2024-05-03
I pro Gaza chiedevano cibo vegano. Invece nei campus arriva la polizia
L'intervento della polizia alla UCLA di Los Angeles (Getty Images)
Sgomberate Columbia e Ucla. Persino Biden scarica i filopalestinesi, che pretendevano pure il vitto «green». Ora è l’Iran a corteggiarli: «Venite a studiare da noi». E Trump gongola: «I blitz degli agenti? Belli da vedere».Blinken rimedia sberle dai miliziani, da Abu Mazen e da Israele, che insiste col piano per l’invasione di terra a Rafah. Il re giordano incontra Meloni, Mattarella e il Papa.Lo speciale contiene due articoli.Alla fine, la polizia s’è incazzata. Martedì notte, gli agenti in tenuta antisommossa hanno fatto irruzione al City College e alla Columbia University di New York, arrestando oltre 300 manifestanti pro Gaza e smantellando i loro accampamenti. Li aveva sollecitati la preside stessa dell’ateneo, Minouche Shafik, che ha pretesto un presidio di uomini in divisa fino al prossimo 17 maggio, così da consentire il regolare svolgimento della cerimonia di laurea di oltre 15.000 iscritti. Per il blitz gongola Donald Trump, che lo definisce «bello da vedere». Invece gli accasermati accusano le forze dell’ordine di brutalità, mentre l’associazione dei professori, ormai in rotta con la direttrice, sostiene che la presenza in università dei poliziotti debba essere considerata una minaccia per l’incolumità dei ragazzi. È un caso esemplare di «mondo al contrario»: quelli pericolosi sono i tutori della legge, mica i sediziosi con i volti coperti.Ieri è toccato alla Ucla di Los Angeles essere sgomberata. Dopo una prima incursione notturna, le forze di sicurezza avevano fatto retromarcia, in mattinata, senza grossi incidenti, per poi perimetrare la tendopoli dei filopalestinesi. I quali, comunque, promettevano: «Non ce ne andremo». Una pervicacia che ha avuto il suo prezzo: la polizia ha abbattuto le barricate, ha rimosso cancelli e travi di legno e ha proceduto a una maxi retata di arresti. Secondo la Cnn, per raggiungere la Royce Hall e l’accampamento, alcuni poliziotti avrebbero anche sparato proiettili di gomma.Eppure, pare proprio che gli attivisti si aspettassero un trattamento di riguardo. È a pane e pacche sulle spalle che sono stati cresciuti i rampolli: convinti della rettitudine della loro coscienza civile, abituati a giocare all’insurrezione, purché accuditi dagli adulti. Così, dall’ultimatum all’ateneo della Grande Mela - non sostenere Israele, rendere trasparenti eventuali finanziamenti ricevuti da Gerusalemme e annullare le sanzioni disciplinari a carico dei giovani pro Palestina - siamo arrivati, in un batter d’occhio, al negoziato per ottenere il vitto. Circola il video di una sorta di conferenza stampa improvvisata da una delle leader della protesta newyorkese. Una ragazza secondo la quale i vertici dell’università avrebbero avuto «l’obbligo di fornire cibo agli studenti», per il semplice fatto che tutti loro pagano la cospicua retta. Già. In teoria, la pagano per studiare e laurearsi, non per occupare illegalmente. «Volete che gli studenti muoiano di fame e di sete?», ha piagnucolato l’agit-prop. «È da matti doverlo dire, perché siamo in un campus della Ivy League, ma quello che stiamo chiedendo è un aiuto umanitario essenziale». Capito qual è la logica? Stanno nei college d’élite, quindi la rivolta a cinque stelle è inclusa nel prezzo. Li ha inquadrati bene uno dei giornalisti che assistevano al grottesco comizietto: «Sembra che stiate dicendo: “Vogliamo essere rivoluzionari, vogliamo conquistare questo edificio, adesso per favore portateci da mangiare”». Tra l’altro, a essere pignoli, va sottolienato che la mensa della Columbia è rimasta aperta… Chissà, magari il problema è che nella carta del ristorante non erano previste primizie ecosostenibili.Sono quelle che hanno invocato - stando a un documento diffuso da Fox news - i prodi antisionisti nella capitale californiana. Oltre all’armamentario da guerriglieri (caschi, maschere antigas, ginocchiere), hanno sollecitato i «donatori» a spedire una selezione di delizie «vegane» e «senza glutine». «No cibo impacchettato», «no caffè», «no bagel», «no banane», «no noccioline». Chi sborsa? Costoro saranno trasparenti nel comunicare la provenienza dei fondi? Ci sarebbe da ridere a crepapelle, se non ci trovassimo di fronte alla bancarotta morale di quelle che dovrebbero diventare le nostre classi dirigenti. Dentro quei movimenti ci sono, certo, gli immigrati di seconda generazione, ma anche tanti figli dei Wasp, persuasi di dover lavare nella ribellione alla propria civiltà l’onta di essere bianchi «privilegiati». I focolai si sono accesi ovunque: negli Stati Uniti come in Francia, alla Sorbona, a SciencesPo, a Pisa, alla Sapienza, persino a Tokyo. Suona ormai fuori tempo massimo la tirata d’orecchi del presidente dem, Joe Biden: «Il diritto alla protesta non significa diritto al caos». Il paradosso del progressismo occidentale è che ha allevato con dedizione i suoi stessi odiatori. E adesso si vede sbeffeggiato dalla surreale profferta iraniana: il numero uno dell’Università di Shiraz ha dichiarato che sarà lieto di accogliere studenti e docenti americani ed europei che dovessero essere espulsi dalle loro istituzioni di appartenenza, per via del sostegno alla causa di Hamas. Era quasi destino che, dell’iconografia delle proteste, rimanessero gli scatti degli attivisti con le mascherine anti Covid. Il simbolo dell’unica sistematica violazione dei diritti individuali perpetrata nel nostro mondo libero dalla fine dei fascismi. Un’oppressione sulla quale, guarda un po’, i paladini degli oppressi non hanno fatto un fiato.