
In 100.000 nel mondo avrebbero un impianto per aprire le porte o archiviare dati sensibili. Ma sono tante le incognite, dalla privacy alla disumanizzazione.E se il vostro vicino di casa, o il vostro collega in ufficio fossero mezzi cyborg? Ovvero, «umani potenziati», come si dice nel gergo degli sviluppatori di microchip sottocutanei? Sembra fantascienza, però non sono in pochi gli individui che utilizzano già questa tecnologia. Secondo la Bbc sarebbero 10.000 nel mondo, ma i sostenitori del cosiddetto biohacking parlano addirittura di 100.000 uomini-cyborg tra noi. I Paesi in cui è più diffuso il chip nella mano sono Usa, Svezia, Regno Unito, Giappone e Germania. Ma a cosa servono i chip sottopelle? Si usano per aprire le porte, per mandare in stampa un file, per archiviare dati sensibili come gli estremi dei conti correnti bancari e le cartelle mediche, per pagare il biglietto del treno, o il conto alla mensa aziendale. Qualcuno li impiega persino a scopi artistici: la ballerina spagnola Moon Ribas ne ha uno collegato a un sensore sismico. L'apparecchio si attiva ogni volta che nel mondo si verifica un terremoto e il curioso siparietto è il nocciolo del suo spettacolo Waiting for earthquakes. Qualcuno ha pensato pure al ricco mercato dell'eros: l'americano Rich Lee ha sviluppato una sorta di vibratore che dovrebbe essere impiantato direttamente nella zona pelvica. Immaginate se si mettesse in moto al momento sbagliato...Da tempo i microchip sottocutanei sono al centro di varie teorie del complotto, secondo le quali essi sarebbero in realtà utilizzati per controllare le menti. Cospirazioni cui credono (o credevano) anche alcuni esponenti del Movimento 5 stelle: ad esempio, l'ex deputato Paolo Bernini. L'esistenza di tali tecnologie, comunque, non è priva di lati oscuri.Quello dei microchip biocompatibili è un mercato in rapida espansione. Le stime parlando di un giro d'affari che entro il 2025 potrebbe arrivare a 2,3 miliardi di dollari. Pioniera del settore è la società statunitense Three square market, che nel 2017 aveva chiesto ai suoi dipendenti se avrebbero accettato di farsi impiantare un chip nella mano per aprire le porte, effettuare l'accesso ai loro computer e acquistare snack e bevande ai distributori automatici. Erano stati in 50 ad accogliere l'invito partito dal presidente della compagnia, Patrick McMullan, entusiamato da questa tecnologia anche per motivi personali: sua moglie soffre di atroci dolori a causa di un incidente e li controlla solo grazie a un dispositivo impiantato nel midollo spinale. In effetti, questi microchip potrebbero avere impieghi medici: ad esempio, potrebbero servire a monitorare la posizione dei pazienti con malattie neurodegenerative, per evitare che si perdano per strada. Ma le possibilità di tracciamento offerte da tali marchingegni sollevano perplessità. Da un lato c'è lo scenario alla Tempi moderni, con aziende che impongono ritmi di lavoro disumani a dipendenti posti sotto la costante vigilanza dei loro superiori. Tant'è che in Inghilterra, pochi giorni fa, i sindacati hanno lanciato un allarme: «I microchip darebbero ai capi ancora più potere e controllo sui lavoratori», ha denunciato Frances O'Grady, segretario di una sigla sindacale. Sono insidie che alla Verità conferma Laura Palazzani, membro del Comitato nazionale di bioetica: «Il costante monitoraggio e la sorveglianza tecnologica eccessiva e sproporzionata sul lavoratore, attraverso braccialetti elettronici o sensori indossabili, rischiano di rompere il confine tra vita professionale e vita privata e di trasformare il lavoro in un'attività solo orientata alla produttività, privandola della dimensione della realizzazione personale». Senza contare i risvolti politici, che alla fin fine non ci allontanano molto dagli incubi del grillino Bernini: pensate a cosa i governi potrebbero fare se sapessero esattamente, in ogni momento, grazie a un marchingegno sottocutaneo, dove siamo e cosa stiamo facendo. Gli Stati, peraltro, hanno già messo le mani su questa tecnologia: sulle ferrovie svedesi da tempo è possibile acquistare e vidimare i biglietti con un movimento del braccio. In Svezia, secondo il Daily Mail, gli «umani potenziati» sono 4.000. Per la Palazzani, inoltre, è possibile che tale tecnologia accresca il divario «tra i ricchi sempre più avvantaggiati (ricchi-potenziati) e gli svantaggiati sempre più svantaggiati (poveri-depotenziati)». Difatti, un singolo impianto può arrivare a costare fino a oltre 250 sterline in Gran Bretagna.Un secondo aspetto preoccupante è la vulnerabilità agli attacchi hacker. Per definizione, qualsiasi dispositivo elettronico può essere violato. Ma se un computer infettato da un virus può essere spento, un chip in una mano, da cui magari sono state estratte informazioni sensibili come conti bancari e cartelle cliniche, non può essere eliminato seduta stante con un coltellaccio.E poi, un'ipotetica diffusione su larga scala dei chip sottopelle ci proietta nel «transumanesimo», in cui si eclissa la separazione tra la persona e l'oggetto e l'uso «comunitario» degli strumenti quotidiani cede il passo a un individualismo esasperato. Se oggi le chiavi di casa possono essere condivise con gli altri membri della famiglia, un domani l'impianto sottocutaneo potrebbe renderle un oggetto totalmente privato. Al punto che la persona potrebbe identificarsi con lo strumento stesso: non più «io uso la cosa», ma «io sono la cosa». E diciamoci la verità: questi sistemi non rischiano di trasformarci, più che in cyborg, in veri e propri vegetali, scoraggiati dalla prospettiva di compiere il minimo sforzo per aprire una porta o prendere il denaro dal portafoglio, inclini a sostituire una miriade di banali operazioni quotidiane con un semplice movimento della mano? Vale davvero la pena risparmiare così una manciata di secondi?
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