2025-10-22
Macron e Sánchez danno il colpo di grazia all’auto
Emmanuel Macron e Pedro Sánchez (Getty Images)
Francia e Spagna richiudono il timido spiraglio aperto dall’ammissione della Von der Leyen («Così favoriamo la Cina») e impongono di rispettare la data del 2035 per il «tutto elettrico». Una condanna a morte per il settore.Non fai in tempo a pensare che rallentando i progetti green la Von der Leyen ne abbia combinata una giusta, che l’Europa ti riporta subito alla triste realtà. Il giorno dopo la lettera, zeppa di contraddizioni e omissioni, con la quale però il presidente del governo Ue annunciava una revisione anticipata, entro fine anno, del regolamento sulle emissioni di CO2 per le auto e apriva a e-fuel e biocarburanti avanzati, si è trasformato nella fiera dei distinguo. Il primo, il più pesante, è arrivato da Francia e Spagna. I due Paesi hanno chiesto di aggiungere un punto di discussione all’agenda del Consiglio Ambiente Ue. Un punto dirimente: l’obiettivo 2035 di emissioni zero per l’automotive con l’uscita dal motore a combustione interna non si tocca. «Questa decisione, che ha orientato investimenti industriali per decine di miliardi di euro in Europa dal 2023», si legge nel testo visionato da Public Policy, «non deve essere rimessa in discussione. Il futuro dell’industria automobilistica europea sarà elettrico». Poi certo si apre a elementi di flessibilità, ma il succo del discorso resta che la deadline al 2035 non può essere barattata con nessuna altra concessione. Motivo? Secondo Parigi e Madrid, senza sostituire progressivamente i veicoli termici con quelli elettrici l’obiettivo della neutralità climatica resterà una chimera. Anche perché Sánchez e Macron restano convinti che l’auto elettrica continui a rappresentare un’opportunità economica. Dalla quale dipende la prosecuzione dei più importanti progetti industriali, modello gigafactory.Dichiarazioni che potevano avere un senso (in quanto non confutate dalla realtà) forse tre anni fa, quando, nel pieno del furore ideologico ambientalista non ci si era ancora resi conto della tragedia economica nella quale il Green deal stava trascinando l’Europa. Da allora c’è stato il crollo delle produzioni. Tutti i principali player del settore, con qualche distinguo, Renault ha sofferto un po’ meno, sono precipitati. I progetti, tipo giga-factory di Termoli, sono stati abbandonati e le vendite delle elettriche hanno fatto registrare qualche flebile sussulto a fronte della scossa che in molti vaticinavano. Tutto questo mentre Stellantis «alleggeriva» di forza lavoro e nuovi modelli gli stabilimenti italiani, e la Germania provava a riconvertire la sua industria sul riarmo. Insomma un cataclisma. Eppure Spagna e Francia parlano di opportunità economica. Da una parte perché la Spagna è l’emblema, con il governo socialista di Pedro Sánchez e la super-vice presidente Ue, Teresa Ribera, dello spirito del Green deal. E dall’altro in quanto la Francia, che con l’accordo di Parigi ha dato il là a tutto il processo della transizione ambientale, ha risentito meno, per diversi motivi, dei contraccolpi della svolta ecologica. E dalle difficoltà altrui trova giovamento. Niente di nuovo sotto il cielo di Bruxelles. Con l’Unione che nei momenti che contano puntualmente si spacca sulla base degli interessi dei singoli Paesi. E non solo quelli. Perché ancor più paradossale appariva ieri la presa di posizione di Christine Lagarde. Il presidente della Banca Centrale europea, che quando si tratta di fornire un assist a Parigi si fa trovare sempre pronta, ieri si è lanciato nell’ennesimo peana per le rinnovabili. Alla Conferenza sul Clima organizzata dalla Banca centrale di Norvegia ha indossato l’elmetto verde e ha usato i toni enfatici delle occasioni che contano. «Ciò che fai fa la differenza», ha sottolineato citando l’antropologa Jane Goodall, scomparsa di recente, «e devi decidere quale differenza vuoi fare». «Sono sicura», ha spiegato, «che l’Europa sceglierà saggiamente sottolineando che la recente crisi energetica europea ha rivelato una dura verità: la nostra dipendenza dai combustibili fossili importati non è più sostenibile. L’acuirsi della crisi climatica rende questa lezione ancora più chiara. Le energie rinnovabili rappresentano la strada più chiara per ridurre al minimo i compromessi tra gli obiettivi della politica energetica in termini di sicurezza, sostenibilità e convenienza». Endorsement alle rinnovabili che avrebbe, forse, avuto un senso qualche anno fa, ma che oggi è contraddetto dalla realtà. La realtà della stessa Spagna che seppur con tutti le sue peculiarità verdi dimostra come di sole rinnovabili (basta pensare ai blackout e al problema dell’interconnessione delle reti) non si vive. E dell’esplosione della Cina che avendo il monopolio sulla maggior parte delle materie prime necessarie alla transizione ora può fare il bello e il cattivo tempo. L’Europa si è ingabbiata con le sue mani. E per uscire dalle sue galere avrebbe bisogno di una svolta. Ma questo importa poco ai singoli Stati, vedi Francia e Spagna, e ancor meno alla Von der Leyen, che a parte qualche letterina isolata ancora ieri parlava di «sfide più grandi rispetto a un anno fa (crescita esponenziale dell’intelligenza artificiale, dazi, conflitti ndr) per cui bisogna mantenere la rotta nell’attuazione del rapporto Draghi. Ma deve essere un Draghi plus». Lo stesso Draghi che un mese aveva ribaltato l’Europa perché il suo programma era rimasto lettera morta.
Luca Zaia intervistato ieri dal direttore della Verità e di Panorama Maurizio Belpietro (Cristian Castelnuovo)
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 22 ottobre con Carlo Cambi