2020-04-12
Uscire dal Sepolcro come dall’epidemia. Le armi dei cristiani contro il Covid-19
È la sofferenza di questi mesi, originata dalla globalizzazione, che può scatenare la creatività dello spirito per ripartire.(La Resurrezione è una manifestazione dello Spirito. Lo stesso che il Covid-19 voleva toglierci attaccando il soffio vitale dei nostri polmoni nel tentativo di ammazzarci e che i poteri globalizzati hanno per anni represso in ognuna delle sue manifestazioni nella vita umana: dalla famiglia all'arte, alla natura, alla produzione culturale, al pensiero filosofico).Non avere il pane aumenta la fame e fa crescere la voglia di saziarsi. Così si capisce meglio che la resurrezione non è un'idea o un concetto, ma un fatto; non parole ma esperienze: l'Eucarestia. È anche un archetipo, un fatto psichico della vita e della storia dell'essere umano, un suo bisogno e una sua possibilità. Oggi poi ci accorgiamo anche della particolare difficoltà di mettere insieme la Pasqua di resurrezione e i suoi emozionanti riti (oggi vietati) con le aride forme del «distanziamento sociale» oggi imposte: le quarantene, l'im/munità obbligatoria di una vita quotidiana irrigidita, sostituita a una co/munità che festeggia liberamente. Isolamenti imbavagliati invece di cori sacri. Intanto, il filosofo Giorgio Agamben raccomanda di tener d'occhio la troppo «compatta e passiva» massa dei cittadini pronti ad accettare le forme e norme di questo obbligatorio «distanziamento sociale». Imposto, in forme confuse ma sempre arroganti, da un potere poco rispettoso del cittadino, e peraltro incapace di proteggerlo. Giusto. Però queste «masse compatte e passive» potrebbero tra poco rivelarci che lo sono meno di quanto appaiono. Soprattutto se il Covid-19 diventa meno assillante e più acuta la fame di ogni tipo di pane, celeste e materiale. In ogni caso, se riusciamo a vivere la resurrezione nessun Direttorio giacobino potrà farci nulla, perché risorgere è già essere liberi. È sempre stato così: prima ancora di Cristo la resurrezione era già un potente archetipo della religione ebraica, destinato fin da allora a suscitare nel popolo il cambiamento, sia nelle persone che nei gruppi sociali. Una delle immagini più potenti è quella del profeta Ezechiele (37) che viene portato dal Signore e lasciato camminare in mezzo a una valle «piena di ossa, numerosissime e molto secche». Quindi Yhwh ordina di profetizzare così alle ossa: «Ecco io faccio entrare dentro di voi lo spirito e voi rivivrete. Metterò su di voi dei muscoli, farò nascere su di voi della carne, vi coprirò di pelle. Metterò in voi lo spirito e rivivrete e conoscerete che io sono il Signore». Appena pronunciata la profezia, racconta Ezechiele, «si sentì un rumore; e poi ecco un movimento: le ossa si accostavano le une alle altre. Guardai, ed ecco venire su di esse dei muscoli, crescervi la carne, e la pelle ricoprirle». Il mondo dalla carne, prima rinsecchito come oggi i polmoni attaccati dal Covid- 19, si sta rigenerando. Manca però ancora l'elemento decisivo della resurrezione: lo spirito. Allora il Signore ordina a Ezechiele di comandare allo spirito di venire col vento e soffiare sulle ossa degli uccisi, riportandoli alla vita; e così accade: «Ed erano un esercito grande, grandissimo». Un intero popolo, pronto a ritrovare la propria terra e a combattere per la libertà. Ciò che in Ezechiele era ancora metafora e allegoria della restaurazione del regno di Davide, diviene poi realtà storica nell'esperienza cristiana. L'agente principale della resurrezione è però lo stesso che fa rivivere le ossa disseccate del popolo d'Israele: lo spirito del Padre, «colui che ha resuscitato Gesù dai morti», come dice san Paolo. È l'inaudita e inaspettata forza dello Spirito che scaraventa lontano la pesante pietra che chiudeva il sepolcro e anima l'intero evento fisico e spirituale della resurrezione. Lo Spirito «che è Signore, e dà la vita», come diciamo nel Credo, è stato - tra l'altro - il grande bersaglio di ciò che stiamo tutti vivendo in questi mesi. La sua manifestazione anche fisica è infatti quel soffio vitale (psyche=soffio) che il Covid-19 voleva toglierci attaccando i nostri polmoni nel tentativo di ammazzarci, e in molti casi riuscendoci. È quasi impossibile, per chi lavora sulla psiche, non vedere in questo attacco al soffio vitale (già presente, d'altra parte, nei coronavirus e nelle epidemie degli ultimi anni), l'aspetto medico di ciò che è peraltro avvenuto con pervicace violenza negli ultimi trent'anni di globalizzazione, che ha spianato la strada alla circolazione e moltiplicazione di questi virus esotici. Vale a dire l'attacco in grande stile contro tutte le manifestazioni dello spirito nella vita umana: dalla famiglia all'arte, alla natura, alla produzione culturale, al pensiero filosofico.In tutti questi fondamentali campi dell'esistenza il tentativo, appoggiato e finanziato dai grandi poteri globalizzati, è stato costantemente quello appunto di soffocare lo spirito, svalorizzandolo e negandone addirittura l'esistenza, per affermare esclusivamente la materia, le cose (i beni di consumo), e il calcolo. Adesso, per salvare la nostra psyche-soffio vitale e insieme la nostra vita, sarà meglio dare più spazio allo Spirito e alle