2022-09-18
Gli incontri segreti per avere un utero in affitto
Nella città nella quale Beppe Sala riconosce i figli arcobaleno, la gestazione per conto terzi è già realtà. A fissare appuntamenti informativi in albergo è una compagnia californiana. Tutto a portata di clic anche se la pratica è illegale e non si può nemmeno pubblicizzare. All’inizio di luglio, il sindaco di Milano, Beppe Sala, ha dato una grande notizia ai suoi follower sui social: «Oggi voglio fare un piccolo annuncio. Abbiamo da ieri riattivato il riconoscimento dei figli nati in Italia da coppie omogenitoriali. È con grande gioia che ho firmato ieri il provvedimento personalmente nel mio ufficio». Ovviamente, dagli attivisti arcobaleno la comunicazione è stata accolta con grande favore, dopo tutto si è trattato di un passo ulteriore e importante lungo la via dei cosiddetti «diritti Lgbt». C’è solo un piccolo problema, di cui solitamente si evita di parlare quando sul piatto ci sono temi riguardanti i «figli dell’amore arcobaleno». E cioè che questi piccini, nel caso delle coppie di maschi, possono nascere soltanto tramite una pratica chiamata utero in affitto. La quale non soltanto in Italia è illegale, ma è pure ritenuta dalla Corte costituzionale un’offesa intollerabile al corpo della donna. Dunque il «diritto» di veder registrati i bambini che Sala tanto orgogliosamente garantisce si basa su un reato, e nemmeno troppo lieve. Purtroppo, sulla spinta dell’ideologia, oggi si tende a dimenticare l’aspetto umiliante e violento di quella che con un brutto eufemismo viene chiamata «gestazione per altri». Di più: molti pensano che sia del tutto normale farvi ricorso. Vi chiedete come facciano? Beh, è molto più semplice di quel che si possa pensare, tanto che si può organizzare una gravidanza per conto terzi anche nel territorio governato da Beppe Sala. Già: non c’è bisogno di imbastire chissà quali viaggi, si può benissimo programmare tutto dall’Italia, grazie ai comodissimi servizi offerti da professionisti come quelli che lavorano per The Surrogacy law center. Di che si tratti lo spiega il sito ufficiale: «Il Surrogacy law center offre servizi professionali e di assistenza tecnica per la riproduzione assistita a individui e famiglie, con personale che parla mandarino, cantonese, francese, spagnolo e khmer. Abbiamo sede a Carlsbad, in California, ci dedichiamo alla stesura di contratti completi di maternità surrogata, ovociti, sperma ed embrioni [...]. Non importa quali siano le tue esigenze legali, siamo qui per te».Del resto, lo slogan che compare sulla pagina di apertura del sito è eloquente: «La genitorialità dipende dall’amore, non dal Dna». Ed è per questo che il centro offre un’«esperienza completa di maternità surrogata e donazione di uova, sperma ed embrioni». La procedura viene presentata con toni dolci: «Il nostro team di esperti ti ascolterà attentamente e adatterà un piano completo di costruzione familiare ai tuoi desideri e bisogni specifici. Dopo aver esaminato le tue esigenze di riproduzione assistita, elaboreremo tutti i contratti necessari, ti forniremo un’approfondita consulenza legale per spiegare i termini del contratto e finalizzare i tuoi diritti genitoriali, se necessario». Certo, ciò che troviamo sul sito è convincente. Ma non ci si può fidare fino in fondo di una pagina Web. Ed ecco perché il Surrogacy law center offre ai potenziali clienti la possibilità di avere incontri faccia a faccia con gli esperti. Basta fare sapere via Web di essere interessati e, alla prima occasione utile, si verrà contattati. Ci abbiamo provato anche noi, e siamo stati accontentati. Nei giorni scorsi abbiamo ricevuto una mail, al solito molto cortese: «Salve. Mancano poche settimane alla nostra visita in Europa per i vostri colloqui privati! Ci piacerebbe incontrarti e rispondere a tutte le domande che hai. Vedi sotto tutte le informazioni al riguardo! Stephanie Caballero, fondatrice dello studio legale californiano Slc, sarà presto in Europa! Le date sono: dal 18 al 21 settembre. Stephanie offrirà incontri informativi privati assolutamente gratuiti a tutti coloro interessati a costruire la propria famiglia grazie alla riproduzione assistita». Chiaro, no? La compagnia che organizza le gestazioni per altri ci offre un incontro a Milano oppure a Roma, in date diverse. Gli appuntamenti dovrebbero avvenire in totale riservatezza in albergo nell’arco di pochi giorni. La procedura sembra ben studiata e pure rodata. E infatti funziona ormai da parecchi anni. A darne conto per prima è stata, ancora nel 2016, Monica Sargentini del Corriere della Sera. In un hotel di Roma vicino alla Stazione Termini aveva incontrato non la simpatica Stephanie, bensì «Mario Caballero, direttore e fondatore dell’agenzia per la maternità surrogata Extraordinary conceptions», il quale era «arrivato apposta da San Diego in California per incontrare le coppie che vogliono ricorrere all’utero in affitto». La Sargentini, grande esperta della materia, faceva notare che la pratica proposta dal gentiluomo in questione è «vietata dalla legge 40».Esattamente: la Gpa è proibita, e non si dovrebbe nemmeno pubblicizzare. Eppure, nonostante la prima denuncia a mezzo stampa effettuata dalla collega nel 2016, oggi il giochino si ripropone nella splendente Milano dei diritti. Sia chiaro: il servizio non viene offerto solo a coppie gay, tutt’altro: ci sono tante coppie etero che si rivolgono a queste organizzazioni, e che sono pronte a ricorrere all’utero in affitto anche se è vietato in Italia. Evidentemente, insomma, una domanda esiste, per quanto sia sgradevole constatarlo. Sull’offerta, però, dovrebbero intervenire le autorità, dato che la legge punisce «chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a 1 milione di euro». Ci auguriamo dunque che qualcuno, anche rapidamente, prenda provvedimenti e si occupi di questi furbi professionisti della maternità surrogata che via mail propongono incontri segreti e servizi illegali. Sarà pure che per diventare genitori serve l’amore, ma qui di amore ne vediamo pochissimo: ci sono soprattutto affari, e non troppo puliti.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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