2025-02-19
Usa e Russia licenziano Zelensky
Volodymyr Zelensky (Getty Images)
Piano in tre fasi, prime intese: Kiev nella Ue ma non nella Nato. Però in Ucraina si dovranno tenere le elezioni rinviate da un anno e che difficilmente il presidente può vincere. Intanto lui rientra precipitosamente in patria: l’inviato americano arriva in anticipo.Le due potenze a Riad per «normalizzare» le relazioni e trattare la pace. Marco Rubio sente anche Italia, Germania, Francia, Uk ed Europa, che dovrà sobbarcarsi la sicurezza ucraina. Russi soddisfatti: «Veniamo compresi».Lo speciale contiene due articoli.Il destino di Volodymyr Zelensky sembra essere racchiuso nel suo commento sui colloqui Usa-Russia a Riad: «Una sorpresa, lo abbiamo saputo dai media». Non lo hanno informato, non lo hanno coinvolto. Il «nuovo Churchill» fiuta il rischio di finire come il primo e più illustre: liquidato alle elezioni del dopoguerra. Solo che, a differenza di sir Winston, lui la guerra non la vincerà.L’ipotesi che il voto in Ucraina possa rientrare nel negoziato tra Washington e Mosca l’ha fatta balenare ieri Fox news, secondo cui entrambe le capitali vorrebbero che i cittadini fossero convocati alle urne, sicure che Zelensky «abbia una chance molto bassa» di essere rieletto. Immaginano che alla gente non siano piaciuti il fiasco della controffensiva, la messa al bando delle opposizioni e i reclutamenti forzati.L’intesa farebbe parte di un piano di pace articolato in tre fasi, sulla cui veridicità, tuttavia, mancano conferme ufficiali. Il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, che ieri sedeva al tavolo con l’omologo americano, Marco Rubio, con Michael Waltz, il consigliere per la Sicurezza nazionale di Donald Trump e Steve Witkoff, l’inviato in Medio Oriente, lo ha smentito. In ogni caso, che la posizione del presidente in tuta mimetica non sia solida, lo si era intuito già in mattinata. Il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, aveva confermato che Vladimir Putin sarebbe disponibile a parlare con il contendente, ribadendo però che, in vista di una formalizzazione giuridica dell’accordo, bisognerà dirimere i dubbi sulla legittimità di Zelensky.In effetti, quella del comandante in capo ucraino è una figura ingombrante, se l’obiettivo è una soluzione definitiva al conflitto. In più, il modo in cui egli si è tenuto stretto la poltrona ha destato perplessità anche negli Stati Uniti.Ciò che ha consentito a Zelensky di evitare un nuovo voto - prassi, in realtà, non inedita per un Paese in trincea - è stata la continua proroga della legge marziale. Il suo mandato sarebbe scaduto il 20 maggio 2024. E la Costituzione, che garantisce un salvacondotto al Parlamento, non prevede invece la possibilità che il numero uno dell’esecutivo mantenga il potere a tempo indeterminato. Il presidente è autorizzato a dirigere una fase di transizione, che si estende dalle elezioni fino all’insediamento del successore. Nove mesi fa, il giurista Hryhoriy Omelchencko, già membro della commissione che, a metà degli anni Novanta, scrisse la Carta fondamentale, aveva indirizzato una missiva al comandante in capo, invitandolo a «non usurpare i poteri statali» e a dimettersi. Giusto un anno fa, durante la sua visita a Kiev, il senatore repubblicano statunitense Lindsey Graham aveva discusso con Zelensky della possibilità di indire una tornata elettorale. Intanto, Vitaly Klitschko, sindaco della capitale, aveva avvisato la classe dirigente sulla tentazione di imitare la Russia, «dove tutto dipende dal capriccio di un uomo». L’ex attore è stato lapidario sulle elezioni: finché si combatte, non ci si divide. La verità è che l’idea di sottoporsi al giudizio dei connazionali lo atterrisce: non avrà in mano grandi successi da esibire. Anzi, più ci si avvicina al momento decisivo della trattativa Trump-Putin, più lui è destinato a trovarsi in una posizione