2025-09-07
L’omelia di Mattarella nega la realtà. È l’Europa a falsare tasse e mercati
Difficile spacciare per paradiso un colosso che non ha saputo reagire alle crisi, scegliendo ricette sbagliate. Dall’austerità al Pnrr fino alla politica monetaria, gli errori non si contano e il costo sociale è spaventoso.Non sono poche le perplessità che destano le parole del presidente Sergio Mattarella, intervenuto ieri con un videomessaggio al 51° Forum Ambrosetti, in corso a Cernobbio. Un panegirico sul ruolo dell’Europa - spesso impropriamente nominata al posto dell’Ue - a cui vengono attribuiti meriti la cui verifica pare quantomeno discutibile. Diventa difficile sostenere, con dati a sostegno, «che l’Ue si è affermata come un’area di pace e di cooperazione capace di proiettare i suoi valori oltre i suoi confini, determinando stabilità, benessere, crescita, fiducia. Non ha mai scatenato un conflitto o scontro commerciale».I fatti e i dati, soprattutto quelli degli ultimi 15 anni, descrivono con dovizia di particolari che l’Ue è stata, tra le economie avanzate del pianeta, quella con meno «stabilità, benessere, crescita e fiducia».È evidente per tabulas che l’Ue (e l’Italia in particolare) è stata l’area più lenta a reagire al crac del 2008-2009 e recuperare i livelli pre crisi. Quella fase ha poi generato i semi della successiva crisi 2011-2012, in gran parte però attribuibile agli squilibri intra Ue del debito privato e successivamente allargatasi a una crisi di fiducia verso i titoli pubblici. Se davvero, come ricorda Mattarella, l’Ue è sempre stata il paradiso in terra, diventa difficile spiegare la necessità del famoso «whatever it takes» di Mario Draghi nel luglio 2012, con i mercati in subbuglio e un concreto rischio di scioglimento dell’unione monetaria. Ancora peggiori sono state le conseguenze dei rimedi adottati all’epoca dalle istituzioni europee: Italia, Spagna, Portogallo e Grecia sono state costrette a un dolorosissimo recupero di competitività via deflazione salariale e a una politica di bilancio pubblico restrittiva, con costi sociali enormi. Quasi un decennio di crescita irrimediabilmente perduto. È di quegli anni il poco invidiabile record di avanzi primari di bilancio nell’ordine dell’1-2% del Pil (la tristemente famosa «austerità espansiva») che avrebbero dovuto salvarci ma che non fecero altro che provocare una ben superiore contrazione dell’attività economica, con migliaia di pmi cancellate dal mercato, sofferenze bancarie ai massimi storici, disoccupazione al 12,7% nel 2014 (e quella giovanile al 40%). Tra i sottoprodotti tossici di quella sciagurata stagione non possiamo dimenticare l’ondata di dissesti bancari che investì il nostro Paese, anche questa con un importante concorso di colpa a carico delle astruse regole Ue, come il bail-in a carico di azionisti, obbligazionisti e depositanti bancari: una crisi di fiducia nel risparmio bancario senza precedenti nella storia della Repubblica italiana.Per venire alla storia recente, anche la crisi Covid è stata affrontata a mani nude dalla Ue, consegnandoci il triste primato mondiale del più lento recupero del Pil pre crisi. La politica di bilancio e quella monetaria si sono scoperte impreparate e prive di strumenti e, mentre Joe Biden inondava in pochi mesi gli Usa di denaro pubblico, noi siamo stati impegnati in mesi di trattative per varare il Recovery fund e un farraginoso Pnrr che, dopo poco più di quattro anni, è riuscito a pagare agli Stati poco meno della metà dei fondi previsti. Nel frattempo, abbiamo dovuto fronteggiare la crisi dei prezzi energetici del 2021-2022 e la conseguenze della guerra russo-ucraina, sempre inventando soluzioni in corsa. Il cui effetto principale è stato segmentare e danneggiare l’integrità del mercato unico, il bene più prezioso che c’era anche prima dell’Ue, distorto da una pioggia di aiuti di Stato autorizzati con leggerezza.Analogo balbettio sul fronte della politica monetaria: il 12 marzo 2020 Christine Lagarde mandò i mercati in tilt col suo infelice «non siamo qua per ridurre gli spread». Pochi giorni dopo convocò il Consiglio direttivo in seduta straordinaria per varare un piano straordinario di acquisto di titoli di Stato. Anche questo sul filo dei Trattati, se non ampiamente oltre. Quanto a non aver mai «avviato uno scontro commerciale», le biblioteche sono ormai sul punto di crollare a causa del peso dei libri che hanno documentato il ruolo di Ue e Germania come motore di decrescita mondiale. Risparmio in eccesso e rigore di bilancio pubblico sono l’altra faccia della medaglia di ampi avanzi della bilancia commerciale che sono, da anni, una dichiarazione di guerra al mondo, soprattutto agli Usa, principale cliente della Ue. Il Pil fatto con il contributo determinante dei consumi del resto del mondo non è qualcosa che può durare a lungo, anche perché la Germania ha beneficiato di un euro relativamente sottovalutato. Troppo comodo non dover più fare i conti con le periodiche rivalutazioni del marco, ricorrenti fino al 1996.È dai tempi di Obama, per proseguire con il primo mandato di Trump, che da Washington denunciano questi squilibri strutturali insostenibili. Su questi temi, gli articoli di Peter Navarro sul Financial Times hanno ormai compiuto dieci anni e, all’epoca, la risposta di Angela Merkel si limitava a evidenziare la superiorità tecnologica tedesca come motore del loro primato. Peccato che si sia sciolto tutto come neve al sole in pochi mesi, tanto era evanescente, perché era solo il risultato dello sfruttamento spregiudicato di fattori congiunturali.Stenta a trovare addentellati con la realtà anche sostenere che «l’Europa, con la sua unità, è la possibilità offerta per essere presenti con efficacia e per poter incidere nel mondo che cambia così rapidamente». Parole che si confrontano con l’amara realtà della recente, ingloriosa conclusione della trattativa con i dazi sugli Usa. Una trattativa che ci ha visto dapprima impegnati in esibizioni muscolari e poi nella mesta accettazione di un accordo peggiore, sotto diversi aspetti, di quello fatto dal Regno Unito. A Londra hanno incassato il più ricco dividendo della Brexit. Per non parlare del ruolo marginale nella crisi russo-ucraina, dove finora abbiamo versato soldi per poi sedere su uno strapuntino al tavolo dei negoziati.Le parole del presidente insistono sul tema dell’unità e quindi della scala dimensionale come fattore di efficacia, ma i fatti hanno dimostrato che essere grandi non è nemmeno condizione necessaria. Pensare di contenere gli Usa o la Cina puntando sulle dimensioni è una strategia che ci ha già visto perdenti e perlopiù ignorati. Per essere efficaci è necessario essere agili e veloci come un ghepardo, non grandi e pesanti come un elefante ebbro.
Antonio Decaro (Imagoeconomica)
Il premier indiano Narendra Modi (Getty Images)