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/universita-usa-arresti-2668134695.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="hamas-boccia-lintesa-sugli-ostaggi" data-post-id="2668134695" data-published-at="1714680115" data-use-pagination="False"> Hamas boccia l’intesa sugli ostaggi L’influenza mediorientale dell’amministrazione Biden è sempre più debole. L’altro ieri, Tony Blinken ha infatti rimediato tre schiaffi: uno da Benjamin Netanyahu, un altro da Abu Mazen e un altro ancora da Hamas. Innanzitutto il premier israeliano ha respinto la richiesta del segretario di Stato americano di annullare l’operazione contro Rafah nel caso l’accordo sugli ostaggi con Hamas fosse stato concluso. Tutto questo, mentre ieri sera il gabinetto di guerra israeliano è tornato a riunirsi. Inoltre, sempre mercoledì, il quotidiano palestinese Al-Quds ha riferito che il leader dell’Anp, Abu Mazen, si sarebbe rifiutato di incontrare il capo del Dipartimento di Stato Usa «per protestare contro l’uso da parte dell’amministrazione americana del suo potere di veto contro la richiesta della Palestina di diventare membro a pieno titolo delle Nazioni Unite, presentata il 18 del mese scorso al Consiglio di Sicurezza dell’Onu». Si tratta di un nodo significativo, soprattutto alla luce del fatto che il Dipartimento di Stato americano parrebbe intenzionato, nel post Hamas, a favorire l’istituzione di un governo dell’Anp nella Striscia di Gaza. A peggiorare le cose per l’amministrazione Biden ci si è messa proprio Hamas, che, oltre a elogiare la Colombia per aver rotto le relazioni con Israele, ha de facto respinto la proposta di accordo sugli ostaggi, su cui la Casa Bianca aveva scommesso moltissimo, esercitando pressioni sulla stessa Hamas affinché la accettasse. «La nostra posizione sull’attuale documento negoziale è negativa», ha detto mercoledì sera un funzionario di Hamas, Osama Hamdan. Certo, l’organizzazione terroristica ha fatto sapere ieri che il suo leader ha avuto una telefonata col premier qatariota e di voler inviare «il prima possibile» una propria delegazione in Egitto per ulteriori colloqui sul cessate il fuoco. Tuttavia, almeno per ora, si è ben guardata dall’accettare la proposta di intesa. E qui emerge un altro nodo. Secondo il Guardian, l’assenza di un accordo sul cessate il fuoco e l’intenzione espressa da Netanyahu di procedere contro Rafah starebbero portando i sauditi a rivedere al ribasso l’accordo sulla sicurezza in via di definizione con Washington. In altre parole, Riad sarebbe disposta ad accettare un’intesa bilaterale con gli Usa, che però non includerebbe la storica normalizzazione dei suoi rapporti con Gerusalemme: esattamente il successo diplomatico di cui Biden avrebbe bisogno sia per stabilizzare il Medio Oriente sia per rafforzarsi sul piano elettorale. Il nodo risiede nell’atteggiamento contraddittorio del presidente americano che, da una parte, approva nuovi aiuti militari a Israele e che, dall’altra, fa sì che il suo Dipartimento di Stato accusi alcune unità dell’Idf di violazione dei diritti umani per fatti avvenuti prima del 7 ottobre. Senza poi trascurare che Biden continua a mantenere una linea blanda verso Teheran: un elemento, questo, che non rassicura né gli israeliani né i sauditi. Proprio l’Iran ha appena imposto delle sanzioni ad alcune aziende americane, come Lockheed Martin. D’altronde, l’irresolutezza del presidente è dovuta anche al fatto che alcuni settori dell’estrema sinistra dem stanno conducendo manifestazioni filopalestinesi aggressive nei college: manifestazioni che ieri Biden ha criticato, pur specificando di non voler schierare la Guardia nazionale per mantenere l’ordine pubblico. Nel frattempo, sempre ieri il re di Giordania Abdallah II è stato ricevuto a Palazzo Chigi da Giorgia Meloni: oltre che del rafforzamento delle relazioni bilaterali, i due leader hanno discusso di assistenza umanitaria a Gaza e invocato una de-escalation nella regione mediorientale. Il sovrano hashemita ha avuto incontri anche con il capo dello Stato, Sergio Mattarella al Quirinale e con papa Francesco in Vaticano.
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.