2022-02-27
Un ficus così grande da essere la «coop vegetale» di Palermo
Il ficus macrophylla di Palermo (IStock)
La chioma dell’arbusto, che domina l’orto botanico, misura 1.000 metri quadrati. Un tempio verde che dura nei secoli.Che il lettore lo voglia credere o meno esiste un albero grande come 10 appartamenti di media misura, o come 20, all’incirca, monolocali del centro di Milano. La sua chioma ricopre uno spazio che se proiettato a terra supera i 1.000 metri quadrati. Tanta terra, soltanto che qui non parliamo di suolo, ma parliamo di aria, e dunque di spazio aereo, non così alto da disturbare il volo dei velivoli ma comunque uno spazio che supera, in gran misura, la nostra altezza. Forse il lettore potrebbe pensare che si tratti di uno di quei diavolo di alberi dalle forme contorte e magnificenti che crescono magari ai Tropici, accasato accanto ad un tempio antichissimo, issatosi nel riflesso di una fonte dove vanno a dissetarsi con le loro lunghe proboscidi gli elefanti della lontana India, o le antilopi nelle Afriche, o su chissà quale remota isola del Pacifico, là dove danzano quelle signorine dalle forme tondeggianti che indossano h24 sorrisi quasi non umani. Beh, nulla di tutto questo. Il grande albero di cui sto parlando cresce in una città tra le più note del Belpaese, una città del Mezzogiorno, e sì, siamo a bordo di un’isola che solca il Mare Nostrum: Palermo. La capitale siciliana è una meta frequentata, tendenzialmente per le seguenti ragioni, da non intendersi in una rigida importanza decrescente: le architetture - i palazzi, le piazze, le chiese, le ville storiche e i giardini, il colore dei mercati dei quartieri popolari del centro, il cibo - che dire, Iddio qui ha guardato a lungo… - e le figure della società civile, a partire ad esempio dalla famiglia del nostro attuale presidente della Repubblica, nonché tutti coloro che si sono distinti, talora tragicamente per la lotta alla mafia, talora per meriti letterari, poetici o artistici. Nel corso di queste ultime stagioni anche un altro valore è emerso ed è la ricchezza del patrimonio esotico dei grandi alberi che abbelliscono i giardini, i viali, gli spazi privati e comuni della città. Circondata da monti a Ovest e a Est, dal mare a Nord, la città è alternanza di cemento e splendidi giardini, dove nel corso degli ultimi due secoli sono cresciuti alberi straordinari, anzitutto di origine alloctona, come i ficus, nello specifico Ficus macrophylla, dall’isoletta di Lord Howe e quindi dall’Australia, e araucarie, non le araucarie cilene, quelle che non di rado fanno comparsa nelle villette del Nord Italia, ma quelle di origine australiana, come l’araucaria del Cunningham (A. cunninghamii) e l’araucaria bidwillii, stessa specie dell’albero solitario che abbiamo incontrato domenica scorsa passeggiando per Napoli, e la diffusa araucaria culumnaris, stretta-stretta che viaggia verso le nuvole. E proprio due esemplari di quest’ultima varietà si impongono nello skyline, per dire, di due dei più celebri giardini palermitani, ovvero il giardino inglese e l’orto botanico dell’università. Salgono su oltre i 30 metri. Ma qui, all’orto botanico fondato da mani esperte in un lotto di terreni detto Vigna del Gallo, a fine XVIII secolo ed oggi, fuor di dubbio, uno dei luoghi più amati della città nascosta - non sfacciata, meno turistica, ma altrettanto da non perdere - radica l’enorme e labirintico albero di cui ipotizzavamo l’esistenza al principio di questo bosco miniato in prosa.Il vasto ficus che troneggia nella parte centrale dell’orto botanico di Viale Lincoln è una selva a sé, anni fa cercai di misurarlo. In genere gli alberi si misurano in tre semplici modi: l’altezza, la circonferenza del tronco presa a 130 centimetri da terra, dal fatidico «colletto», il punto di presa dell’albero nella terra, e se si riesce la profondità della chioma. Ora, diversi ficus, come questo o come il Ficus religiosa, per intenderci l’albero del Buddha, presentano diversi tronchi poiché dai rami iniziano a pendere radici aeree che nel corso del tempo si allungano così tanto da stabilirsi nella terra, si ispessiscono fino a diventare colonne solide e nuovi tronchi da cui rilanciare l’albero che in questo modo non fa che ampliarsi, come una macchia d’olio, ma ben più lenta e prepotente. Palermo è costellata di esemplari secolari, messi a dimora dopo di questo che, per quanto oggi sia conosciuto, è il ficus più annoso messo a dimora, probabilmente negli anni Quaranta dell’Ottocento. Tutti gli altri ficus della città sono figli diretti o indiretti di questa gran Madre. Quando cercai di misurarla - al tempo lavoravo al quaderno Il bosco di Palermo, pubblicato da Edizioni della Meridiana di Firenze e poi spartito in libri successivi, quali L’Italia è un bosco e L’Italia è un giardino, Editori Laterza - contai 49 colonne per un perimetro di circa 87 metri. Ecco perché si parla di selva a sé, o come direbbe l’attuale direttore, il professor Rosario Schicchi, una cooperativa vegetale.E così, in una ventosa giornata d’autunno, purtroppo scarsa di sole, ritorno tra le sue evoluzioni aeree, e mi siedo accanto al suo cuore istrionico. Pochi visitatori perlustrano i camminamenti che s’innervano nell’orto, c’è spesso un raccoglimento da chiesa, in questo luogo. Caro ficus, come stai? Anni fa passai molto tempo sotto le tue chiome, non ti ricorderai…Mmmm-mò, io non mi ricordo di che cosa? Capisco subito che è un albero brontolone.Dicevo che tu non ti ricorderai di me….Mmmm-mò, noi non ci ricordiamo di nessuno in particolare, Mmmm-mò!Quindi non vi importa quel che accade intorno a voi?Mmmm-mò, a noi importa l’acqua che cade dal cielo o l’acqua che nasce dalla terra. A noi importa del vento che ci accarezza e magari ci fa il solletico scuotendo tutte le nostre mani. A noi interessano le nuvole di uccelli che vengono a civettare nelle nostre fronde ma per il resto tutto arriva e tutto passa. Noi siamo qui finché possiamo.Chi siete, voi?Mmmm-mò, noi siamo noi, noi siamo, Mmmm-mò!
Giancarlo Giorgetti (imagoeconomica)