2018-12-19
Una coppia omosex chiede di far sposare due Ken. Mattel la invita in azienda
Due uomini creano per la nipote un cofanetto con due bambolotti anziché uno e la Barbie. Si fanno pubblicità online e il marchio li chiama in California per parlare del progetto.Un sondaggio americano rivela che il Me too non è servito a niente. Secondo la Nbc e il Wall Street Journal una minoranza di intervistati ritiene migliore la situazione delle donne. Le femministe da tappeto rosso, esaltate dai media, non influiscono sulla realtà.Lo speciale comprende due articoli.Le bambine che hanno passato l'infanzia fantasticando su una storia d'amore tra Barbie e Ken non sono al passo con i tempi, e i maschietti che hanno speso interi pomeriggi in battaglie all'ultimo sangue di soldatini e cavalieri potrebbero essere vittime di stereotipi sessisti che non rispecchiano più l'attuale società. Ebbene sì, anche i giocattoli per bambini sono stati arruolati nel processo di rieducazione politicamente corretta, sposato anche dalle multinazionali dell'intrattenimento per l'infanzia.A dimostrarlo è l'entusiasmo con cui Mattel ha risposto positivamente a un coppia di omosessuali americani che le ha chiesto di creare una linea con due Ken che convolano a nozze. La richiesta della coppia gay dell'Arizona è stata avanzata tramite una semplice foto postata su Instagram, che ritrae due bambolotti con abiti da matrimonio e tanto di damigella. L'immagine ha subito attirato l'attenzione dell'azienda che ha invitato Matt Jacobi e Nick Caprio a un incontro a Los Angeles, che si terrà alla fine di questo mese o all'inizio di gennaio. Tutta nasce dalla necessità di Matt e Nick di preparare la nipotina a fare la ragazza dei fiori al loro matrimonio che si terrà nel 2019. L'edizione statunitense dell'Huffpost, che riprede a sua volta una testata locale, riferisce che Matt e Nick volevano sorprendere la loro nipote, Natalie, al suo ottavo compleanno con un regalo che l'avrebbe entusiasmata all'idea di fare la damigella alle loro nozze. Hanno così deciso di comprarle un set da sposa Barbie - normalmente con Barbie come sposa e Ken come sposo, insieme a due damigelle e a una torta - e di scambiare Barbie con un secondo Ken, in modo che il giocattolo ricordasse le loro nozze imminenti.Gli zii hanno presentato a Natalie il set di bambole l'8 dicembre e poi hanno scattato la foto taggando il profilo della Mattel con un breve testo in cui i due si auguravano che il loro «regalo personalizzato» ispirasse l'azienda a creare una nuova linea. Jacobi ha quindi raccontato che la Mattel si è fatta subito viva per organizzare un incontro in California. Quando è stato contattato dall'Huffpost, un portavoce della Mattel ha confermato che la casa produttrice è in contatto con la coppia. Entrambi gli uomini dicono di essere felicissimi della risposta e alla rivista Out hanno sciorinato la solita lezione tesa a dimostrare che quanto fatto finora nel campo dell'educazione primaria è tutto sbagliato: «Ai bambini viene insegnato a odiare, viene insegnato loro ad avere sentimenti negativi nei confronti di coloro che non rientrano nella norma sociale. È tempo di portare esempi positivi nel mercato commerciale. I giocattoli sono strumenti per insegnare».Nick Caprio spera che tutti genitori vedranno i nuovi bambolotti come un altro esempio di «cambiamento del marchio» per rappresentare la «vita moderna». A tradire il movente ideologico sono però le parole sui figli degli omosessuali, insomma l'idea dei due Ken non si limita al matrimonio gay ma chiama in campo anche le famiglie omogenitoriali. «Dato che più coppie dello stesso sesso hanno figli», riporta ancora l'Huffpost, «i tuoi figli avranno in classe bambini che hanno genitori gay e cose del genere, quindi non è più questo enorme shock».Siccome per generare un essere umano sono sempre indispensabili un uomo e una donna, è quanto meno controverso dare per scontato che dei bambini di otto anni debbano accettare acriticamente che un bimbo sia privato della madre o del padre per una scelta egoistica che comporta pratiche come l'utero in affitto e la fecondazione eterologa. Insomma in una fase di piena strutturazione della personalità, che avviene in maniera identificativa con i due sessi dei genitori, si vogliono proporre ai più piccoli (preparando il mercato con delle pubblicità ad hoc) dei modelli che per essere processati richiedono una capacità di analisi decisamente diversa. La Mattel non è nuova a queste iniziative inclusive. Negli ultimi anni ha introdotto le bambole curvy e nel 2017 ha postato sul suo profilo Instagram due Barbie con una maglietta con la scritta arcobaleno «Love wins» per supportare la comunità Lgbt. Nel 2016 è stata prodotta una Barbie con le sembianze dell'americana Abby Wambach, campionessa mondiale di calcio