2025-07-14
I vescovi celebrano l’eredità di Biffi a parole ma coi fatti la ignorano
Convegno per i dieci anni dalla scomparsa del cardinale. Zuppi lo elogia però la sua Cei scorda le lezioni su migranti e buonismo.Giacomo Biffi «ha lasciato tanta intelligenza e soprattutto l’indicazione dell’assoluta centralità di Cristo», dice l’arcivescovo Matteo Zuppi, presidente della Conferenza episcopale italiana, celebrando il decimo anniversario della morte del cardinale che fu suo illustre predecessore come arcivescovo di Bologna dal 1984 al 2003. Martedì scorso all’Archiginnasio nel capoluogo emiliano si sono riunite personalità illustri per un convegno intitolato Biffi e la città. C’erano Pier Ferdinando Casini, Pier Luigi Bersani, Alberto Melloni e appunto Zuppi, tutti insieme a spendere parole di elogio per «l’Italiano cardinale» di cui è difficile non serbare memoria. «Ha seminato tantissimo», ha detto ancora Zuppi. «Sono stato a Mapanda, nella missione della Chiesa di Bologna, e li si capisce, per esempio, quanto i suoi frutti vanno avanti e durano degli anni. Era libero perché concepiva il cristianesimo come un avvenimento, una persona, un disegno divino attuato nella storia. Questa era la chiave della sua libertà: non un cristianesimo poco pasquale o poco gioioso, non un cristianesimo solo culturale. È un fatto e non deve essere ridotto a ideologia. Auspicava che Bologna diventasse quella che era convinta di essere: sapiente, intelligente, amante della vita, davvero ospitale e fraterna verso tutti». E non ci sono dubbi sul fatto che Biffi fosse di una intelligenza purissima e affilata, ed è altrettanto vero che abbia seminato tanto, tantissimo. Il punto è: quanto di ciò che ha sparso ha dato frutti? Tanto, probabilmente. I suoi libri sono ancora ristampati e letti, ogni tanto escono testi inediti di grande spessore, e tra i fedeli la sua lezione è meditata e presa a modello. Ma tra gli alti prelati, tra i vescovi, i politici e gli intellettuali che frequentano (almeno a parole) le sacrestie, i semi che egli ha sparso hanno realmente attecchito? A un decennio dalla sua morte, viene da dubitarne, seppur a malincuore. I vescovi italiani, per dire, appaiono lontanissimi dall’orizzonte che Biffi aveva tracciato. «Prima di tutto l’annuncio del Vangelo», diceva il cardinale. «Dovere statutario della Chiesa cattolica, e in essa di ogni battezzato, è di far conoscere a tutti esplicitamente Gesù di Nazaret, il Figlio di Dio morto per noi e risorto, oggi vivo e Signore dell’universo, unico Salvatore dell’umanità intera. Tale missione può essere efficacemente coadiuvata, ma non può essere in alcun modo surrogata da qualsivoglia attività assistenziale. Essa suppone la nostra attitudine al dialogo sincero, aperto, rispettoso con tutti, ma non può mai risolversi nel solo dialogo. Può essere favorita dalla nostra conoscenza oggettiva delle posizioni altrui, ma si avvera soltanto quando noi riusciamo a portare all’esplicita conoscenza di Cristo quei nostri fratelli, che sventuratamente ancora non ne sono beneficiati». Con queste parole Biffi apriva la sua riflessione sull’immigrazione al seminario della Fondazione migrantes il 30 settembre del 2000. Ebbene, oggi questa Fondazione, guidata da monsignor Gian Carlo Perego, si occupa più che altro di lanciare appelli a favore della cittadinanza facile e dell’accoglienza. Di riferimenti al Vangelo ne fa pochi, e quelli che fa servono di solito a sostenere la retorica delle frontiere aperte. Biffi sul tema migratorio fu chiarissimo e molto coraggioso: «I criteri per ammettere gli immigrati non possono essere solamente economici e previdenziali (che pure hanno il loro peso)», disse. «Occorre che ci si preoccupi seriamente di salvare l’identità propria della nazione. L’Italia non è una landa deserta o semidisabitata, senza storia, senza tradizioni vive e vitali, senza un’inconfondibile fisionomia culturale e spirituale, da popolare indiscriminatamente, come se non ci fosse un patrimonio tipico di umanesimo e di civiltà che non deve andare perduto. In vista di una pacifica e fruttuosa convivenza, se non di una possibile e auspicabile integrazione, le condizioni di partenza dei nuovi arrivati non sono ugualmente propizie. E le autorità civili non dovrebbero trascurare questo dato della questione. In ogni caso, occorre che chi intende risiedere stabilmente da noi sia facilitato e concretamente sollecitato a conoscere al meglio le tradizioni e l’identità della peculiare umanità della quale egli chiede di far parte».Di nuovo, non ci sembra di aver sentito uscite simili dalla bocca del caro Perego o dello stesso Zuppi. Viene dunque il forte sospetto che il capo della Cei e i suoi stimati colleghi si comportino proprio come i politici emiliani: pronunciano tante belle parole sul defunto arcivescovo, poi però fingono di non vedere una robusta parte del suo lascito intellettuale e polemico. Zuppi, in realtà, quel lascito lo conosce molto bene. «Io penso che al cardinale desse fastidio la stupidità, la banalità e il politically correct e aveva ragione, aveva ragione! Lui che non amava le etichette, implicitamente criticava il rischio di una Chiesa che blandisce, che rinuncia a dire, a prendere posizione. Questo è molto pericoloso. Biffi mal sopportava i “soloni”, le distorsioni della realtà, uno pseudo progressismo», dice il cardinale e capo della Cei. E aggiunge: «Se - a mio parere - non bisogna fare sconti, allo stesso tempo si deve sempre mantenere aperta la comunicazione con tutti, come fa il Santo padre e come diceva Biffi quando parlava del “dialogo”, altrimenti comunichiamo solo con noi stessi e quello che diciamo viene distorto, non viene più percepito. Il cardinale godeva poi nel punzecchiare certi gnostici salottieri».Già, Biffi non era un cultore del buonismo, anzi amava distruggerlo a colpi di maglio. Che è esattamente il contrario di ciò che i vescovi fanno oggi, anche e soprattutto nella diocesi che fu del cardinale. Piccolo esempio: oggi a Bologna viene inaugurata un’opera di Alberto Pratelli intitolata Umanità, un gigantesco striscione di 120 metri con su scritti i nomi delle «vittime del Covid». Questa originale trovata è molto sponsorizzata dalla diocesi felsinea, soprattutto da Magda Mazzetti che dirige l’ufficio per la pastorale della salute e dichiara: «Il tempo del Covid ci ha fatto vivere un grande dolore, una esperienza faticosa e inaspettata, ma da molti di noi è emerso il meglio di sé. Chi doveva curare lo ha fatto, fino al sacrificio, quello vero; la vita quotidiana è stata ritmata dai bisogni degli altri, e non unicamente dal dovere. Per tutti è stato un tempo di fatica, ma anche di verifica dei propri valori; per molti la scoperta di una nuova dimensione delle relazioni, quella del dono». Davvero commovente. Peccato non venga pronunciata mezza parola sulle atroci e insensate discriminazioni che, in tempi di Covid, anche parte della Chiesa ha avallato. Non stupisce: è appunto il politicamente corretto che domina e ottunde le menti di troppi esponenti della gerarchia ecclesiastica. È contro questa acefala sottomissione che Biffi si è sempre battuto. Ma quelli che oggi lo ricordano sorridenti preferiscono sorvolare, trasformando l’omaggio in una mezza censura.
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