2021-03-11
La Juve mette in croce persino CR7 ma il fallimento nasce dalla dirigenza
Dopo la figuraccia col Porto dito puntato sul match anonimo di Cristiano Ronaldo, che però ha fatto 92 gol in 121 match. Mentre i manager hanno ingaggiato parametri zero spompi e sostituito il mago Massimiliano Allegri con Maurizio Sarri e poi Andrea Pirlo.Sembra quasi di sentile da lontano, le parole di Friedrich Nietzsche: «Ora soltanto tu percorri la via verso la tua grandezza. Cima e abisso sono una sola cosa», scandiva il filosofo nel suo Così parlò Zarathustra, e se lo si interpretasse in senso letterale, la nottataccia vissuta dalla Juventus martedì contro il Porto - che ha terminato la partita in 10 uomini - durante il ritorno degli ottavi di Champions League, vede proprio una definitiva sovrapposizione di cima e abisso. Ma senza sogni di grandezza. Soprattutto perché negli ultimi tre anni i campioni d'Italia, partiti da una vetta irraggiungibile per le rivali nostrane, hanno percorso la lenta strada del declino, risucchiati da sabbie mobili voraci. Martedì sera è andato in scena il capolavoro tattico di mister Sergio Conceicao. L'allenatore portoghese ha contenuto le debolissime sortite degli juventini - si salva solo Federico Chiesa - imbrigliandole con idee e partecipazione: 3-2 per la Juve ai supplementari, ma Porto qualificato per numero di gol segnati in trasferta. A Torino è psicodramma. In molti si sono affrettati, sempre scomodando il buon Nietzsche, a dar la croce addosso all'«oltreuomo» della compagine allenata da Andrea Pirlo. Cristiano Ronaldo è finito sul banco degli imputati, Repubblica, quotidiano nell'orbita di casa Agnelli, lo ha additato tra i colpevoli dell'eliminazione, pur concedendogli l'attenuante di non essere stato supportato da un progetto sportivo adeguato. Eppure, numeri alla mano, CR7 è stato il salvagente dell'ultimo triennio: 121 presenze complessive, 92 gol segnati, 22 assist, durante la stagione in corso ha tolto spesso le castagne dal fuoco ai compagni. Ronaldo è un campione, un catalizzatore di attenzione e una calamita per la manovra offensiva, ma non è il re taumaturgo. Chi pensava che, al netto dei 31 milioni all'anno percepiti, bastasse solo lui per agguantare la coppa che conta, senza puntellare la rosa con un orizzonte progettuale solido, ha peccato di velleitarismo. La Caporetto della Signora riflette sbagli commessi dalla dirigenza. L'eliminazione dalla Champions League ha fatto crollare le azioni bianconere in Borsa. A Piazza Affari il titolo juventino si è abbassato ieri del 6,5%. Era già accaduto in passato. Dopo la caduta del 2019 ai quarti di finale di Champions League contro l'Ajax, le azioni calarono addirittura del 22,96%. Non scordando il peso del monte ingaggi, circa 236 milioni di euro complessivi. Quattrini non facili da bilanciare, specie in tempi di Covid. Ma la Juve è funestata da ben altre cicatrici. L'annata non era iniziata sotto i migliori auspici. Il pasticciaccio brutto del caso Suarez ha gettato qualche ombra sul modus operandi dei vertici societari. Per chi non lo ricordasse, stando alla magistratura pare che la dirigenza del club - per assicurarsi a settembre le prestazioni della punta del Barcellona Luis Suarez - abbia tentato di addomesticare un esame all'Università per Stranieri di Perugia, affinché il calciatore, di origini uruguaiane, ottenesse alla svelta un passaporto comunitario. Per completare la trattativa, era necessario che Suarez superasse un test di lingua italiana, e Fabio Paratici (dg bianconero) avrebbe cercato sponde politiche per snellire le pratiche. La vicenda ha generato un'inchiesta che ha portato a condanne in primo grado di alcuni docenti. A una caduta di stile strapaesana che avrebbe suscitato ilarità se fosse capitata a qualche scalcagnata matricola di provincia, ma che non può passare inosservata se coinvolge una squadra tanto blasonata, si aggiunge la prospettiva del campo. L'ingaggio di Andrea Pirlo come allenatore è una scommessa che potrebbe rivelarsi fruttuosa a lungo termine, di sicuro azzardata nell'immediato. L'ex centrocampista dal piede fatato, bandiera di Milan e Juve, è partito con un'aura di predestinato della panchina. Ma la predestinazione, in un mondo impietoso come quello del pallone, dovrebbe andare a braccetto con l'esperienza. Difficile imbroccare al primo colpo il successo da tecnico di un grande club, le vicissitudini di Ciro Ferrara sulla panchina juventina nel 2009 - pur con i dovuti distinguo del caso - lo ricordano. Non scordando che Pirlo è giunto per rimpiazzare Maurizio Sarri, a suo tempo scelto dalla coppia Paratici-Nedved ma, stando a voci di corridoio, mal digerito da Andrea Agnelli. L'era di Sarri, con uno scudetto portato a casa non senza lottare, si è conclusa con il divorzio e con l'ennesima eliminazione dalla Champions negli ottavi.Dalla Gran Bretagna bastonano Andrea Agnelli. L'Independent è caustico: «Pensi a sistemare la Juve piuttosto che a riformare la Champions», con chiaro riferimento all'attività diplomatica del patron volta a cambiare la formula della massima competizione europea. C'è chi dice che l'uomo giusto al posto giusto ci fosse già: era Massimiliano Allegri, stratega di lungo corso, che conosceva l'ambiente torinese come le sue tasche. E però non c'è rosa senza spine, e non c'è condottiero senza soldati valenti. Nel corso degli ultimi tre anni, CR7 a parte, la campagna acquisti non ha garantito i rimpiazzi sperati per svecchiare una rosa di senatori stagionati, ma ancora indispensabili. A centrocampo, un tempo terreno di caccia per mostri sacri come Arturo Vidal, Paul Pogba e lo stesso Pirlo, sono arrivati parametri zero dall'ingaggio elevato, non supportato da prestazioni incantevoli: Adrien Rabiot e Aaron Ramsey sono ottimi calciatori, e però incapaci di incidere come i predecessori. Nella retroguardia è giunto il giovane più promettente d'Europa, l'olandese Matthijs De Ligt, ma se manca Giorgio Chiellini, il rischio di una breccia nelle mura difensive è concreto. Federico Chiesa ha il nerbo di chi è all'altezza delle aspettative molto più di Federico Bernardeschi, tuttavia là davanti Cristiano Ronaldo spesso predica in una condizione di semi deserto. Il giovane Dejan Kulusevski, prospetto dal futuro brillante all'apparenza, è ancora un personaggio in cerca d'autore e Paulo Dybala, dalla tecnica sopraffina, fatica a trovare collocazione definitiva nella formazione. Inconvenienti di chi punta sempre alla vetta: è un attimo che compaia l'abisso.