femminile e lesbica dichiarata. La bambola più famosa del mondo portava per l'occasione capelli biondi corti e la divisa da calciatrice. E visto che si parla di educazione alle differenze, non poteva mancare la Barbie con l'hijab (il velo islamico) ispirata alla schermitrice Ibtihaj Muhammad che ha partecipato alle ultime Olimpiadi.Tuttavia l'esperimento più ardito è quello della Tonner doll, specializzata in giochi da collezione, che lo scorso anno ha messo in commercio il primo pupazzo transgender, con fattezze di una persona che non è né uomo né donna. Sicuramente i bambini crescendo e maturando avranno il tempo di conoscere tutti gli aspetti più complessi della società e dell'antropologia umana, non per questo però bisogna trasformare l'immaginario dell'infanzia in un immenso laboratorio sociale. Lasciamoli almeno giocare in pace.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/una-coppia-omosex-chiede-di-far-sposare-due-ken-mattel-la-invita-in-azienda-2623776438.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="un-sondaggio-americano-rivela-che-il-me-too-non-e-servito-a-niente" data-post-id="2623776438" data-published-at="1762532515" data-use-pagination="False"> Un sondaggio americano rivela che il Me too non è servito a niente Il Me too non è servito a niente. Secondo la maggior parte degli americani, nonostante l'ondata di delazioni, processi mediatici, epurazioni e campagne diffamatorie condotte dalle femministe da tappeto rosso, le donne non hanno rilevato un significativo miglioramento della loro condizione. Un sondaggio di Nbc e Wall Street Journal ha rivelato che solamente il 46% dei cittadini statunitensi ritiene che, negli ultimi dieci anni, il gentil sesso abbia ottenuto «conquiste rilevanti» nel campo dell'eguaglianza di genere. Esattamente lo stesso risultato di un analogo sondaggio risalente al luglio del 1982: in 36 anni, dunque, non c'è stato nessun cambiamento nella percezione da parte degli americani. Un altro 46% degli intervistati ha invece affermato di considerare i passi in avanti solamente «marginali» (mentre il 7% ritiene che non ci sia stato proprio alcun miglioramento). Se le impressioni della gente comune negli Usa sono quelle, significa che i nostri sospetti erano fondati: il Me too, per usare il giudizio che Karl Marx riservava alla Rivoluzione francese, è stato essenzialmente un movimento «borghese». Una campagna partita nei salotti buoni, nella Hollywood patinata, ricca, viziosa e lontana dalla realtà che gli americani vivono ogni giorno nelle varie «cinture» industriali o agricole in cui è ripartito il Paese. Ancora una volta, l'élite «illuminata» ha fatto tanto rumore per nulla. Clamorosi scoop giornalistici, passerelle delle attiviste con abiti listati a lutto per i Golden globe, talk show, il mezzo lancio della candidatura di Oprah Winfrey per le presidenziali 2020, i battibecchi tra Rose McGowan e Asia Argento, la «rieducazione sessuale» comminata ad Harvey Weinstein... Tutti avvenimenti amplificati dalla cassa di risonanza di politici e media progressisti, che però sulla quotidianità delle persone normali influiscono come il Frosinone sulla zona Champions della classifica di Serie A. Tutto ciò ricorda quella scena del bellissimo film Sleepers, che descrive la difficile esistenza di un gruppo di ragazzini cresciuti nel popolare quartiere newyorkese di Hell's Kitchen, quando la voce narrante della pellicola descrive così i moti rivoluzionari del 1968: «L'invadente armata delle femministe marciava attraverso il Paese pretendendo l'eguaglianza, ma le nostre madri continuavano a cucinare e a far bucati per uomini che le maltrattavano. Per i miei amici e per me quegli sviluppi non avevano alcun peso, per quello che ci riguardava potevano succedere in un altro Paese, in un altro secolo». Oggi l'«invadente armata» si è ridotta a un pugno di attrici e presentatrici di mezza età. Ma il discorso rimane valido: di quello che succede nei quartieri bene di Los Angeles, la maggior parte degli americani nemmeno si accorge. Il sondaggio di Nbc e Wall Street Journal ha anche un altro risvolto. Effettivamente, le più pessimiste sulla loro condizione sono proprio le donne e, in particolare, le elettrici del Partito democratico: solo il 36% giudica che negli ultimi dieci anni si siano compiuti significativi passi in avanti sull'eguaglianza di genere, contro il 49% delle sostenitrici dei Repubblicani. Inoltre, anche per quanto riguarda il dato aggregato, la percentuale di chi ritiene di aver sperimentato «conquiste rilevanti» si ferma al 36% se il periodo di riferimento è l'ultimo anno. In buona sostanza, il recente fenomeno del Me too non solo sembra non aver migliorato affatto la situazione delle donne, ma, al contrario, pare aver aggravato la percezione che queste ultime hanno della loro