2020-12-29
Uno studio internazionale sulle cartelle cliniche per sapere chi muore di virus
(Peter Dazeley/Getty Images)
Nonostante le linee guida Oms, i dubbi sulla contabilità delle vittime sono troppi. Serve un'indagine a campione sui referti così da chiarire quando il Covid è letale e quando no.Caro direttore, vorrei condividere con lei alcune considerazioni su alcuni importanti aspetti correlati all'attuale pandemia da coronavirus Sars-Cov2 e che si manifestano nel corso della sindrome clinica detta Covid-19. Vorrei soffermarmi e su un aspetto che sempre più emerge all'attenzione a vari livelli (cittadinanza, stampa e media, mondo medico-scientifico ed autorità), ovvero la produzione e valutazione del dato numerico che descrive l'andamento pandemico, focalizzandomi sulla produzione e valutazione del dato (non irrilevante) del numero di decessi.Sappiamo che in Italia abbiamo conseguito il triste primato europeo dei decessi «per» Sars-Cov2 e siamo in ottima (pessima) posizione a livello mondiale. Come si giustifica ciò a fronte di un severissimo (anche se tardivo) blocco totale primaverile e di misure altrettanto importanti, anche se diverse, in questa seconda fase epidemica autunnale? Un primo importante fattore da considerare è certamente la distribuzione della popolazione in classi di età: sappiamo che il nostro è uno dei Paesi più «vecchi» al mondo e ciò spiega ampiamente la diversa letalità, ad esempio, rispetto alla Nigeria, o a molti altri Paesi «giovani» visto che la percentuale maggiore di decessi si concentra nelle fasce di età più alte. Ma perché esiste una marcata differenza (di un fattore 4/5) con, ad esempio, la Germania, la cui piramide delle età differisce assai poco dalla nostra?A questa giustificata domanda sono state di recente fornite molte risposte tramite interviste rilasciate da autorevoli colleghi a mezzo stampa o tv. Ad esempio il professor Luciano Gattinoni, che ben conosce la situazione tedesca, ha giustamente fatto rilevare che lì è stato prontamente attivato un piano pandemico aggiornato con una medicina territoriale efficiente e in grado di «tamponare» il sovraccarico di cliniche e ospedali, per non parlare del numero ampiamente sufficiente di terapie intensive e relativo personale medico e infermieristico. Tutto giusto, precisando però che in Italia (al Nord) le terapie intensive sono andate in saturazione in primavera, mentre in autunno/inverno si è solo superata la soglia critica del 30% senza raggiungere la saturazione, eppure il divario di mortalità Italia/Germania si è riprodotto tal quale anche in autunno. Tuttavia, ad un esame più approfondito, possiamo affermare che ci sia qualcos'altro ancora. L'Oms ha fornito linee guida internazionali per la codifica della sindrome Covid-19 come causa di morte anche con riferimento alla classificazione statistica delle malattie, cosiddetta ICD-11. Ciò affinché il dato proveniente dai vari Paesi del mondo sia confrontabile. Ora, la scheda Oms è divisa in due sezioni: nella prima sezione viene indicata la sequenza causale di condizioni morbose che hanno condotto al decesso, a partire dalla causa precipitante o finale (motivo ultimo del decesso) per risalire a ritroso, anche attraverso varie condizioni intermedie fino alla causa sottostante (underlying cause); in Italia (modello Istat D4 o D4bis per bambini“1 anno) la sequenza causale è invertita (dalla causa iniziale, ovvero sottostante, alla causa precipitante o finale) ma il significato non cambia. Nella seconda sezione invece sono elencate tutte le condizioni preesistenti o concomitanti che si ritiene possano aver contribuito al decesso, pur non facendo parte della sequenza causale riportata nella prima sezione; queste molteplici condizioni possono essere: patologie respiratorie croniche (asma grave, bronchite cronica, enfisema polmonare); patologie cardiovascolari, in particolare di tipo ischemico e/o embolico e ipertensione arteriosa non controllata; patologie del sistema immunitario (Hiv o altri deficit immunitari o terapie immunosoppressive in corso di varie patologie) oppure disabilità croniche che compromettono lo stato immunitario; infine patologie metaboliche non compensate (diabete mellito scompensato, obesità patologica). Questo ampio spettro di patologie associate può, in scienza e coscienza, essere aggravato dalla sopravvenuta infezione da Sars-Cov2 fino a condurre al decesso e ne conosciamo i meccanismi patogenetici (danno alveolare e/o vascolare, stato infiammatorio cronico, sindrome metabolica). In questi casi, dunque, il virus deve essere correttamente considerato «causa di morte», anche se indiretta. Ma in compresenza di patologie diverse da quelle descritte e tali da produrre una sequenza causale in grado di condurre, di per sé, alla morte e inoltre in assenza di polmonite virale e/o di sindrome respiratoria acuta e in presenza di «semplice» positività al test standard per Covid-19, come va classificato il decesso relativamente alla «causa iniziale o sottostante» di morte? Le linee guida Oms sono chiare al riguardo: la causa «Covid-19» deve essere citata (eventualmente) nella seconda sezione e non può