pratiche di cambiamento e resurrezione. All'intervento dello Spirito ha tuttavia aperto la strada (nel Vangelo come negli episodi biblici di resurrezione) l'evento precedente, che lo prepara: la morte. Per poter risorgere, bisogna prima morire: vale per Gesù, ma anche per chi sente forte il bisogno di cambiare, rinascere. È uno stato d'animo che si presenta spesso (quasi sempre) anche in analisi: la necessità di cambiare, radicalmente. Spesso però proprio il cristiano fa una particolare fatica, proprio perché - spiega - «i miei peccati li ha già riscattati Gesù». Il «prezzo», su cui insiste anche la «teoria giuridica» di moda nel Novecento, l'ha pagato lui. Ma è una sistemazione troppo comoda e veloce, come fa capire Paola Zavatta nella sua Teologia del sabato santo (Città nuova editore). Come spiega bene von Balthasar «il cristianesimo è l'unica religione che annuncia la salvezza proprio nella morte». Anche il cristiano in analisi non sfugge a questa esigenza della psiche: deve vivere la morte, una trasformazione completa e personale, come fedele partecipante a quella di Cristo. Il quale poi muore perché fa una cosa molto precisa: si oppone al «principe di questo mondo», l'adorazione della materia, denaro e potere, e ne viene ucciso. Come cantano (ma dove, oggi?) le bellissime laude medievali, egli è la «vittima pasquale», l'Agnello che con la sua mite fermezza redime il gregge. Ed è la sua morte al centro della croce, reggendo la tremenda tensione tra l'aspirazione verticale al cielo e l'attaccamento all'orizzontalità della terra, che richiama le forze dello Spirito e provoca la resurrezione.Dopo la morte lo stato d'animo (anche nel paziente in analisi), diventa poi un altro. L'iniziazione più tremenda ora è stata superata, personalmente. Come dicono ancora le laude: «Il signore della vita era morto. Ora regna, vivo». E il corpo? Quello di Gesù non ha più una consistenza materiale (tranne la piaga della ferita dove mette il dito Tommaso, che ha valore di reliquia). Il corpo del dopo resurrezione è l'interlocutore di chi lo incontra: il giardiniere per Maddalena, il viandante per i due discepoli di Emmaus, e tutti gli altri dopo. È colui che offre la sua testimonianza perché le resurrezioni si moltiplichino. E il nostro corpo? C'è ancora (e prima o poi morirà). Ma con la resurrezione lo Spirito è il suo Signore.
Thierry Sabine (primo da sinistra) e la Yamaha Ténéré alla Dakar 1985. La sua moto sarà tra quelle esposte a Eicma 2025 (Getty Images)
La Dakar sbarca a Milano. L’edizione numero 82 dell’esposizione internazionale delle due ruote, in programma dal 6 al 9 novembre a Fiera Milano Rho, ospiterà la mostra «Desert Queens», un percorso espositivo interamente dedicato alle moto e alle persone che hanno scritto la storia della leggendaria competizione rallystica.
La mostra «Desert Queens» sarà un tributo agli oltre quarant’anni di storia della Dakar, che gli organizzatori racconteranno attraverso l’esposizione di più di trenta moto, ma anche con memorabilia, foto e video. Ospitato nell’area esterna MotoLive di Eicma, il progetto non si limiterà all’esposizione dei veicoli più iconici, ma offrirà al pubblico anche esperienze interattive, come l’incontro diretto con i piloti e gli approfondimenti divulgativi su navigazione, sicurezza e l’evoluzione dell’equipaggiamento tecnico.
«Dopo il successo della mostra celebrativa organizzata l’anno scorso per il 110° anniversario del nostro evento espositivo – ha dichiarato Paolo Magri, ad di Eicma – abbiamo deciso di rendere ricorrente la realizzazione di un contenuto tematico attrattivo. E questo fa parte di una prospettiva strategica che configura il pieno passaggio di Eicma da fiera a evento espositivo ricco anche di iniziative speciali e contenuti extra. La scelta è caduta in modo naturale sulla Dakar, una gara unica al mondo che fa battere ancora forte il cuore degli appassionati. Grazie alla preziosa collaborazione con Aso (Amaury Sport Organisation organizzatore della Dakar e partner ufficiale dell’iniziativa, ndr.) la mostra «Desert Queens» assume un valore ancora più importante e sono certo che sarà una proposta molto apprezzata dal nostro pubblico, oltre a costituire un’ulteriore occasione di visibilità e comunicazione per l’industria motociclistica».
«Eicma - spiega David Castera, direttore della Dakar - non è solo una fiera ma anche un palcoscenico leggendario, un moderno campo base dove si riuniscono coloro che vivono il motociclismo come un'avventura. Qui, la storia della Dakar prende davvero vita: dalle prime tracce lasciate sulla sabbia dai pionieri agli incredibili risultati di oggi. È una vetrina di passioni, un luogo dove questa storia risuona, ma anche un punto d'incontro dove è possibile dialogare con una comunità di appassionati che vivono la Dakar come un viaggio epico. È con questo spirito che abbiamo scelto di sostenere il progetto «Desert Queens» e di contribuire pienamente alla narrazione della mostra. Partecipiamo condividendo immagini, ricordi ricchi di emozioni e persino oggetti iconici, tra cui la moto di Thierry Sabine, l'uomo che ha osato lanciare la Parigi-Dakar non solo come una gara, ma come un'avventura umana alla scala del deserto».
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