2022-05-11
Gli Usa ordinano, l’Ucraina combatte. L’Italia e l’Ue pagano (2,5 miliardi)
Kiev è vittima due volte: prima dei russi che l’hanno invasa e poi degli occidentali, che stanno conducendo lì un conflitto per procura. Una situazione che costerà vite umane, ma anche suon di finanziamenti all’Unione.Qualche giorno fa, in un’intervista a Repubblica, il segretario del Pd Enrico Letta ha definito ignominiosa l’idea che in Ucraina ci sia una «guerra per procura», ovvero che gli ucraini stiano combattendo per conto degli Stati Uniti o della Nato. «I protagonisti sono gli ucraini, sono loro che stanno morendo e saranno loro a decidere se e a quali condizioni accettare una soluzione diplomatica». Ovviamente, il segretario dell’Alleanza atlantica Jens Stoltenberg si è incaricato subito di smentirlo, correggendo Volodymyr Zelensky, il quale aveva aperto all’idea di una pace in cambio della cessione alla Russia della Crimea. «La Nato non accetterà mai l’annessione», ha spiegato, quasi che la penisola occupata da Putin nel 2014 faccia parte dell’organizzazione e dunque sia compito suo decidere se accettare o meno le decisioni di Kiev o di Mosca.Tuttavia se, nonostante le parole di Stoltenberg, Letta continuasse a ritenere ignominiosa la definizione di «guerra per procura» a proposito del conflitto, il segretario del Pd potrebbe rileggersi l’intervista che Philip Breedlove ha concesso un mese fa a The Argument, il podcast del New York Times. Alla domanda di Jane Coaston, che gli chiedeva se gli Stati Uniti fossero in guerra, Breedlove, che non è il portavoce di Putin, ma un ex generale americano che fino al 2016 è stato al comando della Nato, ha risposto secco: «Io penso che siamo in una guerra per procura con la Russia. Stiamo usando per procura gli ucraini come nostre forze». Sì, l’alto ufficiale con 4 stellette ha detto proprio così: stiamo usando gli ucraini per combattere al posto nostro. E alla obiezione della Coaston che gli ha chiesto se una guerra per procura può continuare a rimanere tale, sottintendendo il rischio di un coinvolgimento nel conflitto dei Paesi Nato, Breedlove ha detto di ritenere che questo sia il piano corrente e che non ci sia intenzione di cambiarlo. Dunque, con buona pace di Letta, gli Stati Uniti stanno «usando» gli ucraini e la Nato sta combattendo una guerra contro la Russia per procura. La vera ignominia non è dire la verità, come facciamo noi e Breedlove, ma sostenere ipocritamente il contrario e lasciar intendere che siano gli ucraini a decidere e a dettare le condizioni. Come abbiamo visto, non è così. Gli ucraini sono vittime due volte: prima dei russi, che hanno invaso il loro Paese, e poi degli occidentali, che li armano fino ai denti mandandoli a combattere senza però avere alcuna intenzione di sporcarsi le mani e la coscienza. Europa e America, in questo modo, ritengono di averle pulite e di poter continuare nella finzione. Tuttavia, l’asino, anzi gli asini (ossia tutti quelli che si bevono le frottole che vengono diffuse a reti e giornali unificati) cascano quando si fanno i conti.Come abbiamo scritto più volte, la guerra non è gratis, ma si paga in termini di vite umane e di costi. I morti sono ucraini, i soldi invece sono nostri, ovvero dei Paesi europei che sostengono il conflitto. Zelensky, dopo aver fatto appello alla Ue, alla Nato e all’America, ha battuto cassa, dicendo che per resistere alle truppe russe ha bisogno di sette miliardi al mese. Il suo vice si accontenterebbe di cinque, ma se si vuole evitare la capitolazione di Kiev bisogna pagare. Gli Stati Uniti hanno stanziato 33 miliardi, che non si sa se serviranno a comprare nuovi cannoni o a finanziare la ricostruzione. Sta di fatto che per sostenere l’Ucraina impegnata in una guerra per procura - come dice Breedlove - l’America ha messo mano al portafogli.E l’Europa? Finora i singoli Paesi si sono limitati a inviare a Kiev un po’ di fondi di magazzino del ministero della Difesa. Vecchi missili e vecchie mitragliatrici, ma se il conflitto dovesse durare, l’armamentario non sarebbe sufficiente. Quindi, la Ue si preparerebbe a staccare un assegno di 15 miliardi di euro, un paio dei quali sarebbero a carico dell’Italia. Tuttavia, tutto ciò potrebbe non bastare, perché se si vuole davvero fiaccare la Russia, o per lo meno pensare di farlo, bisogna disporre l’embargo degli idrocarburi. Germania e Austria paiono orientate a porre il veto sullo stop al gas, ma potrebbero dire sì al divieto di importare petrolio. L’unico Paese che si oppone a questa misura sembra essere l’Ungheria, e per convincere Orbán la Ue sarebbe pronta a usare il metodo Erdogan, cioè a pagare tre miliardi pur di ottenere il via libera, comprando il consenso. Fatti i conti e sommati gli 800 milioni stanziati per gli aiuti all’Ucraina, la guerra a questo punto ci sarebbe già costata 2,5 miliardi, una spesa che dimostra come anche le regole della finanza pubblica si possano piegare alle esigenze. Basta che Bruxelles o Washington lo desiderino. Se invece a desiderarlo sono i lavoratori con 40 anni di contributi che ambiscono alla pensione, nisba. Eh, già. La libertà ha un prezzo, quella dalla Fornero un altro.
