
Il presidente del gruppo assicurativo Carlo Cimbri: «Ora avrebbe valenza politica. Fra Pop Sondrio e Bper matrimonio naturale».Unipol promette ai soci 2,2 miliardi di dividendi e 3,8 di utili nei prossimi tre anni, per ritoccare un monte dividendi del 72% superiore a quello del precedente piano, grazie a utili cumulati in crescita del 28%. Ad annunciarlo, il presidente Carlo Cimbri nel corso della presentazione del nuovo piano industriale. Aggiunge una nota di rimpianto rispondendo a una domanda: ammette che forse non rifarebbe più l’operazione X: «Investire oggi in Musk assume una tale connotazione di appartenenza politica che diventa difficile valutare un investimento». Tuttavia la sua la sua esposizione mediatica «ha rivalutato le azioni di X e di questo siamo contenti».Il gruppo assicurativo nell’ottobre 2022 aveva preso una quota dell’ex Twitter, partecipando, quale unico soggetto italiano, al club di investitori internazionali che hanno affiancato Elon Musk nell’acquisizione del social network.«Abbiamo investito su un Musk diverso da quello attuale, che non aveva esplicitato con così tanta passione la sua posizione politica». L’investimento era motivato dall’interesse del gruppo bolognese per il «Musk imprenditore» e per la «frontiera tecnologica» in cui si muove, spiega Cimbri.«Oggi investire in Musk, che è “ultra sovraesposto”, assume una tale connotazione e appartenenza politica per cui diventa difficile» per un soggetto economico, che deve essere «apolitico, apartitico e non ideologico», aggiunge. Ora l’obiettivo, spiega l’ad Matteo Laterza, è «rafforzare la nostra leadership nel mercato assicurativo italiano» grazie «ai numerosi asset distintivi» del gruppo e «ai rilevanti investimenti, con l’assunzione di 400 giovani» con competenze tech, digital e data scientist e mezzo miliardo di euro destinati al potenziamento tecnologico. La compagnia resterà concentrata sul business assicurativo, facendo leva su una base di 16 milioni di clienti, destinataria di un’offerta integrata, multicanale e affinata con l’uso massiccio dei dati. Sul fronte bancario Cimbri ha riconfermato il sostegno all’Opa lanciata da Bper sulla Popolare di Sondrio, «matrimonio naturale» tra due istituti affini e con «tante società prodotto in comune». All’ad della Sondrio, Mario Pedranzini, «amico di lunga data» ma da cui lo separa una valutazione «oggettivamente diversa» delle nozze, Cimbri ricorda che «non si riesce a rimanere solo in un bosco pieno di lupi» e il rischio è di «essere scelti» anziché scegliere. Riferimento all’interesse dell’olandese Ing, che Cimbri evoca parlando del «colore arancione» della banca, che avrebbe già «dato mandato a dei legali locali (lo studio Erede, ndr)» per studiare un’offerta. «Non commentiamo rumors di mercato», replica di Amsterdam. «Come italiano preferirei un consolidamento del sistema finanziario italiano piuttosto che una scorribanda di stranieri», ha detto Cimbri, ma se dovesse arrivare «un’offerta che ci fa commuovere» ci muoveremo in base ai «nostri interessi». Carte coperte sulla presentazione di una lista per il cda della Sondrio, da depositare entro il 5 aprile: la valutazione è in corso e la decisione arriverà «all’ultimo». In Borsa Unipol ha perso il 3,5% a 14,7 euro ma il calo - dopo il +269% dell'ultimo triennio e il +140% del 2024 - non preoccupa: «Non lo giudico un segnale di sfiducia del mercato», ha detto Cimbri anche perché il piano è «in linea con attese» mentre Laterza parla di «molto valore inespresso» nelle quotazioni di Borsa che dovrebbe essere «assorbito» con la spinta del piano su «utili e dividendi» messi a piano. Cimbri non è arretrato nel suo no allo smart working («Non vogliamo trasformare un’emergenza in una nuova organizzazione del lavoro»), indifferente alle proteste di alcune centinaia di dipendenti sotto la Torre Unipol.
