2020-04-25
Verdelli paga (anche) Calciopoli
A Repubblica il direttore barricadero sostituito da uno più dialettico. La corazzata della sinistra è in crisi d'identità e di copie. Il precedente ai tempi della Gazzetta...«Partigiani si nasce, e non si smette di esserlo». È un dito nell'occhio di John Elkann l'ultimo messaggio di Carlo Verdelli, licenziato dall'editore nel giorno del tweet-storm di solidarietà dopo le minacce sulla rete. Un gesto a sorpresa al quale i giornalisti de' La Repubblica hanno risposto con uno sciopero immediato «per le modalità utilizzate» nel cambio di direzione del giornale, che da oggi sarà firmato da Maurizio Molinari in arrivo da La Stampa.Un'uscita shock per la tempistica (si pensava a un avvicendamento dopo l'estate a emergenza virus alle spalle) ma prevedibile per la differenza abissale di sensibilità giornalistica fra un direttore sorprendentemente barricadero rispetto alla sua storia - da Vanity Fair al Far West - e un imprenditore di respiro internazionale che ha nella sobrietà e nel passo felpato due doti imprescindibili. Dicono i soliti bene informati: «Al gruppo Gedi a trazione torinese serve un giornale dialettico, senza il passamontagna, che dialoghi più con il mercato che con l'Anpi». Il nuovo direttore Molinari, equilibrato e molto stimato dall'establishment, avrà un compito complicato nel guidare la corazzata della sinistra italiana in un oceano in profonda crisi d'identità. E di vincere la partita per il digital first (prima il web, poi la carta) come sta accadendo ai giornali leader a livello mondiale. Scrive su Facebook Vittorio Zambardino, che del gruppo Espresso fu il primo, indimenticato leader della rivoluzione digitale: «Per la prima volta il direttore del giornale non è investito dalla missione di salvare il Paese e governare l'agenda politica ma semplicemente da quella di fare il giornale giorno dopo giorno. È un fatto positivo». La Repubblica di Verdelli ansima attorno alle 132.000 copie, i conti sono in rosso, il paragone digitale con il competitor storico (Il Corriere della Sera) è perdente e le quotidiane urla belluine nei titoli allontanano il lettore moderato, sostenitore di quel riformismo progressista che da Eugenio Scalfari in poi non ha mai abbandonato la dialettica di redazione. Solo con Ezio Mauro, per un certo periodo, Repubblica era scivolata nel più feroce antiberlusconismo (molto gradito a Carlo De Benedetti), senza peraltro mai perdere di vista una certa autorevolezza. Quel «Cancellare Salvini» sparato a tutta qualche mese fa come se un avversario politico meritasse l'annientamento, è stato l'inizio della fine.«Roma non perdona», è il titolo del libro di Verdelli sull'avventura negativa in Rai di due anni fa; questo è il secondo indizio. È difficile che un giornalista della sua tempra rimanga con le mani in mano. Vulcanico e con solidi rapporti nel mondo dell'imprenditoria editoriale, potrebbe tornare a Milano e creare una piattaforma digitale concorrente a quella di Repubblica, con una linea di sinistra ortodossa e firme storiche in grado di supportarla come Gad Lerner, Michele Serra e Francesco Merlo. C'è chi sostiene che Carlo De Benedetti sia pronto a sostenere finanziariamente l'avventura. Ad alienare a Verdelli le simpatie della famiglia Agnelli-Elkann avrebbe contribuito una circostanza singolare e lontana: nel 2006, da direttore (interista) della Gazzetta dello Sport, cavalcò Calciopoli, lo scandalo che portò in Serie B la Juventus già di proprietà dell'attuale editore. Sono stranezze, ma le vie di certe decisioni passano anche per i dettagli. «Partigiani si nasce», è la risposta. Totò aggiungerebbe con effetto grottesco «e io modestamente lo nacqui».