Francesco Zambon (Getty Images)
La deposizione in mare della corona nell'esatto luogo della tragedia del 9 novembre 1971 (Esercito Italiano)
Quarantasei giovani parà della «Folgore» inghiottiti dalle acque del mar Tirreno. E con loro sei aviatori della Royal Air Force, altrettanto giovani. La sciagura aerea del 9 novembre 1971 fece così impressione che il Corriere della Sera uscì il giorno successivo con un corsivo di Dino Buzzati. Il grande giornalista e scrittore vergò alcune frasi di estrema efficacia, sconvolto da quello che fino ad oggi risulta essere il più grave incidente aereo per le Forze Armate italiane. Alle sue parole incisive e commosse lasciamo l’introduzione alla storia di una catastrofe di oltre mezzo secolo fa.
(…) Forse perché la Patria è passata di moda, anzi dà quasi fastidio a sentirla nominare e si scrive con la iniziale minuscola? E così dà fastidio la difesa della medesima Patria e tutto ciò che vi appartiene, compresi i ragazzi che indossano l’uniforme militare? (…). Buzzati lamentava la scarsa commozione degli Italiani nei confronti della morte di giovani paracadutisti, paragonandola all’eco che ebbe una tragedia del 1947 avvenuta ad Albenga in cui 43 bambini di una colonia erano morti annegati. Forti le sue parole a chiusura del pezzo: (…) Ora se ne vanno, con i sei compagni stranieri. Guardateli, se ci riuscite. Personalmente mi fanno ancora più pietà dei leggendari piccoli di Albenga. Non si disperano, non singhiozzano, non maledicono. Spalla a spalla si allontanano. Diritti, pallidi sì ma senza un tremito, a testa alta, con quel passo lieve e fermissimo che nei tempi antichi si diceva appartenesse agli eroi e che oggi sembra completamente dimenticato (…)
Non li hanno dimenticati, a oltre mezzo secolo di distanza, gli uomini della Folgore di oggi, che hanno commemorato i caduti di quella che è nota come la «tragedia della Meloria» con una cerimonia che ha coinvolto, oltre alle autorità, anche i parenti delle vittime.
La commemorazione si è conclusa con la deposizione di una corona in mare, nel punto esatto del tragico impatto, effettuata a bordo di un battello in segno di eterno ricordo e di continuità tra passato e presente.
Nelle prime ore del 9 novembre 1971, i parà del 187° Reggimento Folgore si imbarcarono sui Lockheed C-130 della Raf per partecipare ad una missione di addestramento Nato, dove avrebbero dovuto effettuare un «lancio tattico» sulla Sardegna. La tragedia si consumò poco dopo il decollo dall’aeroporto militare di Pisa-San Giusto, da dove in sequenza si stavano alzando 10 velivoli denominati convenzionalmente «Gesso». Fu uno di essi, «Gesso 5» a lanciare l’allarme dopo avere visto una fiammata sulla superficie del mare. L’aereo che lo precedeva, «Gesso 4» non rispose alla chiamata radio poiché istanti prima aveva impattato sulle acque a poca distanza dalle Secche della Meloria, circa 6 km a Nordovest di Livorno. Le operazioni di recupero dei corpi furono difficili e lunghissime, durante le quali vi fu un’altra vittima, un esperto sabotatore subacqueo del «Col Moschin», deceduto durante le operazioni. Le cause della sciagura non furono mai esattamente definite, anche se le indagini furono molto approfondite e una nave pontone di recupero rimase sul posto fino al febbraio del 1972. Si ipotizzò che l’aereo avesse colpito con la coda la superficie del mare per un errore di quota che, per le caratteristiche dell’esercitazione, doveva rimanere inizialmente molto bassa.
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