Vladimir Putin (Ansa)
Il piano Usa: cessione di territori da parte di Kiev, in cambio di garanzie di sicurezza. Ma l’ex attore non ci sta e snobba Steve Witkoff.
Donald Trump ci sta riprovando. Nonostante la situazione complessiva resti parecchio ingarbugliata, il presidente americano, secondo la Cnn, starebbe avviando un nuovo sforzo diplomatico con la Russia per chiudere il conflitto in Ucraina. In particolare, l’iniziativa starebbe avvenendo su input dell’inviato statunitense per il Medio Oriente, Steve Witkoff, che risulterebbe in costante contatto con il capo del fondo sovrano russo, Kirill Dmitriev. «I negoziati hanno subito un’accelerazione questa settimana, poiché l’amministrazione Trump ritiene che il Cremlino abbia segnalato una rinnovata apertura a un accordo», ha riferito ieri la testata. Non solo. Sempre ieri, in mattinata, una delegazione di alto livello del Pentagono è arrivata in Ucraina «per una missione conoscitiva volta a incontrare i funzionari ucraini e a discutere gli sforzi per porre fine alla guerra». Stando alla Cnn, la missione rientrerebbe nel quadro della nuova iniziativa diplomatica, portata avanti dalla Casa Bianca.
Francobollo sovietico commemorativo delle missioni Mars del 1971 (Getty Images)
Nel 1971 la sonda sovietica fu il primo oggetto terrestre a toccare il suolo di Marte. Voleva essere la risposta alla conquista americana della Luna, ma si guastò dopo soli 20 secondi. Riuscì tuttavia ad inviare la prima immagine del suolo marziano, anche se buia e sfocata.
Dopo il 20 luglio 1969 gli americani furono considerati universalmente come i vincitori della corsa allo spazio, quella «space race» che portò l’Uomo sulla Luna e che fu uno dei «fronti» principali della Guerra fredda. I sovietici, consapevoli del vantaggio della Nasa sulle missioni lunari, pianificarono un programma segreto che avrebbe dovuto superare la conquista del satellite terrestre.
Mosca pareva in vantaggio alla fine degli anni Cinquanta, quando lo «Sputnik» portò per la prima volta l’astronauta sovietico Yuri Gagarin in orbita. Nel decennio successivo, tuttavia, le missioni «Apollo» evidenziarono il sorpasso di Washington su Mosca, al quale i sovietici risposero con un programma all’epoca tecnologicamente difficilissimo se non impossibile: la conquista del «pianeta rosso».
Il programma iniziò nel 1960, vale a dire un anno prima del lancio del progetto «Gemini» da parte della Nasa, che sarebbe poi evoluto nelle missioni Apollo. Dalla base di Baikonur in Kazakhistan partiranno tutte le sonde dirette verso Marte, per un totale di 9 lanci dal 1960 al 1973. I primi tentativi furono del tutto fallimentari. Le sonde della prima generazione «Marshnik» non raggiunsero mai l’orbita terrestre, esplodendo poco dopo il lancio. La prima a raggiungere l’orbita fu la Mars 1 lanciata nel 1962, che perse i contatti con la base terrestre in Crimea quando aveva percorso oltre 100 milioni di chilometri, inviando preziosi dati sull’atmosfera interplanetaria. Nel 1963 sorvolò Marte per poi perdersi in un’orbita eliocentrica. Fino al 1969 i lanci successivi furono caratterizzati dall’insuccesso, causato principalmente da lanci errati e esplosioni in volo. Nel 1971 la sonda Mars 2 fu la prima sonda terrestre a raggiungere la superficie del pianeta rosso, anche se si schiantò in fase di atterraggio. Il primo successo (ancorché parziale) fu raggiunto da Mars 3, lanciato il 28 maggio 1971 da Baikonur. La sonda era costituita da un orbiter (che avrebbe compiuto orbitazioni attorno a Marte) e da un Lander, modulo che avrebbe dovuto compiere l’atterraggio sulla superficie del pianeta liberando il Rover Prop-M che avrebbe dovuto esplorare il terreno e l’atmosfera marziani. Il viaggio durò circa sei mesi, durante i quali Mars 3 inviò in Urss preziosi dati. Atterrò su Marte senza danni il 2 dicembre 1971. Il successo tuttavia fu vanificato dalla brusca interruzione delle trasmissioni con la terra dopo soli 20 secondi a causa, secondo le ipotesi più accreditate, dell’effetto di una violenta tempesta marziana che danneggiò l’equipaggiamento di bordo. Solo un’immagine buia e sfocata fu tutto quello che i sovietici ebbero dall’attività di Mars 3. L’orbiter invece proseguì la sua missione continuando l’invio di dati e immagini, dalle quali fu possibile identificare la superficie montagnosa del pianeta e la composizione della sua atmosfera, fino al 22 agosto 1972.
