2022-02-12
Il vincolo verde chiesto dall’Ue. Però come al solito siamo andati oltre
L’Italia è andata oltre le indicazioni comunitarie con il risultato di mettere a repentaglio l’economia pur di riconoscere la supremazia dell’ambiente. All’estero, i paletti green sono molto meno stringenti. Con l’inserimento in Costituzione della tutela dell’ambiente e degli animali si chiude un cerchio. Quello del passaggio dal vincolo esterno dell’Europa al vincolo interno, sempre targato Ue e messo a terra tramite il Piano nazionale di ripresa e resilienza. Con l’ambiente in Costituzione, un terzo delle attività che producono Pil rischia di trovarsi fuori legge. L’inserimento di poche parole negli articoli 9 e 41 della Carta è infatti sufficiente a rompere l’equilibrio tra la tutela del paesaggio (prevista anche prima) e l’interesse economico. In pratica la Costituzione nasce per garantire un bilanciamento dei poteri e degli interessi. Le due parole chiave, lavoro e salute, sono state travisate dal modello Speranza. In realtà, la tutela della seconda non può essere predominante rispetto al diritto al lavoro. Scrivendo che l’ambiente ha la primazia, il Pil rischia di soccombere. Con tutto ciò che ne consegue. Probabilmente se la modifica fosse avvenuta dieci anni fa, oggi non avremmo il Tap, il gasdotto che giunge in Puglia, la nostra dipendenza dal gas russo sarebbe maggiore e le bollette più care. Le modifiche apportate quasi all’unanimità martedì scorso avranno però un impatto non solo nel lungo termine, ma già nel corso del 2022. Per capirlo bisogna andare a riprendersi i lavori d’Aula iniziati nel 2018 e terminati il 5 novembre del 2021. Durante i lavori della commissione, i parlamentari scrivono che portando avanti il disegno di legge «si costituzionalizza il principio di solidarietà intergenerazionale, in armonia con la naturale. Tale scelta consente di sviluppare in modo più adeguato il valore solidaristico già contenuto all’interno dei principi fondamentali». E proseguono: «Del resto, l’espresso richiamo all’esigenza di rispettare i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario, disciplinato dal comma 1, dell’articolo 117 della Costituzione, consente poi di recepire quanto previsto nei Trattati». L’obiettivo iniziale era modificare anche l’articolo 117 che regolamenta la potestà legislativa delle Regioni. L’iter, che ha poi raccolto numerosi rivoli e proposte, si è concentrato sul 9 e sul 41, ma il senso non cambia. L’idea è rafforzare il vincolo di Bruxelles. La nuova Carta renderà necessario mettere a terra tutte le riforme avviate dal governo Draghi se non si vuole uccidere in culla gran parte dei progetti del Pnrr. Infatti l’intento della modifica costituzionale è proprio questo nel breve termine: in nome dell’ambiente rimuovere gli ostacoli messi in piedi dagli enti locali e rendere ancora più efficace il vincolo interno manovrato dall’Ue tramite il Pnrr. Certo, l’operazione è delicata perché molto dipende da chi sta nella stanza dei bottoni. Inquadrare in uno spettro così ampio la tutela dell’Ambiente permetterebbe anche il contrario. Cioè, azzerare una fetta di progetti del Pnrr, nel caso venissero considerati non più rispettosi dell’ecologia. Ciò che è certo è che l’ultima parola spetterà all’Europa. È Bruxelles a decidere che cosa è green e che cosa non lo è. A sostegno della tesi c’è il silenzio con cui è stato portato avanti l’iter di legge e le modalità del bliz all’indomani delle elezioni del presidente della Repubblica. D’altronde c’è un nome all’origine di tutto. Un nome che dice tante cose. Tra i primissimi firmatari c’è Monica Cirinnà, moglie di Esterino Monti ed esponente di spicco di quella sinistra piddina dedita a picconare la tradizione italiana con l’obiettivo di amalgamare sempre più il Paese all’informe cultura di Bruxelles. Il suo nome non è dunque un caso. Da solo spiega la filosofia. E pesa molto più di quello della prima firmataria, Loredana De Petris di Liberi Uguali e poi Misto. Spicca anche quello della forzista Gabriella Giammanco. E di Paola Nugnes di Leu. Solo dopo, a partire dal 2019, quello di Emma Bonino e, a sorpresa di Roberto Calderoli. È chiaro, l’intento ufficiale è di omologare la nostra Carta con quella di altri Paesi. Perché essere più realisti del re? I nostri parlamentari avrebbero dovuto valutare bene le sfumature. Un documento del Senato datato ottobre 2019 si dilunga nel confronto con le scelte portate avanti dagli altri Paesi Ue. Se l’input iniziale nasce dalla Carta di Nizza del Duemila, il Belgio, per esempio, si è limitato a scrivere che «i decreti o gli atti normativi garantiscono, tenendo conto delle corrispondenti obbligazioni, diritti economici, sociali e culturali. In particolare il diritto alla protezione di un ambiente sano». Ancora più vago l’indirizzo scelto dalla Bulgaria. «Ognuno ha diritto a un ambiente sano e favorevole in conformità con gli standard e le normative stabilite, ed è tenuto a proteggere l’ambiente». La Finlandia assicura ai propri cittadini che «Le autorità pubbliche si impegnano per assicurare a ciascuno il diritto ad un ambiente salubre e l’opportunità di influire sull’adozione di decisioni concernenti il suo ambiente di vita». Stesse dinamiche per Croazia, Estonia, Germania, Francia, Grecia, Lettonia, Lituania Romania, Slovacchia e Lussemburgo. Tutt’altra cosa, insomma, rispetto all’intervento invasivo nel nostro articolo 41, dove si dice espressamente che l’iniziativa economica non potrà più danneggiare l’ambiente.