2019-02-25
Vito Crimi: «Un aiuto a chi compra giornali. Daremo il voucher ai lettori»
Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio: «Abbiamo ridotto i fondi diretti agli editori ma aumenteremo i sostegni per le edicole e per chi le frequenta. Ecco il nostro piano».Vito Crimi, già capogruppo M5S al Senato, è ora sottosegretario alla presidenza del Consiglio, con le roventi deleghe all'editoria e alla ricostruzione post terremoto. Ha appena presentato la mappa dei rischi dei Comuni italiani. Che quadro ne esce? «Un quadro che deve far riflettere. Mai è stata fatta una pianificazione urbanistica davvero completa: in passato, si è sempre pensato ad ambiti ridotti, invece di considerare ogni porzione di territorio come parte di un sistema complesso. In questo modo si è determinato uno sfruttamento eccessivo del territorio, l'unico in Europa così esposto a rischi idrogeologici e sismici sia nelle zone centrali che in quelle costiere».C'è una buona informazione sul «rischio Italia»? Senza terrorizzare nessuno, forse sarebbe il caso di ricordare che molte parti del nostro territorio sono esposte…«È un grande punto interrogativo. Lo dico in astratto: se si fa una valutazione sulla vulnerabilità sismica di una scuola, poi che si fa? È questo il motivo per cui, da decenni, abbiamo assistito a un'informazione sottotraccia: per il timore, a me pare, che poi si dovesse provvedere alle indispensabili azioni concrete».Gran parte dell'edilizia post dopoguerra non è antisismica. D'altra parte, le risorse sono limitate e megapiani pubblici non sono sostenibili. Come va il bonus per incentivare a rendere antisismici gli edifici?«Condivido la premessa. Purtroppo il “sisma-bonus" è un'iniziativa ancora poco utilizzata, che potrebbe consentire a chiunque un'azione di consolidamento. Serve informazione e stimolo. Ovviamente c'è il problema di anticipare le spese e poi il credito d'imposta. Ma al tempo stesso si può fare la cessione del credito alla banca, e quindi lo strumento è davvero praticabile anche da chi non ha risorse economiche e imposte da detrarre».Vogliamo aggiungere qualcosa per le zone già terremotate?«Impegno massimo, da Ischia all'Emilia fino a Catania. Passando ovviamente per la situazione più grave ed estesa, quella del Centro Italia. Su questo mi faccia dire una cosa chiara: non si può agire per legge ordinaria. Servono leggi speciali».Parla anche del codice degli appalti?«Parlo di tutto. Faccio un esempio astratto: se, a fronte di un terremotato che ha avuto danni lievi, da 10.000 euro, poi viene fuori dopo dieci anni che lo Stato ne ha complessivamente spesi 140.000, è evidente che il sistema non funziona. Serve maggiore fiducia e controlli più spostati a valle».E in generale una filosofia legislativa meno asfissiante. Inutile avere norme a maglie ultrastrette se poi devi subito derogare…«Ma infatti. Lo Stato ha elevato muri altissimi per difendersi dall'illegalità. Ma il muro è diventato troppo alto anche per chi agisce nella legalità».Cambiamo tema. L'editoria vive una trasformazione. Complessivamente le imprese editoriali le sembrano preparate a questo voltapagina storico?«Il dato che emerge è una domanda di informazione che cresce sempre di più. E, al contrario, un'offerta non adeguata al tipo di domanda. Si sono ampiamente usate risorse per sostenere il settore industriale editoriale, ma si è pensato solo alla parte economico-finanziaria (licenziamenti, accompagnamenti, prepensionamenti). Si sono sanati i bilanci, senza pensare al futuro».E l'offerta è rimasta indietro rispetto alle esigenze degli utenti.«Eh sì. La gente vuole informazione e la vuole presto. Ma gli editori continuano ad andare in direzioni “classiche": vedo molte operazioni di restyling verso l'online, ma ci si ferma lì. Mentre la chiave è rendere tutto fruibile immediatamente sullo smartphone: se penso a quanto è difficile leggere molti quotidiani sul cellulare…».Ci spieghi cos'avete fatto sul finanziamento pubblico. «Abbiamo gradualmente abolito il finanziamento diretto agli editori. Mentre resta il fondo per il pluralismo affinché sia utilizzato per l'intero sistema editoriale».Chi volete sostenere in futuro?«Faccio due esempi precisi. Primo: le edicole. Sono 28.000, e lì si vende l'80% dei giornali. Ecco, non si è mai fatto un intervento per sostenerle».E poi?«E poi il lettore. Non è incentivato. Oggi molti utenti trovano le notizie gratuitamente sui social network. Sarebbe meglio sostenerli affinché possano acquistare anche informazione qualificata».Pensate a sistemi tipo voucher, un buono diretto all'utente?