2022-08-17
Vittorio Vaccaro: «Vi dico di che pasta sono fatto e qual è il mio menu d’attore»
Vittorio Vaccaro (Food Network)
Il protagonista di «A casa cucina papà» ha partecipato a serie e sit-com televisive e ha fatto molta pubblicità. Fino a quando...Vittorio Vaccaro, conduttore di un fortunato programma culinario, A casa cucina papà, in onda da luglio sul canale Food network, è un artista eclettico che ha saputo coniugare le sue passioni: la recitazione e il cibo. In un panorama televisivo in cui i cuochi, sempre più calati nei loro personaggi, giocano a fare gli attori, ecco finalmente un attore che sa effettivamente cucinare e dosa gli ingredienti con la stessa fantasia che lo contraddistingue sul palcoscenico.Lei ha la cucina nel sangue!«Mia madre aveva un bar con suo fratello a Calascibetta, un paesino di 4.000 abitanti di fronte a Enna. Un giorno disse: “Bisogna fare dei dolci!”. Mio padre rispose: “Vengo io”. Siccome ha un grande talento, cominciò a fare dei dolci strepitosi, si sparse la voce e la gente la domenica faceva la fila per comprarli. Poi si dedicò anche al salato e questo piccolo locale si ingrandì. Adesso mio padre ha un lievito madre che cresce da quasi trent’anni e l’impasto della pizza è grigiastro perché va alla ricerca di farine particolari». Come si chiama questa trattoria?«Da Savia, il nome di mia madre. Chi passa dall’autostrada, nei pressi di Calascibetta, si ferma a mangiare lì. È un’istituzione nella zona».Ha mai lavorato con i suoi genitori?«Quando avevo quindici-sedici anni, crearono un angolo dove si trovavano i panini che oggi definiremo gourmet e li preparavo io. Eravamo innovativi!».Poi però si è staccato dalle sue origini…«A 19 anni ho scoperto che c’era vita oltre l’isola. Ho fatto le prime esperienze nei villaggi turistici e sulle crociere, come animatore, e a 22 ho fatto il provino al Piccolo teatro di Milano e all’Accademia Nico Pepe di Udine».Aveva già l’idea di fare l’attore? «Fin da bambino, l’attore e il regista. Le maestre delle elementari dicevano ai miei genitori: “Sto ragazzo non è come gli altri bambini: non è triste e basta, questo sembra un attore!”. I miei genitori dicevano: “Sì, vabbè, quando cresce ne parliamo, sono cose da ragazzini”. Alle scuole superiori ero il primo a organizzare le recite scolastiche, facevo lo scenografo e il regista. Finché a 22 anni ho letto casualmente il bando delle Accademie italiane».Ha provato prima al Piccolo teatro?«La settimana prima. Nessuno ha proferito verbo: sono uscito da lì pensando di aver fatto una cagata mostruosa! Ho portato un monologo da La patente di Pirandello, che ho riproposto a Udine. Ero magrino, il fisichetto un po’ sfigatello… Al Piccolo non mi hanno preso. Il giorno dopo il provino a Udine, mentre ritornavo in treno, mi hanno chiamato dall’accademia: “La settimana prossima si cominci a organizzare perché il direttore la vuole tra i quattordici selezionati di quest’anno”. Mi sembrava uno scherzo. Ho chiuso il telefono e ho richiamato. Poi ho chiamato i miei genitori: non sapevano nulla del provino!». Dalla Sicilia a Udine ha avvertito il cambio…«Di passo! La verità è che in quei quasi quattro anni di accademia noi studenti eravamo in una bolla perché entravamo alle dieci del mattino e uscivamo alle otto-nove di sera».Il passaggio alla vita reale dopo l’Accademia è stato complicato?«Il passaggio dopo è praticamente una voragine! Ti diplomi e il giorno dopo sono cavoli tuoi: ti accorgi che fuori gli attori sono tantissimi e lavorano pochissimo. Più che il lavoro, c’erano pochissime compagnie interessanti».Dove ha provato a inserirsi?«Quando sono uscito, la prima cosa che ho fatto è stato un provino per Quarta parete, una trasmissione televisiva di Mediolanum channel, curata da Pino Strabioli. Sono stato preso subito come conduttore del programma».È andato subito in televisione? Un passaggio forte dopo quattro anni di Accademia.«Io ho la mente aperta, inoltre nel bando della trasmissione cercavano attori perché il conduttore recitava alcuni passaggi di teatro. Dopo ho aperto la mia compagnia, che si chiama Teatro Urlo, ho cominciato a fare le mie regie, ritagliandomi ruoli da attore, e ho partecipato a festival internazionali importanti».Facendo base dove?«A Lodi. Perché quando ho finito l’Accademia, dovevo scegliere dove vivere e Lodi era l’ideale: è a venti minuti da Milano e gli affitti costavano meno. La città non offriva quasi nulla per la mia professionalità, allora ho fondato la mia compagnia, sono entrato all’interno del teatro e ho cominciato a creare una realtà forte sul territorio. Abbiamo creato le Officine del teatro e gli attori venivano ad allenarsi a Lodi…».Questo periodo della sua vita quanto è durato?