2019-07-10
Usa 2020, tra i dem avanza Tom Steyer, miliardario ambientalista e anti Trump
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Si è registrato qualche cambiamento, negli ultimi giorni, nella corsa dei candidati alla nomination democratica del 2020. Il deputato californiano, Eric Swalwell, si è ritirato lo scorso 8 luglio, a causa dei magri risultati ottenuti in termini sondaggistici. Durante il dibattito televisivo di Miami aveva cercato di farsi notare, criticando il front runner, Joe Biden, per l'età avanzata e invitandolo a «passare il testimone». Peccato per lui, che questa strategia non avesse sortito il benché minimo effetto. Un fallimento che lo ha spinto così a tirarsi indietro.Insomma, sembrerebbe che la pletora dei concorrenti dem stia iniziando lentamente a sfoltirsi. Si tratta tuttavia di un'illusione. Ventiquattrore dopo il ritiro di Swalwell, è infatti ufficialmente sceso in campo il miliardario Tom Steyer: figura col pallino ambientalista, da sempre molto vicina al Partito democratico americano. Nel 1983, lavorò per il comitato elettorale di Walter Mondale, mentre - nel 2004 - si prodigò per raccogliere fondi a sostegno della candidatura di John Kerry alla Casa Bianca. Attività che replicò quattro anni più tardi a favore di Barack Obama (tanto che, nello stesso 2008, risultò tra i papabili per la poltrona di segretario al Tesoro).Ciononostante il ruolo di Steyer non si è limitato al fundraising. Il miliardario è stato anche delegato alle convention dell'Asinello nel 2004 e nel 2008, mentre alla convention del 2012 tenne un discorso in cui attaccò frontalmente l'allora candidato repubblicano alla Casa Bianca, Mitt Romney, sul versante ambientalista. Fin quando, nel 2016, ha ripreso la sua attività di raccolta fondi a sostegno della candidatura di Hillary Clinton. In questo contesto, l'antipatia di Steyer nei confronti di Donald Trump è un elemento quasi scontato. Dall'ottobre del 2017, il miliardario ha infatti investito circa dieci milioni di dollari per finanziare una campagna che chiedeva l'impeachment del presidente. Una campagna che - con ogni probabilità - gli è servita per gettare le basi della sua attuale candidatura alla nomination democratica.Il punto è adesso capire che cosa abbia effettivamente spinto il miliardario democratico a questo passo. In primo luogo, bisogna sfatare un mito: non si tratta tecnicamente di una candidatura tardiva. Basti pensare, per esempio, che John Kerry scese in campo per la nomination democratica del 2004 nel settembre del 2003, mentre l'indipendente Evan McMullin si candidò alla Casa Bianca nel 2016 appena tre mesi prima del voto novembrino. Fattori, questi, che lasciano presagire come la folta pletora degli attuali candidati democratici possa addirittura ingrossarsi nelle prossime settimane. In secondo luogo, è possibile che Steyer abbia scelto di scendere in campo, dopo aver constatato la difficoltà riscontrata dai principali candidati attualmente in lizza per la nomination. Joe Biden continua a collocarsi in testa ai sondaggi ma appare sempre più in affanno: le accuse di pregresse simpatie segregazioniste continuano a pesare sulla sua campagna, mentre il sostegno da parte dell'elettorato afroamericano nei suoi confronti sta colando a picco. Anche Bernie Sanders si trova in forte difficoltà e sempre più sondaggi lo danno scivolato al terzo o quarto posto nella corsa per la nomination. È quindi possibile che Steyer punti su questa confusione, per cercare di farsi spazio ed emergere. Infine, non è escludibile che il miliardario voglia soprattutto far leva sul proprio storico impegno ambientalista: una parte consistente dell'elettorato democratico risulta oggi profondamente interessata alla questione del cambiamento climatico. E - con ogni probabilità - è principalmente a quelle frange elettorali cui Steyer sta adesso guardando con attenzione, proponendosi come una sorta di Al Gore redivivo.La domanda che tuttavia continua ad aleggiare è se il miliardario abbia reali possibilità di vittoria. Posto che ovviamente bisognerà capire in che modo si svilupperà la campagna elettorale nei prossimi mesi, questa candidatura lascia più di una perplessità. Nonostante – come detto – le tematiche ambientali siano considerate importanti da una parte non indifferente delle galassie liberal, non è affatto detto che risulteranno alla fine così decisive in sede elettorale. Uno dei principali problemi che l'Asinello riscontra dal 2016 è l'allontanamento della classe operaia impoverita della Rust Belt: una quota elettorale che è in buona parte passata tra le file di Trump tre anni fa. Ora, non è esattamente chiaro in che modo un profilo come quello di Steyer possa rivelarsi in grado di convincere i colletti blu del Michigan e dell'Ohio. Quegli stessi colletti blu che, non da oggi, guardano con non poca freddezza a un certo tipo di ambientalismo filantropico, pronto ad azzoppare ampi settori dell'industria tradizionale statunitense. Senza poi trascurare che, nell'attuale corsa per le primarie democratiche, di progressisti ambientalisti ce ne siano già svariati: a partire dall'agguerrita senatrice californiana Kamala Harris. Un ulteriore problema per Steyer riguarda poi il consenso. Per quanto non siano ancora disponibili sondaggi successivi alla sua discesa in campo, una rilevazione condotta lo scorso dicembre da Cnn registrava che la notorietà del miliardario a livello nazionale si attestasse al ben poco lusinghiero dato dello 0%. Inoltre, un'ulteriore rilevazione condotta in Iowa nello stesso mese tra gli elettori del Partito democratico segnalava un gradimento particolarmente basso.Infine, al di là dei sondaggi, non è del tutto escludibile che la discesa in campo di Steyer possa rivelarsi un assist indiretto a Trump. Da qualche tempo, è infatti evidente che alcuni noti magnati americani si stiano muovendo in modo abbastanza curioso. Pochi giorni fa, è trapelata la notizia di un'alleanza tra George Soros e Charles Koch in vista della creazione di un think tank il prossimo settembre. Iniziativa ufficialmente estranea alle elezioni del 2020 ma che qualche dubbio in realtà lo diffonde, vista la storica avversione di entrambi verso Trump. Insomma, questo schieramento di miliardari anti-trumpisti potrebbe alla fine avvantaggiare il presidente americano, che ha fatto del contrasto ai poteri forti uno dei propri principali cavalli di battaglia dai tempi della campagna elettorale del 2016.Senza poi trascurare che, nelle scorse ore, la candidatura di Steyer abbia innescato reazioni ben poco amichevoli da parte di altri competitor democratici, con la senatrice del Massachusetts, Elizabeth Warren, che ha duramente dichiarato: «Le primarie democratiche non dovrebbero essere decise dai miliardari». Una posizione condivisa sostanzialmente anche da Bernie Sanders. Insomma, anziché appianare i dissidi, la candidatura di Steyer sembra aumentare la litigiosità in casa dem. E intanto lo smarrimento dell'Asinello persiste.