Sui giornali occidentali furono riportate poche notizie, imprecise e incomplete a causa della difficoltà di reperire notizie oltre la Cortina di ferro così la certezza dell’atterraggio di Mars 3 arrivò solamente dopo il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991. Gli americani ripresero le redini del successo anche su Marte, e nel 1976 la sonda Viking atterrò sul pianeta rosso. L’Urss abbandonò invece le missioni Mars nel 1973 a causa degli elevatissimi costi e della scarsa influenza sull’opinione pubblica, avviandosi verso la lunga e sanguinosa guerra in Afghanistan alla fine del decennio.
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Il presidente torna dal giro in Francia, Grecia e Spagna con altri missili, caccia, radar, fondi energetici. Festeggiano i produttori di armi e gli Stati: dopo gli Usa, la Francia è la seconda nazione per export globale.
Il recente tour diplomatico di Volodymyr Zelensky tra Atene, Parigi e Madrid ha mostrato, più che mai, come il sostegno all’Ucraina sia divenuto anche una vetrina privilegiata per l’industria bellica europea. Missili antiaerei, caccia di nuova generazione, radar modernizzati, fondi energetici e contratti pluriennali: ciò che appare come normale cooperazione militare è in realtà la struttura portante di un enorme mercato che non conosce pause. La Grecia garantirà oltre mezzo miliardo di euro in forniture e gas, definendosi «hub energetico» della regione. La Francia consegnerà 100 Rafale F4, sistemi Samp-T e nuove armi guidate, con un ulteriore pacchetto entro fine anno. La Spagna aggiungerà circa 500 milioni tra programmi Purl e Safe, includendo missili Iris-T e aiuti emergenziali. Una catena di accordi che rivela l’intreccio sempre più solido tra geopolitica e fatturati industriali. Secondo il SIPRI, le importazioni europee di sistemi militari pesanti sono aumentate del 155% tra il 2015-19 e il 2020-24.
Imagoeconomica
Altoforno 1 sequestrato dopo un rogo frutto però di valutazioni inesatte, non di carenze all’impianto. Intanto 4.550 operai in Cig.
La crisi dell’ex Ilva di Taranto dilaga nelle piazze e fra i palazzi della politica, con i sindacati in mobilitazione. Tutto nasce dalla chiusura dovuta al sequestro probatorio dell’altoforno 1 del sito pugliese dopo un incendio scoppiato il 7 maggio. Mesi e mesi di stop produttivo che hanno costretto Acciaierie d’Italia, d’accordo con il governo, a portare da 3.000 a 4.450 i lavoratori in cassa integrazione, dato che l’altoforno 2 è in manutenzione in vista di una futura produzione di acciaio green, e a produrre è rimasto solamente l’altoforno 4. In oltre sei mesi non sono stati prodotti 1,5 milioni di tonnellate di acciaio. Una botta per l’ex Ilva ma in generale per la siderurgia italiana.





