anche bisogno di aiuto per vestirsi o soffiarsi il naso, a un’età in cui avrebbero dovuto essere in grado di farlo da soli. Margery Smelkinson, esperta di malattie infettive, assieme ad altri due ricercatori statunitensi, aveva pubblicato a gennaio su The Atlantic un intervento circa la non utilità delle mascherine a scuola. Partendo dalla considerazione che «solo due studi randomizzati hanno misurato l’impatto delle mascherine sulla trasmissione del Covid, e nessuno includeva bambini», la dottoressa affermava che «imporre a milioni di bimbi uno strumento di protezione che fornisce scarsi benefici riconoscibili, sulla base del fatto che non abbiamo ancora raccolto prove concrete dei suoi effetti negativi, viola il principio più elementare della medicina: primo, non nuocere. Il fondamento degli interventi medici e di sanità pubblica dovrebbe essere che funzionino, non che non abbiamo prove sufficienti per dire se sono dannosi». Mascherine controproducenti, quando non dannose, ma anche poco utili. Lo afferma uno studio condotto in Spagna, con finanziamenti ministeriali, in 1.900 scuole della Catalogna e pubblicato a marzo. Dopo aver messo a confronto mezzo milione di bimbi tra 3-5 anni, non obbligati alla mascherina, e quelli di fascia 6-11, con l’obbligo, è arrivato alla conclusione che i dispositivi di protezione facciale nelle scuole non erano associati a una minore incidenza o trasmissione di Sars-Cov-2, suggerendo che questo intervento non era efficace. I ricercatori non hanno riscontrato che il tasso di incidenza o la trasmissione del virus fossero significativamente inferiori tra i bimbi obbligati a tenere un dispositivo di protezione in classe, rispetto ai minori di sei anni, che potevano rimanere a volto scoperto. Quique Bassat, pediatra ed epidemiologo dell’istituto sanitario Isglobal, ha tenuto a precisare: «Le mascherine offrono protezione, ma nei bambini piccoli dai tre agli 11 anni, dove la trasmissione è più bassa e le attitudini al rischio sono diverse da quelle degli adolescenti, l’impatto di questa misura è più modesto».
La Juventus resta sotto il controllo di Exor. Il gruppo ha chiarito con un comunicato la propria posizione sull’offerta di Tether. «La Juventus è un club storico e di successo, di cui Exor e la famiglia Agnelli sono azionisti stabili e orgogliosi da oltre un secolo», si legge nella nota della holding, che conferma come il consiglio di amministrazione abbia respinto all’unanimità l’offerta per l’acquisizione del club e ribadito il pieno impegno nel sostegno al nuovo corso dirigenziale.
A rafforzare il messaggio, nelle stesse ore, è arrivato anche un intervento diretto di John Elkann, diffuso sui canali ufficiali della Juventus. Un video breve, meno di un minuto, ma importante. Elkann sceglie una veste informale, indossa una felpa con la scritta Juventus e parla di identità e di responsabilità. Traduzione per i tifosi che sognano nuovi padroni o un ritorno di Andrea Agnelli: il mercato è aperto per Gedi, ma non per la Juve. Il video va oltre le parole. Chiarisce ciò che viene smentito e ciò che resta aperto. Elkann chiude alla vendita della Juventus. Ma non chiude alla vendita di giornali e radio.
La linea, in realtà, era stata tracciata. Già ai primi di novembre, intervenendo al Coni, Elkann aveva dichiarato che la Juve non era in vendita, parlando del club come di un patrimonio identitario prima ancora che industriale. Uno dei nodi resta il prezzo. L’offerta attribuiva alla Juventus una valutazione tra 1,1 e 1,2 miliardi, cifra che Exor giudica distante dal peso economico reale (si mormora che Tether potrebbe raddoppiare l’offerta). Del resto, la Juventus è una società quotata, con una governance strutturata, ricavi di livello europeo e un elemento che in Italia continua a fare la differenza: lo stadio di proprietà. L’Allianz Stadium non è solo un simbolo. Funziona come asset industriale. È costato circa 155 milioni di euro, è entrato in funzione nel 2011 e oggi gli analisti di settore lo valutano tra 300 e 400 milioni, considerando struttura, diritti e capacità di generare ricavi. L’impianto produce flussi stabili, consente pianificazione e riduce l’esposizione ai risultati sportivi di breve periodo.
I numeri di bilancio completano il quadro. Nei cicli più recenti la Juventus ha generato ricavi operativi tra 400 e 450 milioni di euro, collocandosi tra i principali club europei per fatturato, come indicano i report Deloitte football money league. Prima della pandemia, i ricavi da stadio oscillavano tra 60 e 70 milioni di euro a stagione, ai vertici della Serie A. Su queste basi, applicando multipli utilizzati per club con brand globale e asset infrastrutturali, negli ambienti finanziari la valutazione industriale della Juventus viene collocata tra 1,5 e 2 miliardi di euro, al netto delle variabili sportive.
Il confronto con il mercato rafforza questa lettura. Il Milan è stato ceduto a RedBird per circa 1,2 miliardi di euro, senza stadio di proprietà e con una governance più complessa. Quel prezzo resta un riferimento nel calcio italiano. Se quella è stata la valutazione di un top club privo dell’asset stadio, risulta difficile immaginare che la Juventus possa essere trattata allo stesso livello senza che il socio di controllo giudichi l’operazione penalizzante.
A incidere è anche il profilo dell’offerente. Tether, principale emittente globale di stablecoin, opera in un perimetro regolatorio diverso da quello degli intermediari tradizionali, seguito con attenzione anche da Consob. Dopo l’ultimo aumento di capitale bianconero, Standard & Poor’s ha declassato la capacità di Usdt di mantenere l’ancoraggio al dollaro. Sul piano reputazionale pesa, inoltre, il giudizio dell’Economist (del gruppo Exor), secondo cui la stablecoin è diventata uno strumento utilizzato anche nei circuiti dell’economia sommersa globale, cioè sul mercato nero.
