
Il quotidiano dei vescovi ospita interventi favorevoli a una norma più permissiva. Ma sembra tradire il senso di «Evangelium vitae».Professore all’Università di Firenze e presidente dell’Osservatorio permanente sull’aborto Aiutare qualcuno a suicidarsi è un atto immorale e le leggi che lo consentono sono intrinsecamente inique (Evangelium vitae, 72). Sorge allora spontanea una domanda: perché Avvenire, quotidiano dei vescovi italiani, sta conducendo una campagna di opinione a favore di un disegno di legge che renderebbe legittimo in Italia aiutare una persona a suicidarsi? Numerosi sono gli interventi ospitati dal giornale favorevoli all’approvazione di una legge che recepisca la sentenza 242/2019 della Corte costituzionale, depenalizzando l’aiuto al suicidio. Già il 10 agosto 2024 Giuseppe Anzani, appoggiandosi al Piccolo lessico sul fine vita della Pontificia accademia per la vita, parlava di «mediazione raggiungibile nelle “leggi imperfette”». Più recentemente, una serie di interventi a sostegno all’approvazione del ddl a firma Pierantonio Zanettin e Ignazio Zullo, promosso in Senato dalla maggioranza: Menorello il 9 luglio, Pegoraro il 24 luglio, Marazziti, Binetti e Santolini il 26 luglio. La linea di Avvenire sembra coerente con quanto dichiarato dal cardinale Matteo Zuppi il quale, accennando alla questione del «fine vita» durante un incontro con gli studenti Università di Firenze, ha auspicato l’approvazione di una legge, affermando che «non ha molto senso che ci siano delle soluzioni regionali, c’è bisogno di una indicazione nazionale» (Toscana oggi, 21 maggio 2025).Tutti gli interventi apparsi su Avvenire si appoggiano sull’Evangelium vitae dove, al punto numero 73, Giovanni Paolo II scrive: «Quando non fosse possibile scongiurare o abrogare completamente» una legge ingiusta che consente l’aborto o l’eutanasia, «un parlamentare, la cui personale assoluta opposizione [...] fosse chiara e a tutti nota, potrebbe lecitamente offrire il proprio sostegno a proposte mirate a limitare i danni di una tale disposizione e a diminuirne gli effetti negativi sul piano della cultura e della moralità pubblica». Si argomenta che, se il Ddl proposto dalla maggioranza non venisse approvato, passerebbero sicuramente norme più permissive. Anche ammesso che tale previsione si dimostrasse corretta (e molte considerazioni di natura politica potrebbero mettere in dubbio questa ipotesi), il punto della Ev citato riguarda i parlamentari cattolici che in Parlamento si trovassero a dover votare, loro malgrado e dopo avere cercato in tutti i modi di evitarlo, un disegno di legge contro la vita. Se e quando tale momento arriverà, dovranno decidere in coscienza cosa suggerisce loro il testo dell’enciclica, nella concreta situazione politica in cui verranno a trovarsi.Ma cosa dovrebbe fare il quotidiano dei vescovi? In un momento in cui non è nemmeno cominciata la discussione in Aula e la partita politica è ancora tutta da giocare? La risposta sta nella parte del punto 73 della Ev che non viene mai citata: «Nel caso di una legge intrinsecamente ingiusta, come è quella che ammette l’aborto o l’eutanasia, non è mai lecito [...] partecipare ad una campagna di opinione in favore di una legge siffatta». Ma quello che sta facendo Avvenire, purtroppo, è esattamente una campagna di opinione a favore di una legge che depenalizza, cioè autorizza, l’aiuto al suicidio.Ci si potrebbe chiedere che differenza ci sarebbe, una volta che il ddl fosse approvato, rispetto alla situazione odierna visto che, in virtù di una ingiusta sentenza della Corte costituzionale, di fatto in Italia si può già aiutare qualcuno a suicidarsi senza subire conseguenze penali. La differenza sarebbe enorme perché mentre una sentenza rappresenta una scelta dei soli giudici, l’approvazione di una legge integralmente iniqua coinvolgerebbe l’autorità del Parlamento, che rappresenta tutto il popolo italiano. Sarebbe sicuramente preferibile, dal punto di vista morale, convivere con una sentenza ingiusta, fatta in presenza e nonostante l’esistenza di una norma giusta (quella che punisce l’aiuto al suicidio), che convivere con una legge integralmente iniqua approvata dal Parlamento. E questo sarebbe già sufficiente per opporsi, al di là di ogni altra considerazione sull’inevitabile deriva che espanderebbe rapidamente la pratica eutanasica, come è avvenuto in tutti i Paesi dove l’eutanasia è stata legalizzata; e sul valore diseducativo della legge che, come è stato per l’aborto, contribuirebbe a spegnere nelle coscienze la consapevolezza del peccato di aiutare qualcuno a morire.La posizione di Avvenire dovrebbe rispecchiare integralmente quanto scritto sulla Ev. Dovrebbe con insistenza ricordare che aiutare qualcuno a suicidarsi è immorale e rappresenta un grave peccato. Dovrebbe denunciare con forza l’iniquità della sentenza della Corte costituzionale. Dovrebbe coraggiosamente combattere una battaglia contro qualsiasi legge che renda legittimo aiutare qualcuno a suicidarsi. Dovrebbe incitare i parlamentari cattolici e laici a favore della vita a una dura battaglia contro leggi che recepiscano, nel corpo legislativo italiano, l’ingiusta sentenza usando tutte le opportunità politiche e tutte le tattiche parlamentari a loro disposizione. E se, dopo che avessero tentato in tutti i modi di emendarla per renderla meno permissiva, nonostante tutti i loro sforzi, una legge che legalizza l’aiuto al suicidio stesse per essere approvata, Avvenire non potrebbe che incoraggiare i parlamentari pro vita a votare contro tale legge nel voto finale. Quando nel 1978 apparve ormai politicamente inevitabile che l’aborto venisse legalizzato in Italia, cosa avrebbe dovuto scrivere Avvenire? Avrebbe forse dovuto suggerire l’approvazione di una legge meno abortista per evitarne una più abortista? Per tutto questo è legittimo sperare che, alla ripresa dei lavori parlamentari sul disegno di legge, Avvenire rettifichi finalmente la sua linea e contribuisca con decisione alla battaglia contro una legge ingiusta che, in nome del popolo italiano, renderebbe legittimo in Italia aiutare qualcuno a suicidarsi.
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