2022-06-14
Via le maschere, restano i pagliacci
I ministri Roberto Speranza e Patrizio Bianchi cedono sulla maturità: le protezioni solo «fortemente raccomandate». Ma intanto gli esami sono già cominciati. E fioccano gli studi che spiegano quanto i provvedimenti anti Covid abbiano comportato effetti disastrosi sull’apprendimento e sul comportamento degli studenti.L’agenzia Onu denuncia le ricadute sociali e psicologiche della serrata degli istituti durante la pandemia. L’Italia, con 38 settimane, è tra i Paesi con lo stop più lungo. Docenti ed esperti allarmati: «Disturbi dell’apprendimento, carenze e disagi emotivi in aumento».Lo speciale contiene due articoli.Walter Ricciardi doveva aver già capito l’antifona. Mascherine alla maturità? «Nei luoghi chiusi restano indispensabili», commentava con Adnkronos, «ma la decisione concreta la prenderà la politica». E la politica, gli appigli alla sacra scienza, li aveva esauriti da un pezzo. Un esempio? Allo studio legale che gli aveva chiesto su quali basi fossero stati imposti i bavagli a scuola, Gianni Rezza aveva dovuto rispondere: «Questa amministrazione non è in possesso della specifica documentazione richiesta». Le pressioni per liberare i ragazzi dalla museruola, ormai, si erano fatte insostenibili persino per gli oltranzisti della Cattedrale sanitaria. Da ultimo, il sottosegretario alla Salute, Andrea Costa, aveva promesso che, al più tardi, il cdm di domani avrebbe sbloccato tutto. Così, ieri, dopo un vertice pomeridiano cui ha partecipato il presidente dell’Iss, Silvio Brusaferro, Roberto Speranza e Patrizio Bianchi, insieme alla Ffp2, si son dovuti calare pure le braghe: mascherina agli esami non più obbligatoria. Resta la «raccomandazione», giusto per fingere che non sia uno smacco clamoroso. Varrà anche per gli scritti e anche per la terza media.Qui sta un inghippo. Perché, per rendere operativo il cambio di passo, servirà «una norma al prossimo Consiglio dei ministri», seguita da «una circolare esplicativa alle scuole». Il solito vortice burocratico. La linea Caesar di chi, per partito preso, vorrebbe portare avanti l’estrema vessazione nei confronti di quasi due milioni di ragazzi e dei loro docenti. Come precisava un’agenzia stampa, quindi, «bisognerà attendere». Solo che, nel frattempo, le prove, alle medie, sono già cominciate: qualcuno è partito ieri, qualcun altro parte oggi. Chi arriverà prima? Il permesso di scoprirsi la faccia o il voto dell’orale? Per la maturità, il discorso è diverso. Sarà difficile tirarla talmente per le lunghe da beffare gli alunni dei licei. Ecco perché è sacrosanto rivendicare questa storica vittoria sul carrozzone pandemico. Matteo Salvini, incassati la batosta del referendum e i deludenti risultati del suo partito alle amministrative, ha sottolineato che il governo ha accolto «la richiesta della Lega». Il sottosegretario all’Istruzione del Carroccio, Rossano Sasso, in effetti, si era molto speso per la causa. Il punto, comunque, è stato messo a segno con il contributo dei pochi, La Verità in primis, che da settimane insistevano sulla totale assenza di basi scientifiche dell’obbligo di imbacuccarsi naso e bocca. Una regola che il ministro Bianchi s’era ostinato a difendere con argomenti grotteschi. Ebbene, con buona pace del «valore educativo» delle mascherine, che insegnerebbero «il rispetto» e incarnerebbero un fantomatico «patto per la sicurezza», i talebani del Covid hanno dovuto rinunciare a imbavagliare i seggi. E adesso, sono stati costretti a cedere pure sulla scuola. Lorsignori ci spiegheranno, come hanno provato a fare per giustificare l’osceno balletto sulle museruole alle urne, che la scelta è maturata «alla luce del mutato quadro epidemiologico». Balle sesquipedali. Semmai, il «quadro epidemiologico» è in lieve peggioramento. La realtà, appunto, è che non esisteva mezza ragione tecnica per tenere in piedi l’inutile persecuzione. Gli studi comparati l’hanno messo in luce ampiamente: i Paesi in cui sono state imposte le mascherine in aula avevano curve dei contagi sovrapponibili a quelle delle nazioni più lasche. Intanto, però, protocolli e distanziamenti, chiusure e didattica a distanza hanno rovinato la psiche dei giovani - nonché la loro preparazione. Siamo sempre lì: le politiche sanitarie non dovrebbero fondarsi sull’ideologia, bensì su un’accorta valutazione di costi e benefici di ciascuna misura. Se non alle evidenze, i sacerdoti delle restrizioni eterne si sono dovuti arrendere all’assedio culturale e politico. Cosa succederà a settembre? Non escludiamo che, in vista dell’autunno, la ditta Speranza si rifaccia avanti. Specie se, con lo zampino di Omicron 5, si dovesse riaprire qualche spazio d’intervento. Vigileremo, qualora dovesse tornare la moda della «nuova normalità» in classe. Tuttavia, già domani, in cdm, si aprirà un nuovo fronte. Scadrà il precedente decreto sulle mascherine e bisognerà stabilire in quali casi prorogarne l’utilizzo coatto. Tanti saluti - ci siamo abituati - al congruo anticipo dei provvedimenti, che Mario Draghi promise quando s’insediò a Palazzo Chigi… Le bardature dovrebbero sparire da cinema, teatri e manifestazioni sportive, mentre i massimalisti tengono duro sui trasporti: autobus, treni, metrò e aerei, dove, al solito, siamo gli ultimi dei mohicani mascherati. Cosa inventeranno per aggrapparsi a questi scampoli di regimetto? Che ci sono i ceppi ricombinanti? Che bisogna passare per il viatico della quarta dose? Che dobbiamo tutelare i fragili? Che è meglio essere prudenti? Che è necessario dare il buon esempio? Il repertorio delle scuse è inesauribile. Il fatto è che ai pagliacci dell’esecutivo, la Ffp2 serve a poco: la faccia che dovrebbero coprire, infatti, l’hanno già persa.