2019-01-14
«Vi spiego gli errori tedeschi (e non solo quelli sui quadri)»
Il direttore degli Uffizi Eike Dieter Schmidt: «Io teutonico? Ma no, tifo pure per gli Azzurri. Se l'Europa ha un senso la Germania restituisca il “Vaso di fiori" rubato dai nazisti. La Gioconda? Lasciamola dov'è».Direttore Schmidt, oggi si sente più tedesco o più italiano?«Io sono un fiorentino di nazionalità tedesca». In che senso?«Nel senso che ho la carta d'identità italiana ma il passaporto tedesco. E amo l'Italia da sempre. Sono venuto qui da ragazzo per la tesi di dottorato. Qui ho conosciuto mia moglie (romagnola di Cesenatico, ndr) e il cibo italiano». E quindi si è innamorato prima della bistecca alla fiorentina, e poi delle donne italiane?«Se proprio dobbiamo fare una classifica, sì: prima la cucina, poi la moglie, poi l'arte. La mia signora in realtà mi definisce un tedesco napoletano».Un incrocio rarissimo. Praticamente un ogm.«Dice che ho assorbito alcune abitudini tutte italiane, tra cui la scarsa propensione alla puntualità. Del resto sono di Friburgo, estremo Sud della Germania. Facciamo così: mi può definire un “tedesco meridionale". Può andare?».Eike Schmidt è il direttore delle Gallerie degli Uffizi di Firenze. Ha rivolto un appello alla madrepatria tedesca affinché restituisca all'Italia il Vaso di fiori del pittore olandese Jan van Huysum, scippato dai soldati nazisti durante la seconda guerra mondiale, ed esposto agli Uffizi fino al 1943. Il settimanale tedesco Der Spiegel ha addirittura ritrovato la lettera originale del caporale della Wermacht che ha trafugato l'opera per donarla alla moglie. Attualmente il quadro è in possesso d'una famiglia tedesca. È stato offerto allo Stato italiano in cambio di soldi: praticamente un riscatto. Quindi è scattata un'indagine per estorsione, coordinata dalla procura di Firenze, che vede adesso quattro cittadini tedeschi indagati.Oggi ha esposto una copia del quadro della discordia con la scritta «Rubato». È una battaglia personale, la sua? «Anche. Se prendo sul serio una battaglia, mi ci identifico. Comunque, in questa storia non voglio avere un ruolo decisivo. Mi interessa il risultato: quel quadro è italiano e deve tornare a Firenze, a Palazzo Pitti». Intanto ha un alleato importante: il ministro dei Beni culturali, Alberto Bonisoli, dice che ci sarà un'azione congiunta per riportare a casa la tela.«C'è un canale aperto a più livelli: giuridico, diplomatico, e finalmente anche mediatico. Devo riconoscere che ho ricevuto un grandissimo appoggio a tutti i livelli: non solo dagli italiani, ma anche da molti tedeschi». Il problema è che in Germania vige la prescrizione artistica. Passato un certo numero di anni, chi ha avuto ha avuto, e chi ha dato ha dato. «È l'unico Paese europeo che prevede la prescrizione per le opere rubate all'estero. È un vuoto giuridico che va colmato. Ma c'è anche una grossa questione morale sul tavolo». Cioè?«L'Europa non è solo un'unione economica, ma anche culturale. E un Paese centrale come la Germania non può trattenere entro i suoi confini opere d'arte rubate. Se siamo davvero un continente unito, sulla cultura dobbiamo avere le stesse regole. E la Germania deve fare il primo passo. Non c'entra il nazionalismo: c'entra la giustizia». Ora a Berlino diranno che lei è un traditore della patria. «Al contrario, mi scrivono tanti tedeschi. Mi trasmettono solidarietà e mi incitano ad andare avanti».Nessuna minaccia?«Una minaccia in effetti mi è arrivata. Una mail firmata da un tour operator belga. Pensi un po'». Di questo passo ai prossimi mondiali di calcio tiferà Italia.«Guardi che tifo Azzurri già da anni. Oltre ovviamente alla Fiorentina. E con un paio di juventini agli Uffizi ho accese discussioni». Torniamo al Vaso di fiori. Perché i tedeschi non ce lo restituiscono? Orgoglio teutonico?«È una questione di politica interna tedesca, stanno litigando proprio come accade in Italia. Di opere rubate si parlava poco, in Germania. Finché a Monaco nel 2012 non hanno ritrovato 1.500 opere trafugate dai nazisti, appartenenti ai maggiori artisti del Novecento. Ora sta montando la bufera, ma per anni noi tedeschi ci siamo vergognati di parlarne». Il passato che non passa?«Fare i conti con il nazismo è sempre stato un tema delicato. Solo dagli anni Settanta si è potuta intavolare una discussione libera sul Terzo Reich». Quanti tesori appartenenti all'Italia sono stati trafugati e nascosti all'estero?