di debolezza e imbarazzo.Di rospi, Zelensky ne ha ingoiati tanti: dai diktat sulle armi, fino a Joe Biden che gli intimava di spedire al fronte pure i diciottenni. Il nervosismo che sta lasciando trasparire in questi giorni è la spia di difficoltà ancor più gravi. Ne ha subito approfittato Lavrov. Il capo della diplomazia russa, ieri, ha detto che il presidente ucraino «va fatto ragionare»; un attimo dopo ha rincarato la dose, aggiungendo che lui «e tutta la sua squadra» meritano di «ricevere una bacchettata sulle mani». A una giornalista che gli chiedeva lumi sulla presunta intenzione di Mosca, paventata dal leader di Kiev, di utilizzare armi nucleari tattiche, il ministro ha risposto in toni canzonatori: «Dice molte cose, dipende da cosa beve o da cosa fuma».L’ex comico, ieri, era in visita con la moglie da Recep Erdogan, per inaugurare la nuova ambasciata ad Ankara. Da lì, ha comunicato il proprio disappunto per essere stato escluso dal tavolo. Aprono un dialogo «sull’Ucraina e senza l’Ucraina», ha lamentato, per poi proporre colloqui «equi» che comprendano l’Ue, il Regno Unito e la Turchia. Nel frattempo, lo ha raggiunto un’altra notizia a sorpresa: l’inviato di Trump, Keith Kellogg, ha deciso di anticipare il viaggio a Kiev, dov’è atterrato ieri sera anziché domani. Un cambio di programma che ha trasformato Zelensky in una specie di trottola: nel bel mezzo del suo tour mediorientale, gli è toccato rinviare al 10 marzo la trasferta a Riad, prevista per oggi. Almeno, si è risparmiato l’ignominia di recarsi in Arabia Saudita ad americani e russi ormai ripartiti. Il presidente ha smorzato le polemiche: «Siamo onesti e aperti mentalmente, non voglio coincidenze. Ecco perché non andrò». Lo si nota di più se va e trova le sedie vuote, oppure se aspetta una ventina di giorni? Di certo, per lui sono meglio le bacchettate sulle mani che una batosta alle urne.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/usa-e-russia-licenziano-zelensky-2671177552.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="via-ai-negoziati-mosca-washington-per-kiev-niente-nato-ma-si-allue" data-post-id="2671177552" data-published-at="1739927303" data-use-pagination="False"> Via ai negoziati Mosca-Washington: «Per Kiev niente Nato, ma sì all’Ue» Si sono tenuti ieri, a Riad, i colloqui tra Stati Uniti e Russia. La delegazione di Washington era guidata dal segretario di Stato, Marco Rubio, dal consigliere per la Sicurezza nazionale, Mike Waltz, e dall’inviato per il Medio Oriente, Steve Witkoff. Dall’altra parte, il team di Mosca era capitanato dal ministro degli Esteri, Sergej Lavrov, e dal consigliere per la politica estera del Cremlino, Yuri Ushakov. Al termine del vertice durato quattro ore e mezza, la portavoce del Dipartimento di Stato americano, Tammy Bruce, ha reso noto che le due delegazioni hanno concordato di «affrontare gli elementi irritanti nelle nostre relazioni bilaterali con l’obiettivo di adottare le misure necessarie per normalizzare il funzionamento delle nostre rispettive missioni diplomatiche». Secondo la portavoce americana, le parti hanno anche stabilito di creare un team per le negoziazioni relative alla crisi ucraina con lo scopo di predisporre un «percorso volto a porre fine al conflitto in Ucraina il prima possibile in un modo che sia duraturo, sostenibile e accettabile per tutte le parti». «Il presidente Trump è l’unico leader al mondo che può far sì che Ucraina e Russia siano d’accordo su questo», ha aggiunto la Bruce. Rubio ha anche reso noto che, al di là del dossier ucraino, l’auspicio è quello «di lavorare insieme su altre questioni geopolitiche di interesse comune e, naturalmente, anche su alcune partnership economiche». Il che significa che Washington e Mosca sono pronte a discutere di vari dossier geopolitici (leggasi Siria e Iran) e che, forse, gli americani potrebbero prima o poi ridurre le sanzioni