
Gli scienziati hanno creato un nuovo batterio al computer. Sono stati sufficienti una modica spesa e un anno di lavoro in laboratorio. Tagliati i geni non essenziali per la sopravvivenza. Il fine dichiarato è il miglioramento dell'umanità, ma il punto d'arrivo è un rischio.Come se non ce ne fossero abbastanza in natura, l'uomo ha creato un nuovo batterio al computer. La notizia fa starnutire alla semplice lettura, ma bisogna essere contenti per decreto, perché un'altra frontiera è stata abbattuta e lo scienziato-dio ha avvicinato l'umanità di un altro centimetro alla creazione della vita artificiale. Un passo in più verso l'idea superomistica dell'immortalità. Per non farsi mancare nulla - e perché da soli gli esperti del Politecnico di Zurigo non ce l'avrebbero fatta -, il nuovo organismo è stato realizzato con il decisivo contributo di un algoritmo, con la modica spesa di 120.000 dollari (cioè 107.000 euro, questo il costo del Dna sintetico) e con un anno di lavoro in laboratorio.Gli ultimi due dati sono decisivi per comprendere le potenzialità dell'accelerazione scientifica. Già nel 2008 il biologo americano Craig Venter aveva guidato un'équipe di luminari alla produzione di un genoma artificiale e nel 2010 creò Synthia: dieci anni di lavoro e un investimento di 20 milioni di dollari per ottenere un prodotto definito «poco affidabile». Ora i presupposti sono ben diversi, i costi e i tempi sono molto più accessibili e la precisione algoritmica saprà limare i difetti che anche il batterio prototipo ha mostrato. Almeno questo si intuisce nel leggere i dettagli dell'invenzione, pubblicati sulla rivista scientifica americana Pnas (Proceding of the national academy of science).Meglio precisarlo subito, il batterio rockstar è di una semplicità estrema ed è innocuo. Si chiama Caulobacter Ethensis 2.0 ed è stato costruito partendo da un Caulobacter Crescentus, organismo cellulare a forma di mezzaluna che si trova in natura nell'acqua fresca e che di solito viene utilizzato come comparsa nei film catastrofici, finendo immancabilmente nei vetrini dei microscopi scrutati da personaggi già terrorizzati per ciò che accadrà sullo schermo nella prossima mezz'ora. Gli scienziati lo hanno isolato e hanno dato indicazioni all'algoritmo di fornire un prodotto su misura tagliando i geni inutili del Dna, vale a dire quelli non essenziali per la sopravvivenza. Il computer lo ha fatto e ha realizzato un batterio artificiale che invece di 4000 parti ne ha soltanto 680. Di queste, 580 funzionano a dovere e un centinaio non ha superato i test. Ma, come dicono gli inguaribili ottimisti del progresso accusando di luddismo tutti gli altri, «il libro della vita artificiale è ancora alle prime righe».L'obiettivo è ovviamente il miglioramento della vita degli esseri umani con nuove medicine, nuove sostanze chimiche, nuovi agenti per migliorare l'ambiente. In teoria grazie al Dna ottenuto al computer si potrebbero ricreare gli aromi di un fiore estinto (l'esempio è un hibiscus delle Hawaii) per rendere più profumato il pianeta. O un domani si potrebbe far rivivere un tirannosauro finto. Tutto questo è molto aulico e otterrà certamente l'applauso dell'allegro cittadino del mondo, anche se un intero filone letterario e cinematografico ci mostra le controindicazioni raccontandoci di bacilli che provocano epidemie e di scienziati picchiatelli con fiale devastanti per le mani. Con 120.000 dollari, un algoritmo e un anno di tempo un'organizzazione come l'Isis (o semplicemente un ricco pazzo con la fobia di James Bond) non avrebbe alcun problema a togliersi qualche cupa soddisfazione. In fondo, nella classifica degli incubi della civiltà occidentale la guerra batteriologica viene prima del riscaldamento globale. Parafrasando quella tal frase, arriva la vita artificiale e non sappiamo cosa metterci. Gli intenti sono certamente nobili, ma l'uomo non è un agnellino neppure da clonato. Senza contare gli aspetti etici, con la pretesa di far ritoccare alla tecnologia di silicio ciò che viene creato in natura. I camici bianchi hanno cominciato con un organismo che vive serenamente nei laghi come le alborelle, ma potrebbero continuare con qualcosa di più complesso, per esempio l'uomo. È la presunzione di Adamo ed Eva sotto una nuova forma, è l'implicita critica alla natura di essere poco efficiente. Quel batterio mutilato di oltre 3000 geni lo dimostra: sono forse inutili? Si chiamano sequenze ridondanti, non hanno effetti sulla vita dell'organismo tanto da essere battezzate Junk Dna, Dna spazzatura. Però si è scoperto che hanno una loro funzione, assimilabile a quei programmi che ordinano a un disco di ripetere le canzoni in una certa sequenza. Si parte con il batterio a mezzaluna, ma il punto d'arrivo è l'uomo artificiale, un'ossessione che vede schierati su fronti differenti gli stessi scienziati. Da una parte i più responsabili e prudenti, che non sono così ingenui da confondere il nuovo con il vero, con l'utile, con il buono. Dall'altra i turboscienziati da talk show. Tre anni fa 200 genetisti di tutto il mondo lanciarono una sfida: «Riscrivere il Dna umano in laboratorio e immetterlo in una sola cellula da conservare in provetta». Per ora è un mezzo fallimento per via della Babele di approcci e di gelosie accademiche. Chi gioca contro, la chiama vendetta divina.
Matteo Ricci
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