2025-05-30
Un tribunale sospende i dazi. La Corte di Appello li reintroduce
Contestato l’abuso della legge sull’emergenza. Nella serata di ieri la Corte di Appello ha accolto le richieste della Casa Bianca, sospendendo temporaneamente la sentenza di primo grado e reintroducendo di fatto le tariffe.I magistrati criticano le basi giuridiche di alcune delle imposte. Se il verdetto fosse confermato, il modo per aggirarlo ci sarebbe. Però i tempi si allungano: Trump non potrà più contare sull’effetto sorpresa.Lo speciale contiene due articoli.Come Davide contro Golia. Tre giudici della Corte del Commercio internazionale, hanno bloccato temporaneamente i dazi voluti da Donald Trump, definendoli illegali e stabilendo che il presidente non ha l’autorità di imporre tariffe globali. Tutto nasce da una causa intentata da cinque piccole imprese, tra cui un’azienda di importazione di vini, un rivenditore di abiti da yoga e uno di attrezzatura da pesca iperspecializzata, che si sono trovati, a causa dei dazi, a dover ritoccare i prezzi, non disponendo delle riserve di liquidità dei grandi importatori. A questi imprenditori si è unito un gruppo di 12 Stati, guidati dall’Oregon e governati dal Partito democratico. Nella guerra commerciale si apre quindi un altro fronte, questa volta all’interno degli Stati Uniti. «È un golpe dei giudici» ha attaccato l’amministrazione Trump, che, tramite il Dipartimento di Giustizia, ha già presentato il ricorso contro il provvedimento, alla Corte d’Appello per il circuito federale. La Casa Bianca ha sottolineato che i «giudici non eletti» non hanno l’autorità per decidere come affrontare un’emergenza nazionale. Non solo. Il pronunciamento della Corte mette a rischio gli investimenti per oltre mille miliardi di dollari che imprese di tutto il mondo hanno fatto convergere negli Usa da quando è stata avviata la strategia dei dazi volta a rimpatriare produzioni nevralgiche per l’economia. Secondo la Corte, Trump ha abusato dei poteri di emergenza garantiti dall’Emergency Economic Powers Act (Ieepa), la legge del 1977 finora mai usata da un presidente per imporre dazi, ma che si concentra principalmente su sanzioni ed embargo per motivi di sicurezza nazionale. «La Corte non ritiene che l’Ieepa conferisca un’autorità incontrollata», si legge nella sentenza, non consente di imporre «dazi illimitati su beni provenienti da quasi tutto il mondo».Le tariffe ora sottoposte al blocco dei giudici federali, riguardano in primo luogo quelle globali, annunciate il 2 aprile durante il Liberation Day, quando è stato imposto un 10% sulle importazioni da quasi tutto il mondo. Inizialmente, Trump aveva detto che queste imposte doganali sarebbero state più alte per decine di Paesi. Poi c’è stato un rinvio per oltre 75 Paesi a luglio, per favorire i negoziati. E sono stati sempre i negoziati a far scendere i dazi molto più alti imposti alla Cina, che a un certo punto sono arrivati al 145%, dopo i colloqui tra Washington e Pechino di metà maggio. La sentenza blocca anche i dazi separati del 25% che Trump aveva imposto a Canada e Messico, per «sanzionarli» sull’immigrazione illegale e il traffico di droga ai confini, e quelli del 20% alla Cina per il suo ruolo nella produzione del fentanyl. Gli unici dazi imposti da Trump che non sono bloccati dalla Corte sono quelli su acciaio, alluminio e auto, perché non autorizzati con i poteri di emergenza, ma in base alla legge commerciale del 1962, e alcune tariffe sulla Cina.Quali sono le conseguenze immediate? La sentenza della Corte ha emesso un’«ingiunzione permanente» contro le disposizioni tariffarie e ciò significa che il governo Usa è tenuto a interrompere l’applicazione dei dazi. Il tribunale ha dato all’amministrazione 10 giorni per completare il processo burocratico per fermare le imposte doganali. Entro sabato 7 giugno, considerata la data delle sentenza, i dazi dovrebbero essere formalmente fermi. Ma la Casa Bianca, oltre al ricorso, ha anche chiesto alla Corte del Commercio internazionale di emettere uno «stay» del suo giudizio, cioè la sospensione dell’esecuzione. Se tale richiesta venisse accolta, la riscossione dei dazi potrebbe continuare fino al termine del processo d’appello.Lo scontro giudiziario potrebbe