«Fino a prima del lockdown. Con la mia compagnia, che operava sotto forma di associazione culturale, abbiamo aperto un Caffè delle arti, vicino alla stazione di Lodi. C’era una corte ristrutturata, una tipica cascina lodigiana, dove noi facevamo concerti di musica, teatro, laboratori, performance, presentazioni di libri, fotografia etica. È stata un’esperienza meravigliosa. Era un posto dove la gente beveva il bicchiere di vino o mangiava un panino, ma tutto associato alla cultura».Lei cosa faceva?«Io ero il direttore artistico, ma, amando la cucina, ero quello che spadellavo! Sai cosa facevo? Preparavo pentoloni di pasta e poi la distribuivamo a tutti dopo l’evento. Organizzavamo anche il concerto sotto le stelle, per il quale affittavo la cucina di un ristorante gestito da un’altra associazione e preparavo una cena completa. Venivano centinaia di persone, non solo da Lodi, ma anche da Piacenza e Crema, e ancora mi scrivono ricordando quelle serate».Nel frattempo, ha portato avanti la carriera di attore.«Ho partecipato a serie e sit-com televisive e ho fatto molta pubblicità, telepromozioni, televendite per Mediaset. Poi gli attori a Milano vengono spesso chiamati da agenzie per fare i corsi di formazione per le aziende, sulla comunicazione verbale e non verbale, e io lo facevo attraverso il cibo. Se metti dieci persone attorno a un tavolo e gli insegni a preparare la pasta, tu capisci la personalità di ognuno, la capacità di lavorare in team, comprendi se uno si arrende subito o se si incaponisce. Li facevo cucinare! Questa passione del cibo mi ha accompagnato sempre».A casa cucina papà è il suo primo programma di cucina?«Sì, ed è stata un’intuizione geniale della mia compagna…».Luna Berlusconi, figlia di Paolo.«A causa del Covid c’è stata la morte totale del teatro e ho cominciato a farmi dei pensieri sul presente e sul futuro. Luna mi ha detto: “Perché non usi il tuo grande talento per la cucina?”. La mia prima risposta è stata: “Ma io faccio l’attore, mica faccio il cuoco!”. Ero quasi arrabbiato, poi ho fatto pace con me stesso e le ho detto: “Sai che potrebbe essere interessante questa idea?” e da qui è nato A casa cucina papà». Come avete impostato il programma?«La mia idea di base è che non dovevo essere finto: dovevo portare sullo schermo Vittorio con quello che fa veramente nella vita. Agli autori, che mi hanno compreso, ho detto: “Voglio che non mi scriviate niente, solo la scaletta dei piatti. Voglio essere libero”. Poi ho chiesto un’altra telecamera a destra perché nel teatro si usa il cosiddetto “a parte”, quando l’attore parla a sé stesso e solo il pubblico lo sente. Quindi il mio pensiero lo esprimevo in quella camera. Il produttore di Jumpcutmedia mi ha detto: “Non sono convinto, ma te la metto”. Dopo il primo ciak si è esaltato: “È proprio una figata”. Mi sono divertito come un matto!».Quante puntate avete girato?«Per ora abbiamo fatto sei puntate, ciascuna con un tema. In ogni puntata cucino per persone diverse, una volta i suoceri, una volta gli amici, una volta la cena romantica con la moglie o la compagna, ma loro non si vedono e non si sentono. Sono io che, appena finito l’antipasto, dico: “Vado a portare l’antipasto, poi vi faccio vedere cosa ne pensano”. Rientro e riporto i commenti dei commensali. Ecco perché questo programma mi consente di unire cucina e recitazione».È un programma insolito…«Racconta di un papà quarantenne di una famiglia allargata: io ho una figlia, Luna ne ha altre due, ma viviamo tutti sotto lo stesso tetto… la famiglia moderna, del 2022. Un papà dinamico, creativo, che fa un lavoro artistico, però si impegna a ritagliarsi del tempo per potersi dedicare alla famiglia anche attraverso il cibo. All’interno di ogni puntata racconto aneddoti reali del mio passato, partendo proprio da Calascibetta».La sua popolarità televisiva è legata a Forum, la fortunata trasmissione di Mediaset.«Lì faccio l’opinionista. Barbara Palombelli è bravissima: oltre a essere intelligentissima e coltissima, è una che ti insegna il mestiere della televisione senza mai dirti cosa devi fare».A proposito di maestri, a teatro ha avuto la fortuna di lavorare con Nekrosius, il più grande genio del teatro contemporaneo.«Era un nome che leggevo sui libri in Accademia… mi ha ribaltato il cervello nel senso positivo. I maestri ti fanno essere consapevoli, è come se aprissero un pannello di controllo e ti dicessero quale tasto utilizzare. Ci ha insegnato sempre la semplicità: la cosa più banale può essere quella che trasmette più emozioni».Come nella cucina! Preparare un piatto di spaghetti al pomodoro può regalare grandi emozioni.«Più il piatto è semplice, più i prodotti devono essere di qualità. Quando hai attori bravi, non devi fare altro che ripulirli al massimo per trovare il distillato di ognuno. Quando vado a mangiare in un ristorante che propone sapori particolari, soprattutto quelli orientali che mi piacciono molto, torno a casa e comincio a fare ricerche per tentare di associare l’ingrediente che mi ha colpito ai profumi della nostra tradizione mediterranea. La cucina come il teatro è ricerca dell’essenza».