situazione sociale. Declinando la questione delle pari opportunità nei termini di una vera e propria crociata di femministe fanatiche contro il genere maschile in quanto tale, alimentando una sciagurata guerra fra sessi, il Me too ha inasprito il risentimento e la delusione delle donne. E specialmente quelle di fede politica progressista oramai saranno sempre insoddisfatte. Coltiveranno assiduamente il tarlo della discriminazione, il senso d'ingiustizia, la mania di persecuzione. La martellante propaganda femminista, se non ha avuto alcun impatto sulla vita vera degli americani, ha però condizionato la loro visione dei fatti. Per cui, paradossalmente, i sondaggi saranno destinati a registrare un sempre crescente inappagamento delle donne, la loro crescente convinzione di appartenere a una minoranza vessata. Gli episodi di sessismo saranno ingigantiti; la normale, spontanea alleanza tra uomo e donna nell'ambito della famiglia come del lavoro sarà occultata dalle cronache belliche di un assurdo conflitto pianificato a tavolino. Eccolo, il grande contributo delle talebane femministe da grande schermo. Chiuse nelle loro torri eburnee tra New York e la California, impegnate nel jihad «androfobo», non avevano nulla da offrire alla casalinga di Voghera. Anzi, del Michigan e dell'Arkansas. Alessandro Rico
La deposizione in mare della corona nell'esatto luogo della tragedia del 9 novembre 1971 (Esercito Italiano)
Quarantasei giovani parà della «Folgore» inghiottiti dalle acque del mar Tirreno. E con loro sei aviatori della Royal Air Force, altrettanto giovani. La sciagura aerea del 9 novembre 1971 fece così impressione che il Corriere della Sera uscì il giorno successivo con un corsivo di Dino Buzzati. Il grande giornalista e scrittore vergò alcune frasi di estrema efficacia, sconvolto da quello che fino ad oggi risulta essere il più grave incidente aereo per le Forze Armate italiane. Alle sue parole incisive e commosse lasciamo l’introduzione alla storia di una catastrofe di oltre mezzo secolo fa.
(…) Forse perché la Patria è passata di moda, anzi dà quasi fastidio a sentirla nominare e si scrive con la iniziale minuscola? E così dà fastidio la difesa della medesima Patria e tutto ciò che vi appartiene, compresi i ragazzi che indossano l’uniforme militare? (…). Buzzati lamentava la scarsa commozione degli Italiani nei confronti della morte di giovani paracadutisti, paragonandola all’eco che ebbe una tragedia del 1947 avvenuta ad Albenga in cui 43 bambini di una colonia erano morti annegati. Forti le sue parole a chiusura del pezzo: (…) Ora se ne vanno, con i sei compagni stranieri. Guardateli, se ci riuscite. Personalmente mi fanno ancora più pietà dei leggendari piccoli di Albenga. Non si disperano, non singhiozzano, non maledicono. Spalla a spalla si allontanano. Diritti, pallidi sì ma senza un tremito, a testa alta, con quel passo lieve e fermissimo che nei tempi antichi si diceva appartenesse agli eroi e che oggi sembra completamente dimenticato (…)
Non li hanno dimenticati, a oltre mezzo secolo di distanza, gli uomini della Folgore di oggi, che hanno commemorato i caduti di quella che è nota come la «tragedia della Meloria» con una cerimonia che ha coinvolto, oltre alle autorità, anche i parenti delle vittime.
La commemorazione si è conclusa con la deposizione di una corona in mare, nel punto esatto del tragico impatto, effettuata a bordo di un battello in segno di eterno ricordo e di continuità tra passato e presente.
Nelle prime ore del 9 novembre 1971, i parà del 187° Reggimento Folgore si imbarcarono sui Lockheed C-130 della Raf per partecipare ad una missione di addestramento Nato, dove avrebbero dovuto effettuare un «lancio tattico» sulla Sardegna. La tragedia si consumò poco dopo il decollo dall’aeroporto militare di Pisa-San Giusto, da dove in sequenza si stavano alzando 10 velivoli denominati convenzionalmente «Gesso». Fu uno di essi, «Gesso 5» a lanciare l’allarme dopo avere visto una fiammata sulla superficie del mare. L’aereo che lo precedeva, «Gesso 4» non rispose alla chiamata radio poiché istanti prima aveva impattato sulle acque a poca distanza dalle Secche della Meloria, circa 6 km a Nordovest di Livorno. Le operazioni di recupero dei corpi furono difficili e lunghissime, durante le quali vi fu un’altra vittima, un esperto sabotatore subacqueo del «Col Moschin», deceduto durante le operazioni. Le cause della sciagura non furono mai esattamente definite, anche se le indagini furono molto approfondite e una nave pontone di recupero rimase sul posto fino al febbraio del 1972. Si ipotizzò che l’aereo avesse colpito con la coda la superficie del mare per un errore di quota che, per le caratteristiche dell’esercitazione, doveva rimanere inizialmente molto bassa.
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