arrivare fino alla Corte Suprema, creando un precedente significativo per la politica commerciale americana. Data la rilevanza costituzionale del caso che riguarda i poteri del presidente e la divisione delle prerogative tra esecutivo e giudiziario è molto probabile che la questione finisca davanti alla massima corte americana. La Casa Bianca ha intenzione di cavalcare la tesi che la Corte del Commercio internazionale ha interpretato in modo errato l’International Emergency Economic Power Act del 1977 e che il presidente ha l’autorità di imporre i dazi in situazioni di emergenza nazionale per proteggere la sicurezza economica degli Usa. Il blocco imposto dalla Corte rappresenta un duro colpo alla politica commerciale di Trump. Se la sentenza dovesse essere confermata in appello, il governo potrebbe essere obbligato a rimborsare alle aziende i dazi già pagati, con tanto di interessi. Ci sarebbe un impatto da miliardi di dollari sulle casse federali.La sentenza rischia di indebolire la leva negoziale dell’amministrazione Trump nelle dispute commerciali. A questo punto si aprono due scenari: i negoziati aperti potrebbero essere impostati su basi diverse o gli Usai, prevede Goldman Sachs, troveranno «altri modi per imporre tariffe». Nel frattempo aziende e investitori si trovano in un limbo, sospesi tra la speranza di un ritorno a regole condivise e il timore di una nuova escalation. Per Pechino gli Stati Uniti «dovrebbero cancellare tutti i dazi unilaterali impropri» e la sentenza potrebbe essere vista come un’opportunità per riprendere i negoziati con un piede diverso.Il ministro degli Esteri Antonio Tajani raffredda gli animi: «L’Ue non cerca una guerra commerciale. Serve confronto, non scontro». Il presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola coglie l’occasione per un monito interno: senza semplificare il mercato unico, l’Ue resterà fragile davanti ai colossi globali.Tuttavia, nella serata di ieri è giunta notizia che la Corte di Appello ha accolto le richieste della Casa Bianca, sospendendo temporaneamente la sentenza di primo grado e reintroducendo di fatto le tariffe.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/usa-tribunale-sospende-dazi-2672231905.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="su-acciaio-e-auto-le-tariffe-restano-ma-ora-trump-ha-meno-armi-negoziali" data-post-id="2672231905" data-published-at="1748597283" data-use-pagination="False"> Su acciaio e auto le tariffe restano ma ora Trump ha meno armi negoziali Dopo che un misconosciuto tribunale di Manhattan, la Corte per il Commercio internazionale, ha giudicato illegittimi alcuni dei dazi voluti da Donald Trump, che cosa accadrà? La sentenza di questa corte assegna dieci giorni all’amministrazione Trump per eliminare i dazi e restituire agli importatori quanto versato, con gli interessi. Ma di quali dazi si tratta? La sentenza si riferisce ai soli dazi imposti da Washington in base all’International Emergency Economic Powers Act (Ieepa), una legge del Congresso del 1977 che assegna al presidente degli Stati Uniti poteri di imporre dazi in presenza di un’emergenza nazionale. È questa la base giuridica che gli uffici presidenziali di Trump hanno utilizzato per imporre i dazi a Canada, Messico e Cina sulla questione del fentanyl. La stessa legge del 1977 è stata utilizzata per i dazi cosiddetti «reciproci» decisi nel Liberation Day il 2 aprile scorso, dunque anche quelli sull’Ue. In base allo Ieepa deve essere dichiarata una emergenza economica nazionale, il presidente deve consultarsi con il Congresso e lo stesso può decretare la fine dell’emergenza con un voto di entrambe le camere. Vi è da notare che mai prima d’ora lo Ieepa era stato utilizzato per imporre dazi. I precedenti utilizzi di questa legge sono solo due e riguardano le sanzioni verso l’Iran nel 1979 e l’embargo sul Nicaragua del 1985. Nella sua sentenza, la Corte ha spiegato che lo Ieepa era stato concepito per limitare la facoltà del presidente di imporre dazi. L’Ieepa fu approvato per sostituire il Trading With The Enemy Act del 1917, che il presidente Richard Nixon aveva utilizzato per imporre dazi universali. La sentenza della Corte di New York mette quindi nel congelatore sia i dazi già decisi