«La banca dati dei carabinieri conta 1.200.000 opere d'arte. Rubate in guerra o in furti comuni. Depredando musei, palazzi e basiliche. Una per tutte: la Testa di fauno di Michelangelo Buonarroti, al Bargello. Trafugata nel 1944, non sappiamo che fine ha fatto». C'è chi pensa all'arma atomica: smettiamo di prestare le nostre opere ai musei esteri, finché le cancellerie non ci rendono la refurtiva. Può funzionare?«Siamo ancora lontani da un'iniziativa del genere. Non possiamo scatenare una guerra nucleare». È vero però che i tesori italiani tengono in piedi la metà delle mostre mondiali?«È stato così fino a 30 anni fa. Oggi, con il fiorire dell'arte contemporanea in tutto il mondo, l'Italia non ha più questo potere di pressione». Come ha fatto a entrare nella top 10 mondiale dei direttori museali? «Lavoro sodo. E poi ho una squadra formidabile. È stato un risultato magnifico raggiunto insieme». Qual è stato il primo impatto con gli Uffizi?«Sul piano manageriale il museo era allo sbando. Soprattutto c'era la piaga delle lunghe file all'ingresso. Abbiamo preso il problema per le corna».Un sistema anti code?«Una coda all'ingresso è come se avesse vita propria, nasce e si sviluppa in un certo modo. Ci siamo messi a osservarle e poi abbiamo forgiato un algoritmo con l'Università dell'Aquila. Sta funzionando: nessuno fa più di 5 minuti di fila». Il trend è positivo?«I visitatori crescono. Oggi superiamo i 4 milioni all'anno tra Uffizi, Palazzo Pitti e Giardino di Boboli. Abbiamo nove nuove sale ad alto livello tecnologico. Per decenni le opere erano esposte in base a criteri campanilistici, come il luogo di nascita dell'artista. Io li ho riordinati in base allo sviluppo storico, anche uscendo dai confini: sa che la collezione dei Medici comprende anche pitture irlandesi?».Attualmente cosa si può vedere?«I disegni di Leonardo da Vinci, tra cui il famoso Codice Leicester, di proprietà di Bill Gates. A febbraio arte barocca e contemporanea. E poi a Palazzo Pitti è in corso Animalia fashion, stilisti contemporanei tra moda e zoologia». Perché tra i primi dieci musei del mondo per visitatori, l'Italia non compare?«Semplicemente perché in Cina e in America ci sono afflussi non paragonabili. E poi i loro musei sono modernissimi e progettati per ospitare molte più persone rispetto a un palazzo del Cinquecento». Solo per questo?«L'Italia ha tanti gioielli sparsi sul territorio. Solo che non sono collegati. I musei devono fare rete in maniera intelligente, con la giusta politica promozionale fatta di incentivi. Se entro agli Uffizi ottengo un biglietto gratis per il Museo archeologico. Anche per questo siamo cresciuti negli ultimi tre anni». È favorevole alle domeniche gratis, per spingere gli italiani verso la cultura?«È una scelta positiva per quelli che magari non vanno al museo dai tempi della scuola. Però molti tour operator se ne stanno approfittando. Magari potremmo diversificare, individuando un giorno ogni volta diverso». Vittorio Sgarbi propone musei gratis sempre e comunque per gli italiani.«A Londra ci hanno provato ma non ha funzionato. Non è solo questione di soldi, dipende dalla qualità dell'offerta». Gli italiani sono un popolo allergico all'arte?«Assolutamente no. Anzi, i dati ci dicono che quando gli italiani vanno in vacanza all'estero scelgono il museo molto più spesso degli altri». Recuperato il Vaso di fiori, si batterà al grido nostrano di «aridatece la Gioconda»?«No, per carità. La Giocanda è stata portata in Francia volontariamente da Leonardo. Tra l'altro è estremamente fragile. Lasciamola dov'è».Dopo tanti anni, cosa non le va giù dell'Italia?«La burocrazia. E la tendenza ad autocriticarsi. Per ogni facezia, non fate che dire: “Succede solo in Italia". Non è vero, succede dappertutto». E cosa non sopporta della Germania?«Sempre la burocrazia. Spesso è poco umana, rigida e cieca». Tra un anno dovrà lasciare Firenze per Vienna. Il suo cuore resta qui?«Mi mancheranno soprattutto gli amici e i collaboratori. Spero che mi vengano a trovare. Mia moglie ovviamente viene con me». È stata l'arte a farvi innamorare?«Anche lei è una storica dell'arte. All'inizio lavoravamo insieme. Oggi a casa ci dividiamo i compiti. Lei si occupa di arte medievale, io di arte moderna».Dunque per conquistarla la invitò al museo? «Ora non esageriamo. Non di sola arte vive l'uomo».
Rod Dreher (Getty Images)