«Anche sistemi di questo tipo. E poi credito d'imposta per aiutare gli investimenti pubblicitari e stimolare il mercato». Torniamo agli editori che percepivano finanziamento pubblico. Avete scelto una transizione per consentire alle imprese editoriali di organizzarsi? Del resto, molte hanno usufruito di una posizione di vantaggio rispetto ai concorrenti. «Il meccanismo è triennale, per dare tempo a tutti. E abbiamo attivato un sistema con uno “zoccolo duro" di 500.000 euro, con riduzioni prima del 20%, poi del 50% e infine del 100% della differenza tra l'importo spettante e 500.000 euro. Quanto alla disparità, in effetti il vecchio sistema favoriva alcune categorie (le cooperative per esempio) rispetto ad altre»Diciamolo: con distorsioni e discriminazioni«Basta una cifra. I fruitori erano 180 su 18.000 testate registrate. Più in generale, è ovvio che puoi aiutare un settore industriale in un momento di transizione. Ma all'editoria sono stati dati 4 miliardi in 15 anni. All'Unità addirittura 100 milioni per saldare i debiti, in base alla logica per cui lo Stato era garante dei debiti dei giornali di partito…».Sareste disponibili a mettere a gara pezzi di servizio pubblico, segmenti di attività di informazione di interesse pubblico? Vinca il migliore, e gestione per 2-3 anni a chi offra il miglior rapporto qualità-prezzo. «Già paghiamo la Rai, che sarebbe vincolata da un contratto di servizio».Ma non si rischia un monopolio?«Parlo in generale. Poi, nel caso in cui la Rai non riesca, non arrivi, non soddisfi una certa esigenza, meglio che un servizio sia messo a gara anziché procedere con affidamento diretto a un unico soggetto». Nel 2019, ha ancora senso l'Ordine dei giornalisti? Non le pare che avesse ragione Luigi Einaudi, a cui non piaceva già molti decenni fa? «È anacronistico. Oggi ci sono tante sfaccettature non imbrigliabili in schemi tradizionali: comunicatori istituzionali, social media manager, persone che hanno opinioni e capacità e a cui un editore fa un contratto. Anche sulla base della legge 4 del 2013 sulle professioni senza albo, perché non pensare a una trasformazione dell'ordine in una libera associazione di giornalisti, con garanzie deontologiche? Ecco, l'iscrizione può diventare un plus che uno ha. Stimoleremmo anche le attività di studio universitario di giornalismo: un modo per arricchire il curriculum». Parliamo di politica. Inutile girarci intorno, i recenti risultati elettorali non sono stati brillanti per il M5s. Vero che alle amministrative siete sempre andati meno bene che alle politiche. Ma le basta questa spiegazione? «Quello è un dato di fatto. Devo dire che in tante situazioni (Abruzzo, Sicilia) abbiamo lavorato ventre a terra, e poi i risultati sono stati diversi dalle attese. Serve una riflessione. Torno indietro di molti anni: noi iniziammo con liste civiche, senza un simbolo nazionale, dal basso verso l'alto. Senza fare drammi, forse ora possiamo fare il percorso inverso: restituire ai territori la forza di un movimento nazionale».Si legge di una maggioranza nel M5s che accetta la linea di Luigi Di Maio e di una minoranza - più o meno vasta - in sofferenza. Come stanno le cose? «Io vedo come naturale il fatto che uno possa non condividere tutte le decisioni del movimento in cui milita. È bello votare, ed è bello accettare la decisione della maggioranza. Mi convince poco chi ritiene che la democrazia sia bella solo quando le cose vanno come vorrebbe lui».Il rapporto con la Lega. Fino a poche settimane fa, la vostra linea era: non è un'alleanza, solo un contratto. È ancora così o si può pensare a un'intesa più strutturale?«Ribadisco che il rapporto è legato ai patti sottoscritti. Abbiamo identità strutturalmente diverse. Abbiamo messo nero su bianco ciò che condividiamo e su cui ci siamo reciprocamente impegnati»Cosa risponde a chi vi accusa di essere cambiati per il voto sul processo a Salvini?«Ma è stato un caso unico. Davanti a una situazione del genere, sarebbe stato meglio che il Parlamento non fosse chiamato a votare. Lo dico in astratto, prescindendo dal M5s: se passasse l'autorizzazione, il Parlamento “certificherebbe" l'assenza di un preminente interesse pubblico. E sarebbe quasi una “costrizione" per i giudici a condannare, un automatismo».Poniamo che dopo le Europee ci sia un risultato simile agli attuali sondaggi: Lega sopra il 30% e voi piuttosto staccati. Che succede? «Io ritengo che si debba proseguire con il contratto. E insistere sui nostri temi: i frutti verranno con il tempo, e saranno positivamente tangibili nelle tasche degli italiani».Un Pd guidato da Zingaretti cercherà l'interlocuzione con voi? «Questo Pd è talmente rancoroso, perché non ha più i tentacoli sul potere, che mi pare difficile possa dialogare. Con noi o con chiunque altro».
Il primo ministro del Pakistan Shehbaz Sharif e il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman (Getty Images)
Riyadh e Islamabad hanno firmato un patto di difesa reciproca, che include anche la deterrenza nucleare pakistana. L’intesa rafforza la cooperazione militare e ridefinisce gli equilibri regionali dopo l’attacco israeliano a Doha.
Emanuele Orsini e Dario Scannapieco