prima del Liberation Day, ovvero quelli verso Canada, Messico e Cina, che riguardano complessivamente oltre 900 miliardi di valore, sia i dazi reciproci del 2 aprile verso decine di altri Paesi. Il caso degli altri dazi già decisi o annunciati da Trump è diverso. Restano validi i dazi su alluminio, acciaio, automobili e componenti auto, tutti al 25%, decisi sulla base di un’altra legge, la sezione 232 del Trade Expansion Act del 1962. Questa legge assegna al presidente il potere di imporre dazi sulla base di esigenze di sicurezza nazionale (mentre lo Ieepa fa riferimento all’emergenza, come abbiamo visto). La differenza rispetto allo Ieepa è anche che i poteri tariffari del presidente non sono attivabili immediatamente ma necessitano di una preventiva indagine del Dipartimento del Commercio. Nel caso di acciaio, alluminio e auto, infatti, è stato così ed esiste l’unico precedente del 2018, sempre con Trump alla Casa Bianca. Sono già cinque le indagini in corso sulla base di questa legge, che dovrebbero portare all’applicazione di dazi più avanti quest’anno. Le investigazioni sono state avviate su rame, semiconduttori e farmaceutica, legno e derivati, minerali critici e derivati, camion. Sui prodotti agricoli vi è stato un annuncio di dazi a cui non è seguito però alcun atto formale. Dunque, restano pienamente legittimi i dazi su acciaio, alluminio, auto e componentistica auto, tutti al 25%, che non vengono toccati dalla sentenza del tribunale di New York. Restano in piedi anche le avvisaglie di dazi su rame, semiconduttori, farmaceutica, legno, prodotti agricoli, minerali critici e camion. Attenzione, però. Nella sentenza, la Corte ha menzionato altre due leggi – gli articoli 122 e 301 del Trade Act del 1974 – che potrebbero essere invocate legittimamente dalla Casa Bianca per imporre dazi, in base a «deficit ampi e gravi della bilancia dei pagamenti» (art. 122) o «pratiche commerciali sleali» (art. 301). Dunque, la Corte non ha detto che Trump non può imporre dazi, ma piuttosto che per imporli deve utilizzare diverse basi giuridiche. L’art. 301 richiede una preliminare inchiesta del Dipartimento del Commercio ed esistono diversi precedenti, tra cui quello dello stesso Trump nel 2019 nel caso Airbus. L’art. 122 è invece attivabile direttamente dal presidente ma per dazi non oltre il 15% e per non oltre 5 mesi. Per periodi più lunghi serve l’approvazione del Congresso. Non ci sono precedenti di utilizzo dell’art. 122 del Trade Act. L’opzione migliore nell’ottica di Trump da qui in poi sembra essere l’art. 301, che però richiede una indagine preliminare, dunque tempi lunghi, e difficilmente si può applicare a decine di Paesi in modo indiscriminato. Per il Dipartimento del Commercio si prevede un bel po’ di lavoro straordinario, insomma. L’unico accordo chiuso ad oggi dopo il Liberation Day è quello con il Regno Unito. È ragionevole pensare che tale accordo resti in piedi e che non venga denunciato da Londra, nonostante i dazi all’origine della trattativa siano stati ora giudicati illegittimi. Le trattative in corso con gli altri Paesi e con l’Ue, a questo punto, subiranno probabilmente dei rallentamenti, in attesa della reazione della Casa Bianca. L’utilizzo negoziale dei dazi da parte americana riceve un discreto colpo, con questa sentenza. La strategia «shock and awe» utilizzata da Trump con gli annunci sui dazi è al tramonto. Ma il tutto viene solo rallentato e non cancellato: gli strumenti per la Casa Bianca ci sono ancora e Trump può minacciare i singoli Paesi con l’art. 301. Questo significa però che l’enorme volatilità portata dagli annunci trumpiani è destinata a scemare, dando più tempo per considerare le cose e rallentando gli impatti. Una conseguenza reale forte si avrà sul deficit americano, se la sentenza sarà confermata nei vari appelli che seguiranno. I dazi reciproci del 2 aprile porterebbero poco meno di 1.000 miliardi di dollari di entrate per il governo Usa nei prossimi dieci anni, secondo stime prudenti. Svaniti quelli, il deficit Usa aumenterebbe dello 0,4% del Pil, il che farebbe salire i rendimenti dei titoli di Stato americani. Per Trump, insomma, il puzzle si fa più complesso.
Julio Velasco e Alessia Orro (Ansa)
Rod Dreher (Getty Images)