2024-04-23
Usare la deterrenza come diplomazia: così Trump ha detto sì agli aiuti all’Ucraina
Il tycoon ha appoggiato il via libera al piano sia per rassicurare gli alleati, sia per trattare con Putin da una posizione di forza.Avete presente il pacchetto di nuovi aiuti militari all’Ucraina che è stato approvata sabato dalla Camera statunitense? Contrariamente alla solita vulgata, il via libera a quel provvedimento non sarebbe stato possibile senza l’ufficioso placet di Donald Trump. Eppure questo non significa che l’ex presidente, in caso di un ritorno alla Casa Bianca, abbia rinunciato al tentativo di una soluzione diplomatica per risolvere la crisi ucraina. È vero: detta così, sembra un controsenso. Ma non lo è.Innanzitutto, il principale artefice del sì ai nuovi aiuti a Kiev è stato lo Speaker della Camera, Mike Johnson: un conservatore di ferro, storicamente vicinissimo a Trump. Nonostante un tempo fosse maggiormente scettico rispetto a un’ulteriore assistenza militare all’Ucraina, lo Speaker ha man mano ammorbidito la sua posizione, attirandosi per questo le ire di alcuni deputati repubblicani di strettissima osservanza trumpista: parliamo soprattutto di Marjorie Taylor Greene che, dalla fine di marzo, sta invocando il siluramento di Johnson. Del resto, a votare contro il provvedimento di sabato sono stati un centinaio di deputati repubblicani e potrebbero registrarsi delle opposizioni anche al Senato.Eppure, nonostante questa fronda, Trump non ha abbandonato lo Speaker: anzi, il 12 aprile gli ha garantito il proprio sostegno. «Sta facendo davvero un ottimo lavoro in circostanze molto difficili», dichiarò l’ex presidente. Non solo. Appena giovedì scorso, in un post su Truth, il candidato repubblicano, pur invocando un maggiore impegno economico europeo nella crisi ucraina, ha affermato: «Come tutti concordano, la sopravvivenza e la forza dell’Ucraina dovrebbero essere molto più importanti per l’Europa che per noi, ma lo sono anche per noi». Secondo il senatore del Gop, Lindsey Graham, Trump avrebbe esercitato influenza per rendere 9,5 dei 61 miliardi previsti dal pacchetto dei prestiti condonabili anziché delle sovvenzioni. D’altronde, va da sé che, se avesse negato il suo appoggio a Johnson, Trump sarebbe certamente riuscito a provocarne il siluramento e a bloccare di conseguenza gli aiuti a Kiev. Non solo. Secondo la Cnn, lo Speaker avrebbe optato a favore degli aiuti anche a seguito delle esortazioni di Mike Pompeo: l’ex segretario di Stato dell’amministrazione Trump, che potrebbe tornare alla guida di un dicastero in caso di vittoria repubblicana a novembre.Bisogna quindi ritenere che Trump si sia improvvisamente convertito sulla via della guerra di annientamento contro Mosca? La risposta è no. Per comprendere la sua mossa, bisogna considerare alcuni elementi. In primis, emerge un tema elettorale. La campagna presidenziale sta passando dalla fase delle primarie a quella per la general election: man mano che le sue chances di vittoria a novembre aumentano, l’ex presidente, sapendo di non potersi permettere l’isolamento, sta allentando la retorica isolazionista e cercando di rassicurare i suoi interlocutori internazionali. Non a caso, negli scorsi giorni, ha incontrato il ministro degli Esteri britannico, David Cameron, e il presidente polacco, Andrzej Duda: due figure piuttosto severe nei confronti di Mosca, con cui ha parlato proprio di crisi ucraina. Inoltre, al di là dei contatti internazionali, Trump sa bene che, se tornasse alla Casa Bianca, non potrebbe permettersi un appeasement verso il Cremlino: un simile scenario renderebbe Pechino più baldanzosa nell’Indo-Pacifico e lo stesso Trump rischierebbe quell’«effetto Kabul» che, a partire da agosto 2021, ha sistematicamente azzoppato l’amministrazione Biden, mettendo in crisi la sua credibilità internazionale. Ovviamente, poi, il candidato repubblicano si è ben guardato dal rivendicare esplicitamente come merito proprio l’ok agli aiuti: alla fin fine deve comunque tener conto di un pezzo di elettorato che si colloca su posizioni isolazioniste. Ciononostante, come abbiamo visto, se avesse voluto realmente boicottare il pacchetto alla Camera, avrebbe potuto farlo. E non lo ha fatto.Un secondo aspetto da considerare è che tutto ciò non inficia di per sé l’eventualità che l’ex presidente, in caso di ritorno alla Casa Bianca, possa intraprendere la via diplomatica. Del resto, proprio su queste colonne il principale consigliere di Trump per la sicurezza nazionale, Keith Kellogg, ha detto che l’ex presidente sull’Ucraina vorrebbe indire una «conferenza di pace senza precondizioni». «Diplomazia» è, del resto, un concetto ben diverso da «appeasement». Una diplomazia efficace implica innanzitutto il saper ripristinare la deterrenza, per poter poi trattare con la proverbiale pistola poggiata sul tavolo, alternando dialogo e minacce. Negli anni Ottanta, i falchi neoconservatori criticarono Ronald Reagan per la sua apertura a Mikhail Gorbaciov: eppure, dosando dialogo e pressioni (si pensi solo all’abile uso negoziale che fece della Strategic defense initiative), l’allora presidente americano preparò la strada per la vittoria americana nella Guerra fredda senza sparare un colpo.Reagan era noto per il principio secondo cui la pace dovrebbe essere salvaguardata attraverso la forza: un principio a cui Trump non è mai stato estraneo (come dimostrò la sua gestione della crisi nordcoreana nel 2017 e di quella iraniana nel 2020). «Se l’America riesce ad affrontare i negoziati con la Russia da una posizione di forza, consentendo all’Ucraina di ottenere un significativo vantaggio tattico sul campo di battaglia e ristabilendo una deterrenza americana credibile, gli Usa possono guidare il conflitto verso la risoluzione», ha scritto Kellogg sul Washington Times a fine febbraio. È questo, in definitiva, l’obiettivo a cui Trump sta lavorando.
Jose Mourinho (Getty Images)