2020-02-25
Usa 2020: dopo il Nevada, i dem attendono la ghigliottina del South Carolina
True
Bernie Sanders adesso spera nella nomination democratica. I risultati del caucus del Nevada, tenutosi sabato scorso, risultano del resto per lui particolarmente incoraggianti. Il senatore del Vermont ha conquistato infatti il primo posto con il 47% dei consensi. In seconda posizione si è invece collocato l'ex vicepresidente americano, Joe Biden, che ha ottenuto il 20%. Deludente terzo posto per l'ex sindaco di South Bend, Pete Buttigieg, che si è ritrovato inchiodato al 14%, seguito dalla senatrice del Massachusetts, Elizabeth Warren, che è addirittura rimasta sotto la soglia del 10%.Insomma, buone notizie per il senatore socialista che - dopo il New Hampshire - si è confermato vincitore anche nel cosiddetto Silver State. Una vittoria importante non tanto per il numero di delegati in palio, ma perché il Nevada costituisce il primo Stato in cui giocano un ruolo fondamentale le minoranze etniche (soprattutto gli ispanici): quelle minoranze etniche con cui Sanders aveva riscontrato svariati problemi nel 2016 e che adesso sembra invece capace di conquistare. Con il risultato di sabato, il senatore del Vermont può quindi smentire adesso coloro che lo accusavano di non essere in grado di estendere il proprio consenso al di là dell'elettorato bianco. Come riportato domenica scorsa da Cnn, Sanders è infatti riuscito ad attrarre il voto del 53% degli ispanici in Nevada (sfondando soprattutto tra i giovani), laddove Biden - considerato storicamente a suo agio con le minoranze - si è dovuto fermare a un magro 17%. La situazione è quindi molto promettente per Sanders, vista la forte presenza di ispanici in Stati fondamentali come il Texas e la California (che andranno al voto in occasione del Super Martedì del prossimo 3 marzo). Inoltre, al di là della questione delle minoranze, bisogna anche rilevare come il Nevada sia stato protagonista di uno sfaldamento del campo centrista: è vero che nel locale caucus Sanders non si sia discostato dal risultato ottenuto nel 2016 (circa il 47%). Ma è altrettanto vero che, se all'epoca i moderati dem si erano compattati attorno a Hillary Clinton (che raggiunse un ragguardevole 53%), stavolta - sommando i consensi conseguiti dai vari candidati centristi in gara - si supera di poco la soglia del 40%.Adesso si attendono le dirimenti primarie del South Carolina, dove Joe Biden spera di risalire la china, soprattutto grazie al voto dell'elettorato afroamericano: un elettorato, rispetto a cui l'ex vicepresidente risulta favorito. Ci sono tuttavia alcune incognite. È pur vero che in Nevada Biden abbia conquistato la maggioranza degli elettori neri (con il 39%). Ciononostante non va dimenticato che, in loco, Sanders abbia riscontrato un discreto risultato con questa quota elettorale, aggiudicandosene il 27%. Inoltre bisogna sottolineare che storicamente gli elettori afroamericani democratici si contraddistinguano per un notevole pragmatismo. È quindi possibile che molti di costoro non siano rimasti troppo convinti dai pessimi risultati rimediati dall'ex vicepresidente in Iowa e New Hampshire. Del resto, anche in Nevada - pur arrivando secondo - non è che abbia particolarmente brillato, vista la decisa lontananza dalla prima posizione. A tal proposito, valga un precedente storico. Non dimentichiamo infatti che - pur essendo tradizionalmente fautori dei Clinton - gli elettori afroamericani degli Stati meridionali, alle primarie democratiche del 2008, iniziarono ad abbandonare Hillary per sostenere Barack Obama, solo dopo che quest'ultimo era riuscito a vincere il caucus dell'Iowa: solo cioè quando l'allora senatore dell'Illinois dimostrò di avere le capacità per arrivare fino in fondo. D'altronde, un sondaggio di poche settimane fa aveva rivelato come molti afroamericani avessero cominciato ad abbandonare Biden per convogliare i propri consensi su Mike Bloomberg. Il punto è che, nel frattempo, l'ex sindaco di New York ha avuto una pessima performance televisiva nel dibattito televisivo di qualche giorno fa e - come se non bastasse - sono piovute su di lui una serie di critiche a causa di alcune sue passate affermazioni, tacciate di ostilità nei confronti delle minoranze etniche. Non è dunque chiaro quanto e come questi fattori influiranno sulla corsa elettorale di Bloomberg che - ricordiamolo - non inizierà prima del 3 marzo.In tutto questo, tornando al South Carolina, l'attuale media sondaggistica di Real Clear Politics non promette nulla di buono per Biden. Nelle ultime due settimane, l'ex vicepresidente ha perso quattro punti percentuali in loco, mentre Sanders ne ha guadagnati quasi cinque nello stesso periodo. Inoltre, se Biden continua a mantenere la prima posizione con il 27%, il senatore socialista lo insegue al 22%: il gap non è così significativo, soprattutto se pensiamo al fatto che - fino al 12 febbraio - lo stacco tra i due superava il 10%. Anche qualora vincesse in South Carolina, l'ex vicepresidente rischia quindi seriamente di trovarsi tallonato da Sanders: un elemento che azzopperebbe ulteriormente la sua candidatura. Tutto questo, mentre nel cosiddetto Palmetto State non sembra tirare granché aria di riscatto per Pete Buttigieg ed Elizabeth Warren. Il primo, dopo i due buoni risultati conseguiti in Iowa e New Hampshire, sembra adesso scontare l'ostilità delle minoranze etniche. La seconda si ritrova invece con una candidatura mai autenticamente decollata. E, non a caso, i sondaggi locali la danno addirittura a un misero quinto posto. Insomma, le primarie del South Carolina si riveleranno uno snodo fondamentale di queste primarie democratiche. Una vera e propria faida senza esclusione di colpi, che preluderà di poco alla "mannaia" del Super Martedì: una mannaia che rischia di fare elettoralmente un bagno di sangue. Buttigieg, Biden e la Warren sono avvertiti.