alla Russia. Rubio ha inoltre specificato che Kiev non sarà marginalizzata nelle trattative e che, a un certo punto, la stessa Ue potrebbe svolgervi un ruolo: ieri sera, il segretario di Stato ha, non a caso, avuto una telefonata con gli omologhi di Italia, Francia, Germania, Ue e Regno Unito. Waltz, dal canto suo, ha auspicato che sia l’Europa a farsi principalmente carico delle garanzie di sicurezza ucraine, esprimendo irritazione per quegli alleati che non contribuiscono ancora adeguatamente alla Nato dal punto di vista economico. Non solo. La delegazione Usa ha anche reso noto d’aver discusso di un possibile vertice tra Trump e Vladimir Putin, nonostante non sia stata ancora fissata una data. Soddisfazione è stata poi espressa dal team negoziale russo. «Ho tutte le ragioni per credere che la parte americana comprenda la nostra posizione», ha detto Lavrov, aggiungendo che i colloqui sull’Ucraina inizieranno «il prima possibile». Il ministro russo ha tuttavia definito «inaccettabile» l’eventuale schieramento di truppe della Nato in territorio ucraino: il che rappresenta un possibile fattore di attrito con Waltz, che invece ieri ha apprezzato l’approccio proattivo di Regno Unito e Francia sulla questione. Un approccio proattivo tuttavia in gran parte ridimensionatosi, visto che Parigi ha fatto un mezzo passo indietro, sostenendo che è «troppo presto» per parlare di un invio di soldati in Ucraina. Lavrov ha anche dichiarato che la delegazione americana ha proposto una moratoria sugli attacchi agli impianti energetici. Più in generale, secondo Fox news, le parti avrebbero discusso di un possibile piano di pace in tre fasi: la prima consisterebbe in un cessate il fuoco, la seconda nel tenere elezioni in Ucraina e la terza prevedrebbe un accordo definitivo. Sempre ieri, prima della conclusione dei colloqui sauditi, Mosca è tornata a opporsi a un’adesione di Kiev alla Nato, ma si è detta aperta a un suo ingresso nell’Ue. «Stiamo parlando di integrazione e processi di integrazione economica. E qui, ovviamente, nessuno può dettare legge a nessun Paese, e noi non lo faremo», ha detto il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, riferendosi all’eventualità di un’adesione dell’Ucraina all’Ue. Una posizione, questa, che potrebbe essere stata ben accolta dagli americani, proprio perché puntano a un maggiore coinvolgimento del Vecchio continente nella risoluzione della crisi. Ricordiamo che, sulla base del trattato dell’Unione europea, «qualora uno Stato membro subisca un’aggressione armata nel suo territorio, gli altri Stati membri sono tenuti a prestargli aiuto e assistenza con tutti i mezzi in loro possesso, in conformità dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite». Ma attenzione: il peacekeeping potrebbe riguardare anche Ankara. La settimana scorsa, il capo del Pentagono, Pete Hegseth, aveva detto che le garanzie di sicurezza in Ucraina dovevano essere affidate a «truppe europee e non europee». Ricordiamo che la Turchia, come il Canada, fa parte della Nato. E che già in passato erano circolate indiscrezioni sulla possibilità che Ankara schierasse truppe di peacekeeping in Ucraina. Certo, Mosca sembra irremovibile sul punto. Senza trascurare che i rapporti tra Russia e Turchia si sono parzialmente incrinati a seguito della crisi siriana. Eppure ieri Tayyip Erdogan ha annunciato di volersi ritagliare un ruolo nel processo di pace. «La Turchia sarà un ospite ideale per i possibili colloqui tra Russia, Ucraina e America nel prossimo futuro», ha detto. In tutto questo, il peso di Mohammad bin Salman si fa sempre più centrale. Oltre ad aver ospitato i colloqui, ha avuto dei bilaterali, tra ieri e l’altro ieri, con Rubio e Lavrov. Chi invece non tocca palla è la Francia che, dopo il fiasco del primo, ha convocato un secondo summit per oggi sull’Ucraina.
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