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/via-maschere-restano-pagliacci-2657504312.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="loms-boccia-le-misure-anti-covid-a-scuola" data-post-id="2657504312" data-published-at="1655166025" data-use-pagination="False"> L’Oms boccia le misure anti Covid a scuola L’ha ricordato anche l’Oms, il Covid-19 ha creato la più grande interruzione dei sistemi educativi della storia, colpendo quasi 1,6 miliardi di studenti in più di 190 Paesi. Le scuole non sono state chiuse solo in pochissimi Stati, in ogni parte del mondo si sono decide sospensioni delle lezioni più o meno lunghe, fino a più di un anno. Per l’Italia sono state conteggiate 38 settimane di chiusura scolastica, come in Germania, 15 settimane in Spagna, in Francia 12, 24 in Svezia e Portogallo, 43 settimane in Polonia. Oggi, nonostante la variante Omicron, le scuole sono aperte quasi ovunque, supportate da protocolli di salute e sicurezza e programmi di vaccinazione. «Ma i costi», per le chiusure che ci sono state, «saranno enormi in termini di perdite di apprendimento, salute, benessere e abbandono scolastico», avverte l’Organizzazione mondiale della sanità. Le misure adottate per arginare l’epidemia stanno avendo un profondo effetto sulla salute e sul benessere dei giovani, che potranno subire conseguenze per diversi anni. Basta solo guardare che cosa sta capitando ai più piccoli sul fronte apprendimento. «Gli studenti delle terze elementari fanno ancora errori con le doppie, hanno problemi di comprensione del testo e di problemi matematici. Prima della pandemia raramente vedevamo ancora, e con questa frequenza, errori così pesanti», ha raccontato a Repubblica un’insegnante di Trastevere». Bambini che hanno problemi a terminare i compiti, a ripetere ad alta voce un concetto appreso durante le lezioni, allievi che non riescono ad avere momenti di socialità insieme. La preside dell’Istituto comprensivo Giovan Battista Valente di Roma, Rosamaria Lauricella, ha fatto riferimento a «vuoti didattici» per risolvere i quali «è necessario prima colmare i danni emotivi provocati dalla pandemia». Flavio Di Silvestre, dirigente scolastico dell’istituto Paolo Stefanelli dove sono stati effettuati gli scrutini di 81 classi su 109, parla di carenze generalizzate. Pure alle superiori ci sono difficoltà, in particolar modo tra gli studenti del terzo anno che hanno un biennio di incertezze alle spalle e senza il supporto del personale docente. «Per capire la portata dell’impatto della pandemia su questa generazione, basta prendere in considerazione la scuola secondaria di primo grado, dove più di mezzo milione di studenti che frequentano oggi la terza media non ha mai vissuto pienamente gli ambienti di apprendimento che la scuola offre: si sono destreggiati tra dad, did, quarantene, non potendo, in molti casi, neanche fare una vera e propria ricreazione con gli altri studenti, partire in gita, partecipare alle feste e alle attività extracurriculari che consentono di conoscersi ancora di più e meglio, anche al di fuori dell’orario scolastico», denunciava a febbraio Raffaela Milano di Save the Children. L’emergenza Covid-19 ha segnato la prima elementare di 1,5 milioni di alunni, il primo anno delle medie di 1,6 milioni di studenti e l’ingresso alle superiori di 1,7 milioni di ragazzi. «Il disturbo prevalente, al momento, è il disturbo dell’apprendimento», segnalava sempre a febbraio la psicopedagogista Fiorenza Ricciardi, responsabile del progetto zero 17 Fatebenefratelli. Spiegava che «non significa semplicemente essere distratti o svogliati ma manifestare una sofferenza, come la difficoltà a comprendere i testi o seguire le lezioni, a fronte di una normale capacità cognitiva». Aggiungeva che «i disturbi specifici dell’apprendimento vengono diagnosticati intorno al secondo anno della scuola primaria, di solito», mentre oggi i bambini presentano un ampio spettro di problemi, dai disagi emotivi alla difficoltà nella costruzione dell’immagine di sé e nella relazione con i coetanei. L’Oms ricorda che la scuola fornisce l’apprendimento essenziale e quando le scuole chiudono, i bambini e i giovani sono privati delle opportunità di crescita e sviluppo. Non secondaria è la questione alimentazione sana e gratuita, la cui fornitura si interrompe con la sospensione delle lezioni e ne consegue un grave danno nutrizionale per molti. Lontano da scuola, bambini e giovani perdono il contatto sociale, essenziale per l’apprendimento e lo sviluppo, mentre i genitori vengono caricati del compito non facile di seguirli nell’apprendimento. In assenza di alternative, mamme e papà che lavorano spesso lasciano i bambini da soli e questo può portare a comportamenti rischiosi per sé stessi e per gli altri. Gli insegnanti spesso non sono sicuri dei propri obblighi e di come mantenere i contatti con gli studenti, per supportare l’apprendimento. Ed è proprio sul tema degli esami necessari per valutare l’ammissione o l’avanzamento a nuovi livelli di istruzione, che risulta fondamentale garantire continuità. «Le interruzioni delle valutazioni provocano stress per gli studenti e le loro famiglie e possono innescare il disimpegno», avverte l’Oms. Si è già verificato più volte, nei due anni di pandemia, i giovani purtroppo pagheranno le conseguenze proprio nei prossimi esami.
