2023-03-19
«Unione bancaria e nuovo catasto». Per fortuna Padoan non è ministro
Il presidente di Unicredit da titolare del Mef ha gestito male la crisi Mps e degli istituti veneti, ma vuole darci lezioni. La riforma del credito faciliterebbe l’assalto al risparmio degli italiani, quella immobiliare lo tasserebbe.Pier Carlo Padoan rilascia raramente interviste. Per fortuna. In quella rilasciata a Repubblica ieri con la scusa di affrontare - va detto legittimamente - l’argomento tassi di interesse, l’onda lunga del fallimento americano di Silicon valley bank e della crisi di Credit Suisse, il presidente di Unicredit ha premuto il piede sull’acceleratore dell’Unione bancaria europea ha ribadito l’importanza del Pnrr e, commentando l’approvazione della delega fiscale, ha rimpianto l’assenza della riforma del catasto. «Un tema che va affrontato», ha detto a Repubblica, «fin da quando ero ministro, è la riforma del catasto: uno strumento di equità e giustizia sociale nonostante sia spesso associato a un aumento della pressione fiscale». Bisogna ammettere che l’ex ministro è coerente e sincero. La riforma del catasto così come l’aveva in mente lui e come l’avrebbe approvata il governo Draghi era foriera di nuove tasse. Non subito, ma a partire dal 2026. Ma ciò che manca - o almeno non è esplicitato - nell’intervista non è tanto la solita passione di tassare gli italiani, visto che adesso Padoan riveste un ruolo privato, ma il filo conduttore che i tre elementi (Unione bancaria, Pnrr e riforma del catasto) hanno tra di loro. Si tratta, pur in modalità diverse, di vincoli interni pronti a essere applicati al nostro Paese. Visto che probabilmente il Patto di stabilità riceverà più di una revisione, resta importante per i socialisti europei a cui evidentemente Padoan continua ad appartenere trovare il modo di imbrigliare le ricchezze dell’Italia per mantenere saldo il controllo. Non a caso ieri troneggiava su due giornali italiani anche il parere di Frans Timmermans, vice presidente della Commissione Ue che, pur avviando una sorta di dialogo, ribadiva le posizioni di transizione green sui motori e sulle case. Timmermans ha chiuso la campagna elettorale delle europee 2019 a fianco del Pd, lo stesso partito che l’anno prima aveva candidato Padoan nella terra di Mps. Certe amicizie fanno giri lunghi ma poi tornano sempre. Per questo bisogna prestare attenzione. A chi fa le proposte e soprattutto a quando le fa. Il Pnrr è un’eredità del governo Draghi e del precedente giallorosso. Che sia un vincolo interno lo dice chiaramente il regolamento. Se non si porta a casa ciò che è stato approvato da Bruxelles, l’investimento diventa tutto debito. Semplice. Per modificarlo serve l’ok dell’Ue che in cambio chiederà all’attuale governo di accettare condizioni su altri tavoli. Beh, con la casa è più o meno la stessa cosa. Che sia la riforma del catasto o l’applicazione delle normative green, cambia poco. In un modo si alza la pressione fiscale sul mattone, e nell’altro i costi di gestione. Il risultato è la svalutazione. Molto più complesso il tema dell’Unione bancaria. Se ne parla da anni e uno degli elementi cardine sarebbe quello di abbattere i confini nazionali e consentire a una banca estera di fare raccolta finanziaria in Italia e utilizzare la liquidità per consolidare il patrimonio anche della casa madre. Non è un caso che ci sia in atto una guerra feroce anche se silenziosa attorno al risparmio gestito tricolore. Guerra che coinvolge anche l’istituto di cui adesso è presidente Padoan. Ma coinvolge soprattutto i francesi di Amundi, la nostra piccola corazzata Anima, i cugini d’oltralpe di Credit Agricole ormai legati a doppia mandata con BancoBpm, ed estremamente attenti alla cassaforte che essa rappresenta nella pianura padana e nel lombardo veneto. Attenzione. Non diciamo che l’Unione bancaria sia un male assoluto. Ma senza condizioni di reciprocità e garanzie di trasparenza lo è sicuramente. Perché Padoan se ne esce ieri con tali affermazioni? Forse perché sa che quando c’è in atto una crisi (ci riferiamo alla tempesta alimentata dalla Lagarde con la sua politica di super tassi e al caos che deriverà da Crédit Suisse) è sempre il momento buono per far scattare un tassello dell’evoluzione europea. Un’evoluzione europea di impronta socialista. Timmermans preme per realizzare la transizione green che servirà a modellare la società. A cambiare i parametri dell’industria e le leve di chi gestirà la ricchezza. Timmermans preme perché teme che il prossimo anno un Parlamento a maggioranza Ecr, e quindi di destra, non farebbe passare le idee socialiste. Visto che la storia recente ci insegna che i modelli che ci hanno proposto non funzionano e visto che la storia insegna che ogni volta che un’idea non funziona i socialisti tentano di raddoppiarla è il caso di evitare sorprese sull’Unione bancaria. Finirebbe con l’incastrarsi tra la discussione sul Patto di stabilità, quella sugli aiuti di Stato e sulla possibile nascita di un fondo sovrano Ue. Chiaro che senza un Europarlamento nuovo di zecca l’argomento deve restare un tabù. Infine, vale la pena ricordare che Padoan nel curriculum vanta il peggior momento delle crisi bancarie italiane e l’applicazione in Italia del bail in. È rimasto al Mef tra il febbraio 2014 e il giugno 2018. In mezzo sono saltate banca Etruria e le altre piccole popolari. Sono fallite Pop Vicenza e Veneto Banca e grazie all’ex ministro il fondo Atlante è stato del tutto prosciugato (più di 4 miliardi), Mps è stata ricapitalizzata con i nostri soldi e adesso è ancora al 70% dello Stato. Ovviamente nell’intervista di ieri il curriculum di Padoan non era così dettagliato.