quindi far parte della sequenza causale principale, né essere considerata «causa iniziale o sottostante» di morte nelle statistiche ufficiali. Ciò pone anche un dubbio: se l'associazione di un test positivo al virus a qualsivoglia importante patologia in grado di condurre a morte (in assenza di polmonite virale o quadro clinico respiratorio acuto) dovesse far ritenere il virus causa - anche se indiretta - di morte, potrebbe ciò comportare la produzione di numeri di decessi imputabili al virus particolarmente, e troppo, elevati?A questo proposito vorrei aggiungere alcune considerazioni sulla paura. La paura è un potentissimo istinto evolutosi nelle specie animali per la sopravvivenza dell'individuo e della specie. La paura è utile ed efficace, ma per esserlo al massimo grado deve essere proporzionale al pericolo che la suscita. Pensiamo ad una asticella: l'asticella della paura. Se l'asticella è posta alla giusta altezza abbiamo un risultato ottimale e l'individuo (o l'intera specie) sarà protetto da un grave pericolo, al prezzo eventuale di effetti secondari accettabili. Se l'asticella è troppo bassa, la scarsa considerazione di un grave e reale pericolo porterà l'individuo, o magari vari altri individui, alla morte. Ma, cosa accade se l'asticella della paura viene posizionata troppo in alto? Il pericolo sarebbe certo evitato, al prezzo però di conseguenze che potrebbero rivelarsi molto (troppo?) gravi: conseguenze di tipo psicologico/psichiatrico su bimbi piccoli o adolescenti, soggetti già psicolabili o anziani fragili; e conseguenze economiche e sociali molto più gravi rispetto a quelle che si sarebbero comunque prodotte con un giusto livello della nostra ipotetica asticella.Purtroppo sembrerebbe che agitare lo spettro della morte da virus giovi al Potere («poltrone» consolidate ed elezioni allontanate) e nemmeno dispiaccia a chi il Potere lo vorrebbe (governo inetto con primato dei morti a fronte di misure pesanti e restrittive delle libertà personali). E le conseguenze sociali ed economiche? E il prestigio del Ssn e dell'intero Paese? Tutto ciò non è onesto, non è giusto e non è scientificamente valido (e forse non è neppure legale).Torno ora al dubbio iniziale (che per me personalmente è una ragionevole certezza) che il numero dei decessi «per» sindrome Covid-19 sia impreciso per eccesso e che ciò sia imputabile prevalentemente ad un errore sistematico (non accidentale) del criterio di classificazione e codificazione del decesso in relazione alla sindrome Covid-19. Può anche darsi che vi contribuisca il sistema elettronico di raccolta dei dati. Oppure anche vi contribuisca il sistema cosiddetto Drg di retribuzione «a posteriori» degli ospedali in base al codice di diagnosi di dimissione (vivo o morto che sia il paziente). Quest'ultimo fattore potrebbe avere un ruolo nel caso (di cui abbiamo personale e certa notizia) di un paziente deceduto per causa certamente indipendente dal virus e tuttavia classificato come deceduto «per» il virus non essendo stato possibile effettuare in tempo un secondo tampone (negativo il primo e negativi tutti i precedenti eseguiti in altra sede)?Se, come sembrerebbe, il criterio di classificazione dei casi «con patologie» associate preesistenti e/o compresenti non sia proprio lo stesso nei vari Paesi (e sia diverso anche il sistema elettronico di raccolta dei dati) come possono ritenersi confrontabili i dati che affluiscono giornalmente dai singoli Paesi del mondo? Come ovviare a quello che sembra un problema di consistenza non irrilevante? Esiste un modo per ovviare ad un «bias» tanto grave? Una buona cosa sarebbe intanto prendere atto dell'esistenza di un problema di questo tipo e cercare di porvi rimedio. Non sono uno statistico, anche se ho studiato statistica sanitaria durante il corso di specializzazione in medicina nucleare, ma un modo semplice, anche se approssimativo, che mi viene in mente potrebbe essere questo: al momento i decessi totali in Italia «per» Covid-19 sono oltre 70.000. Si prenda un campione random su tutto il territorio nazionale di 1.000 cartelle cliniche e le si riesamini accuratamente e «manualmente»; si espungano i casi in cui il virus, in base a scienza e coscienza, risulti escluso dalla catena causale di eventi che ha condotto alla morte, essendo non un attore protagonista ma un semplice comprimario (test positivo in assenza di polmonite o di un quadro clinico di grave compromissione respiratoria e in assenza di patologie preesistenti notoriamente suscettibili di fatale aggravamento in compresenza del virus). Si potrebbe ottenere così un «fattore di correzione» che potrebbe darci un numero totale di decessi per il virus più prossimo alla realtà e avulso da manipolazioni del dato. Lo stesso potrebbe farsi per molti altri Paesi (ad esempio Germania, Giappone, Francia, Spagna, Svezia, Svizzera, Gran Bretagna, Stati Uniti) avendo ovviamente la possibilità di accedere ai dati nell'ambito di uno studio internazionale. Il dato (non irrilevante) «decessi da Sars-Cov2» sarebbe allora meglio confrontabile. Cosa di cui al momento dubito fortemente.
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