La deposizione in mare della corona nell'esatto luogo della tragedia del 9 novembre 1971 (Esercito Italiano)
Quarantasei giovani parà della «Folgore» inghiottiti dalle acque del mar Tirreno. E con loro sei aviatori della Royal Air Force, altrettanto giovani. La sciagura aerea del 9 novembre 1971 fece così impressione che il Corriere della Sera uscì il giorno successivo con un corsivo di Dino Buzzati. Il grande giornalista e scrittore vergò alcune frasi di estrema efficacia, sconvolto da quello che fino ad oggi risulta essere il più grave incidente aereo per le Forze Armate italiane. Alle sue parole incisive e commosse lasciamo l’introduzione alla storia di una catastrofe di oltre mezzo secolo fa.
(…) Forse perché la Patria è passata di moda, anzi dà quasi fastidio a sentirla nominare e si scrive con la iniziale minuscola? E così dà fastidio la difesa della medesima Patria e tutto ciò che vi appartiene, compresi i ragazzi che indossano l’uniforme militare? (…). Buzzati lamentava la scarsa commozione degli Italiani nei confronti della morte di giovani paracadutisti, paragonandola all’eco che ebbe una tragedia del 1947 avvenuta ad Albenga in cui 43 bambini di una colonia erano morti annegati. Forti le sue parole a chiusura del pezzo: (…) Ora se ne vanno, con i sei compagni stranieri. Guardateli, se ci riuscite. Personalmente mi fanno ancora più pietà dei leggendari piccoli di Albenga. Non si disperano, non singhiozzano, non maledicono. Spalla a spalla si allontanano. Diritti, pallidi sì ma senza un tremito, a testa alta, con quel passo lieve e fermissimo che nei tempi antichi si diceva appartenesse agli eroi e che oggi sembra completamente dimenticato (…)
Non li hanno dimenticati, a oltre mezzo secolo di distanza, gli uomini della Folgore di oggi, che hanno commemorato i caduti di quella che è nota come la «tragedia della Meloria» con una cerimonia che ha coinvolto, oltre alle autorità, anche i parenti delle vittime.
La commemorazione si è conclusa con la deposizione di una corona in mare, nel punto esatto del tragico impatto, effettuata a bordo di un battello in segno di eterno ricordo e di continuità tra passato e presente.
Nelle prime ore del 9 novembre 1971, i parà del 187° Reggimento Folgore si imbarcarono sui Lockheed C-130 della Raf per partecipare ad una missione di addestramento Nato, dove avrebbero dovuto effettuare un «lancio tattico» sulla Sardegna. La tragedia si consumò poco dopo il decollo dall’aeroporto militare di Pisa-San Giusto, da dove in sequenza si stavano alzando 10 velivoli denominati convenzionalmente «Gesso». Fu uno di essi, «Gesso 5» a lanciare l’allarme dopo avere visto una fiammata sulla superficie del mare. L’aereo che lo precedeva, «Gesso 4» non rispose alla chiamata radio poiché istanti prima aveva impattato sulle acque a poca distanza dalle Secche della Meloria, circa 6 km a Nordovest di Livorno. Le operazioni di recupero dei corpi furono difficili e lunghissime, durante le quali vi fu un’altra vittima, un esperto sabotatore subacqueo del «Col Moschin», deceduto durante le operazioni. Le cause della sciagura non furono mai esattamente definite, anche se le indagini furono molto approfondite e una nave pontone di recupero rimase sul posto fino al febbraio del 1972. Si ipotizzò che l’aereo avesse colpito con la coda la superficie del mare per un errore di quota che, per le caratteristiche dell’esercitazione, doveva rimanere inizialmente molto bassa.
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