
Il leader di Si chiede al premier solidarietà per tutte le «vittime» di Andrea Giambruno. Sulla dignità umana però non può dare lezioni.di libertà. Da parecchi giorni si discute di patriarcato, violenza di genere, emancipazione femminile, e la quasi totalità dei commentatori e dei politici si esprime seguendo il copione, puntando il dito contro i maschi oppressori e portatori di una violenza endemica che merita d’essere controllata tramite opportuna rieducazione da svolgersi fin dalla più tenera età. Tutto ciò che esula da questo discorso precotto e sceneggiato fin nei minimi dettagli non ha semplicemente diritto di cittadinanza, e deve essere espunto dalla discussione pubblica. Se si tenta di seguire una strada di indipendenza e lucidità, si corre il rischio di essere additati quali pericolosi misogini e maschilisti; se al contrario si segue il copione e si pronunciano le battute giuste, tutto è concesso.Un radioso esempio di tale tendenza lo ha fornito Nichi Vendola, trionfalmente tornato alla guida di Sinistra italiana, memorabile evento che ieri i grandi giornali non hanno mancato di segnalare con opportuno risalto. Repubblica in particolare ha dedicato all’ex governatore della Puglia una paginata di intervista in cui il nostro eroe ha potuto impartire ottime lezioni agli amici progressisti. Tra i temi trattati, ovviamente, c’era anche quello della violenza di genere. Vendola lo aveva già affrontato durante il congresso di Sinistra italiana, non perdendo l’occasione di attaccare Giorgia Meloni. A suo dire, il presidente del Consiglio dovrebbe esprimere solidarietà «alle vittime delle performance sessiste» di Andrea Giambruno. Al cronista di Repubblica, che gli chiedeva perché in pochi a sinistra avessero posto il tema, Nichi ha replicato: «Perché c’era di mezzo una donna umiliata dinanzi a milioni di spettatori. E c’era di mezzo la loro bambina. Certo si è visto quanta fiction ci fosse nella vita di coppia celebrata dai rotocalchi. Ma ora che lei pensa di cavarsela con la foto delle donne di famiglia, per dire che non c’entra col patriarcato, glielo voglio dire: avrebbe dovuto dare la propria solidarietà alle donne su cui il suo ex aveva esercitato la sua verve sessista. E la smetta di farsi chiamare “il” presidente. Si rende ridicola».Tutto ciò è davvero suggestivo. Tralasciando il fatto che alcune attiviste femministe potrebbero considerare mansplaining i consigli di Vendola alla Meloni (dopotutto si tratta di un uomo che spiega a una donna come difendere i diritti delle donne), non sfugge una evidente contraddizione. Il bravo Nichi si mostra molto interessato alla dignità femminile, si erge a paladino delle fanciulle e pretende che Giorgia ripari a un (presunto) torto che lei non ha nemmeno commesso. Le intenzioni saranno anche ottime, ma la realizzazione è decisamente scadente. L’uomo che rimprovera Meloni e Giambruno è lo stesso che, per diventare padre assieme al suo compagno, si è avvalso dell’utero in affitto. Ora, a noi risulta che tale pratica sia vietata in Italia e sia considerata dalla Consulta profondamente lesiva della dignità della donna.Dunque ci domandiamo: è più offensivo per le donne, più umiliante e deleterio un commento sessista o lo sfruttamento del corpo e della maternità a fini di guadagno? Se la Meloni deve scusarsi per le «battute sessiste», Vendola non deve scusarsi per aver pagato una donna affinché gli cedesse il frutto del suo ventre? Così funziona il discorso dominante: da giorni ci si accapiglia sul patriarcato, ma guai a parlare di una forma reale, concreta (sanzionata dalla legge) e particolarmente spietata di sottomissione femminile. Perché accade? Perché attaccare il maschio è funzionale al sistema prevalente, mentre stigmatizzare la commercializzazione della vita non lo è affatto.Di conseguenza, se si vuole essere intellettualmente onesti, si deve ammettere che non è possibile, oggi, far valere i «diritti delle donne», ma soltanto alcuni presunti diritti, la cui tutela certo non scardina il meccanismo di dominio attualmente attivo.A ben vedere, rientra in questa prospettiva anche ciò che è accaduto sabato durante la manifestazione convocata da Non una di meno contro la violenza di genere. Un gruppo di attiviste e attivisti, fomentato da alcuni organizzatori, ha preso d’assalto la sede di Pro vita, ha rotto le vetrine, tentato di scardinare la saracinesca e ha gettato all’interno un piccolo e rudimentale ordigno - che per fortuna non è esploso - allo scopo di dare alle fiamme lo stabile, possibilmente (così hanno gridato i manifestanti) con i pro life all’interno. Da questi edificanti eventi apprendiamo che la violenza contro le donne non è mai concessa, a meno che le donne non siano militanti di Pro vita. O, più in generale, a meno che le donne non siano destrorse. E infatti, quando si fa notare a chi bercia sul patriarcato che l’Italia ha un presidente del Consiglio femmina, la risposta è che «Giorgia non vale» perché è di destra, quindi intrisa di patriarcato.In questo quadro, la donna diventa una entità meramente politica, la si può considerare tale soltanto se risponde a determinati criteri politicamente stabiliti, e se abbraccia determinate idee. Se, per esempio, una femmina è contraria all’aborto e si batte perché altre donne abbiano il diritto di nascere o abbiano il diritto di partorire i figli e tenerli, ecco che perde lo status di donna per diventare carne da macello. Può essere insultata, picchiata, aggredita. Un maschio che si sente donna - nell’ottica liberal - va accettato come tale, ma una femmina che professi valori di destra (o di sinistra ma non conformi al pensiero unico) non è accettabile in quanto donna.Se avviene sul piano politico, il femminicidio non solo è accettabile, ma pure consigliato.
Nadia Battocletti (Ansa)
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