Intorno alla Juventus circolano anche altre ipotesi. Si parla di Leonardo Maria Del Vecchio, erede del fondatore di Luxottica e azionista di EssilorLuxottica attraverso la holding di famiglia Delfin, dopo l’offerta presentata su Gedi, e di un possibile interesse indiretto di capitali mediorientali. Al momento, però, mancano cifre e progetti industriali strutturati. Restano solo indiscrezioni.
Sullo sfondo continua intanto a emergere il nome di Andrea Agnelli. L’ex presidente dei nove scudetti ha concluso la squalifica e raccoglie il consenso di una parte ampia della tifoseria, che lo sogna come possibile punto di ripartenza. L’ipotesi che circola immagina un ritorno sostenuto da imprenditori internazionali, anche mediorientali, in un contesto in cui il fondo saudita Pif, guidato dal principe ereditario Mohammed bin Salman e già proprietario del Newcastle, si è imposto come uno dei principali attori globali del calcio.
Un asse che non si esaurisce sul terreno sportivo. Lo stesso filone saudita riaffiora nel dossier Gedi, ormai entrato nella fase conclusiva. La presenza dell’imprenditore greco Theodore Kyriakou, fondatore del gruppo Antenna, rimanda a un perimetro di relazioni che incrocia capitali internazionali e investimenti promossi dal regno saudita. In questo quadro, Gedi - che comprende Repubblica, Stampa e Radio Deejay - è l’unico asset destinato a cambiare mano, mentre Exor ha tracciato una linea netta: il gruppo editoriale segue una strada propria, la Juventus resta fuori (al momento) da qualsiasi ipotesi di cessione.
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Finanziere puro. John Elkann, abilissimo a trasformare stabilimenti e impianti, operai e macchinari, sudore e fatica in figurine panini da comprare e vendere. Ma quando si tratta di gestire aziende «vere», quelle che producono, vincono o informano, la situazione si complica. È un po’ come vedere un mago dei numeri alle prese con un campo di calcio per stabilirne il valore e stabilire il valore dei soldi. Ma la palla… beh, la palla non sempre entra in porta. Peccato. Andrà meglio la prossima volta.
Prendiamo Ferrari. Il Cavallino rampante, che una volta dominava la Formula 1, oggi ha perso la capacità di galoppare. Elkann vende il 4% della società per circa 3 miliardi: applausi dagli azionisti, brindisi familiare, ma la pista? Silenziosa. Il titolo è un lontano ricordo. I tifosi hanno esaurito la pazienza rifugiandosi nell’ironia: «Anche per quest’anno vinceremo il Mondiale l’anno prossimo». E cosi gli azionisti. Da quando Elkann ha collocato quelle azioni il titolo scende e basta. Era diventato il gioiello di Piazza Affari. Dopo il blitz di Elkann per arricchire Exor il lento declino.
E la Juventus? Sotto Andrea Agnelli aveva conquistato nove scudetti di fila, un record che ha fatto parlare tutta Italia. Oggi arranca senza gloria. Racconta Platini di una breve esibizione dell’erede di Agnelli in campo. Pochi minuti e si fa sostituire. Rifiata, chiede di rientrare. Il campione francese lo guarda sorridendo: «John, questo è calcio non è basket». Elkann osserva da lontano, contento dei bilanci Exor e delle partecipazioni finanziarie, mentre tifosi e giornalisti discutono sulle strategie sportive. La gestione lo annoia, ma la rendita finanziaria quella è impeccabile.
Gedi naviga tra conti in rosso e sfide editoriali perdenti. Cairo, dall’altra parte, rilancia il Corriere della Sera con determinazione e nuovi investimenti. Elkann sorride: non è un problema gestire giornali, se sai fare finanza. La lezione è chiara: le aziende si muovono, ma i capitali contano di più.
Stellantis? La storia dell’auto italiana. La storia della dinastia. Ora un condominio con la famiglia Peugeot. Elkann lascia fare, osserva i mercati e, quando serve, vende o alleggerisce le partecipazioni. Anche qui, la gestione operativa non è il punto forte: ciò che conta è il risultato finanziario, non il numero di auto prodotte o le fabbriche gestite.
E gli investimenti? Alcuni brillano, altri richiedono pazienza. Philips è un esempio recente: un investimento ambizioso che riflette la strategia di diversificazione di Exor, con qualche rischio incorporato. Ma se si guarda al quadro generale, Elkann ha accumulato oltre 4 miliardi di liquidità entro metà 2025, grazie a vendite mirate e partnership strategiche. Una cifra sufficiente per pensare a nuove acquisizioni e opportunità, senza perdere il sorriso.
Perché poi quello che conta per John è altro. Il gruppo Exor continua a crescere in valore. Gli azionisti vedono il titolo passare da un minimo storico di 13,44 euro nel 2011 a circa 72 euro oggi, e sorridono. La famiglia Elkann Agnelli si gode i frutti degli investimenti, mentre il mondo osserva: Elkann è il finanziere perfetto, sa fare ciò che conta davvero, cioè far crescere la ricchezza e proteggere gli asset della famiglia.
In fondo, Elkann ci ricorda che la finanza ha il suo fascino anche quando la gestione aziendale è complicata: vendere, comprare, accumulare, investire con giudizio (e un pizzico di fortuna) può essere altrettanto emozionante che vincere scudetti, titoli di Formula 1 o rilanciare giornali. Il sorriso di chi ha azioni Exor vale più di qualsiasi trofeo, e dopotutto, questo è il suo segreto.
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