2021-11-18
Venditti racconta monsignor Camisasca. «Il “gruppo di amici” parla dei suoi preti»
Antonello Venditti (Ansa)
In un libro il legame tra il cantautore e il vescovo di Reggio Emilia che fa 75 anni. E che ispirò la celebre «In questo mondo di ladri»Ho conosciuto don Massimo nei primi anni ’80. [...] Aveva chiesto di incontrarmi probabilmente perché aveva visto in me una capacità particolare di incontrare persone che vivevano dei disagi, a scuola, negli ospedali, nelle carceri. Dove c’era il disagio io ero presente, forse perché io stesso avevo vissuto un’infanzia disagiata, non economicamente, ma a causa del rapporto con i miei genitori. La mia famiglia era oppressiva. Ero attraversato da una profonda solitudine. A 15 anni pesavo quasi un quintale ed ero «bullizzato» dai miei coetanei.La musica divenne la strada della mia espressione. Attraverso il pianoforte e le mie canzoni tutto il disagio che stavo vivendo mi aprì le porte della conoscenza e dell’espressione del mistero che si nasconde nel cuore degli uomini. Da questo punto di vista, tutte le mie canzoni sono autobiografiche. Esse sono anche una forma di preghiera. Credo che don Massimo si accorse di tutto questo, delle mie problematiche e della mia capacità di attraversarle trasformandole in musica. Aveva tentato di organizzare un mio concerto davanti a Giovanni Paolo II, che poi non si fece… Mi portava spesso a cena da famiglie per me sconosciute dove si discuteva delle sfide che stavano affrontando con i loro figli speciali o con altri aspetti della vita familiare. Senza che io me ne accorgessi e con grande semplicità, don Massimo mi fece entrare in un mondo nuovo, sconosciuto, ma che era già in qualche modo presente dentro di me.Io e lui abbiamo tanti piccoli segreti. Ricordo vagamente di una volta in cui non volevo uscire sul palco per un concerto all’Olimpico se prima non avessi parlato con lui. Così, mentre lo stadio era già pieno e attendeva trepidante l’inizio del concerto, hanno dovuto telefonare a don Massimo per pregarlo di precipitarsi da me. Il nostro rapporto è molto misterioso, difficile da descrivere a parole. Siamo complementari: l’uno cerca l’altro per confortarsi nella grandezza. All’inizio mi era stato presentato come un’«eminenza grigia» di Comunione e Liberazione, per cui la mia aspettativa nell’incontrarlo era tutt’altro che positiva. [....] Quando lo incontrai vidi invece il bianco, una grande luce… Trovai una persona con una profonda intelligenza, una grande cultura e una non comune sensibilità. La luce che mi ha attraversato fin dal nostro primo incontro è stata l’inizio di un’amicizia che non e più finita. [...] Quando fondò la Fraternità San Carlo Borromeo, spesso mi faceva incontrare i suoi seminaristi e i suoi preti. Mi sembrava di essere per lui come una cartina di tornasole per testare l’animo dei suoi «discepoli». [...]Quando andavo a trovarlo nella casa madre della Fraternità, sapevo di essere completamente nelle mani di Dio e accettavo perfino di andare a Messa come se fosse la cosa più naturale del mondo. In uno di questi incontri alla sede della Fraternità, durante una cena, mi si è aperto un mondo: don Massimo mi aveva fatto incontrare dei ragazzi che sarebbero stati ordinati preti il giorno successivo e sarebbero partiti in missione, ognuno in un luogo diverso e ognuno con la propria «squadra». Ricordo che quella sera si mangiava, si beveva, si godeva delle cose più ordinarie della vita. Tutto era vissuto con grande gioia. Eppure la loro vita stava per cambiare totalmente. Lo straordinario sembrava normale... Non mi stupisce, anzi mi riempie di orgoglio, che le parole di una mia canzone - «In questo mondo di ladri, c’è ancora un gruppo di amici che non si arrendono mai...» - siano state avvertite come scritte apposta per loro. [...] Un altro bel ricordo legato a don Massimo e l’amore che mi trasmise per l’Atalanta. Lui aveva un rapporto speciale con Bergamo e non era ancora diventato cappellano del Milan. Ha avuto la capacità di farmi amare una città e una squadra diverse dalla Roma! Forse è anche per questo che, quando penso a tutte le vittime che la pandemia ha mietuto a Bergamo, mi si apre il cuore.Don Massimo ha conosciuto un mare di gente, persone appartenenti ai mondi più disparati. Gli facevo spesso domande assurde: sulla genetica, sulla cremazione, sul trapianto degli organi in relazione alla resurrezione della carne. Domande apparentemente stupide, ma che lui prendeva sempre con molta serietà e che aprivano interessanti dibattiti. Lo «usavo» per chiarire tanti dubbi che avevo nel cuore, come un «sacerdote di campagna»: e lui aveva una personalità così grande che sapeva accogliere anche domande piccole come le mie e soprattutto sapeva come rispondere in modo semplice e ad ogni tipo di persona. Sono convinto persone dalla statura così grande abbiano bisogno di stare in mezzo alla gente, di tornare a un sacerdozio «sul campo». [...] Il mio augurio, al termine di queste brevi righe, è di poterlo presto rivedere. Spero che l’occasione di questo libro apra la strada a nuovi incontri e momenti importanti da vivere assieme.
Roberto Occhiuto (Imagoeconomica)
Il presidente di Generalfinance e docente di Corporate Finance alla Bocconi Maurizio Dallocchio e il vicedirettore de la Verità Giuliano Zulin
Dopo l’intervista di Maurizio Belpietro al ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, Zulin ha chiamato sul palco Dallocchio per discutere di quante risorse servono per la transizione energetica e di come la finanza possa effettivamente sostenerla.
Il tema centrale, secondo Dallocchio, è la relazione tra rendimento e impegno ambientale. «Se un green bond ha un rendimento leggermente inferiore a un titolo normale, con un differenziale di circa 5 punti base, è insensato - ha osservato - chi vuole investire nell’ambiente deve essere disposto a un sacrificio più elevato, ma serve chiarezza su dove vengono investiti i soldi». Attualmente i green bond rappresentano circa il 25% delle emissioni, un livello ritenuto ragionevole, ma è necessario collegare in modo trasparente raccolta e utilizzo dei fondi, con progetti misurabili e verificabili.
Dallocchio ha sottolineato anche il ruolo dei regolamenti europei. «L’Europa regolamenta duramente, ma finisce per ridurre la possibilità di azione. La rigidità rischia di scoraggiare le imprese dal quotarsi in borsa, con conseguenze negative sugli investimenti green. Oggi il 70% dei cda delle banche è dedicato alla compliance e questo non va bene». Un altro nodo evidenziato riguarda la concentrazione dei mercati: gli emittenti privati si riducono, mentre grandi attori privati dominano la borsa, rendendo difficile per le imprese italiane ed europee accedere al capitale. Secondo Dallocchio, le aziende dovranno abituarsi a un mercato dove le banche offrono meno credito diretto e più strumenti di trading, seguendo il modello americano.
Infine, il confronto tra politica monetaria europea e americana ha messo in luce contraddizioni: «La Fed dice di non occuparsi di clima, la Bce lo inserisce nei suoi valori, ma non abbiamo visto un reale miglioramento della finanza green in Europa. La sensibilità verso gli investimenti sostenibili resta più personale che istituzionale». Il panel ha così evidenziato come la finanza sostenibile possa sostenere la transizione energetica solo se accompagnata da chiarezza, regole coerenti e attenzione al ritorno degli investimenti, evitando mode o vincoli eccessivi che rischiano di paralizzare il mercato.
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