2025-02-06
Pomodori, pere e kiwi. L’Ue ci vieta i pesticidi e spalanca le porte ai cibi chimici altrui
I diktat sui fitofarmaci mettono a rischio l’ortofrutta italiana. Siamo invasi da prodotti impregnati da sostanze da noi proibite.Germania e Francia sprecano più di noi. In testa alla classifica ciprioti e danesi. Finiscono nella spazzatura soprattutto frutta, verdura e pane. Poca carne e pesce.Lo speciale contiene due articoli.In attesa di sapere se Frans Timmermans ha truccato le carte a Bruxelles per imporre il Green deal una certezza c’è: i diktat verdi dell’Ue stanno mettendo in gravissima difficoltà produttori di ortofrutta italiani che sono i più forti del continente e ci fanno arrivare nel piatto insalate che grondano di chimica e macedonia che arriva dall’altro capo del mondo di dubbi a qualità. Come se portare arance dall’Africa o cipolle dal Vietnam non avesse un impatto ambientale. In ballo ci sono 17 miliardi di fatturato, la voce più importante della nostra produzione agricola. L’allarme arriva da Berlino dove è in corso Fruit logistica 2025, la più importante rassegna dedicata al settore. E sono due i temi in ballo: la diminuzione di produzione dovuta all’impossibilità di usare i fitofarmaci, la penetrazione sempre più forte di prodotto estero che non è soggetto alle stesse restrizioni e fa dumping sui prezzi. Un caso su tutti: il pomodoro cinese che gronda chimica ed è coltivato dagli Uiguri che vengono trattati come schiavi. È la questione mai risolta della reciprocità delle norme: quella che, per esempio, fa temere dagli agricoltori il Mercosur. A dirlo esplicitamente è il presidente di Fedagripesca Confcooperative Raffaele Drei che sostiene: o l’Europa dà il via libera agli agrofarmaci e sospende il Farm to Fork oppure saltiamo per aria lasciando il mercato e dunque i consumatori in balia di produttori che usano sostanze da noi vietate. «L’ortofrutta», sostiene Drei, «è la più esposta ai cambiamenti climatici. Per salvaguardare gli attuali livelli produttivi occorre una chiara inversione di tendenza rispetto al drastico calo delle sostanze attive autorizzate, indispensabili per la difesa delle colture. La limitazione dei principi autorizzati ha impedito ai nostri produttori di contrastare le diverse fitopatie che hanno colpito gli alberi da frutta. Tantissima produzione è andata persa». I numeri parlano chiaro: l’80% delle pere non si coltiva più (siamo passati da 800.000 tonnellate a poco più di 180.000 in otto anni), la produzione di kiwi – un prodotto strategico di cui l’Italia è leader mondiale – si è dimezzata. Drei ha sottomano uno studio di Areté che certifica: oggi in Italia si usano 300 sostanze, il 75% in meno di 30 anni fa e c’è stata in questo settore una fortissima innovazione, meno dell’1% degli agrofarmaci autorizzati prima del 2000 sono ancora in uso. L’Italia è il Paese che ha ridotto più di tutti la spesa per questi sostanze (meno 19% in dieci anni) ed è quello che ha meno residui al mondo sulle proprie produzioni. Sempre Aretè rivela che sui prodotti importati ci sono residui dannosi superiori del 500% rispetto alle produzioni nazionali e che Francia e Germania hanno residui chimici dieci volte superiori a quelli che si trovano sui prodotti italiani. Perciò Drei insiste: «Se vogliamo difendere la competitività delle aziende e continuare a presidiare i mercati internazionali con quantitativi importanti di prodotto è necessaria una urgente moratoria di cinque anni sulle attuali revoche dei fitofarmaci. Altrimenti c’è il serio rischio di doverci abituare a vedere nei nostri piatti un bel numero di prodotti provenienti da altri continenti». A conferma intervengono altri dati, quelli di Coldiretti secondo cui per la prima volta da 30 anni le esportazioni di fresco nel 2024 hanno raggiunto il valore record di 6,1 miliardi di euro (+9%) ma sono state superate dalle importazioni pari a 6,4 miliardi (+12%). Se si considerano le quantità, le importazioni di ortofrutta fresca hanno superato i 5 miliardi di chili (+14%) mentre le esportazioni sono ferme a 3,6 miliardi, in calo rispetto all’anno precedente. Il presidente di Coldiretti, Ettore Prandini, sottolinea: «Abbiamo raggiunto i 12,5 miliardi di export ortofrutticolo tra fresco e trasformato, ma paradossalmente il problema è produrre di più le singole colture, ancora prima che vendere. E poi c’è il sostegno del prezzo e la necessità di difendersi dalle importazioni per cui non valgono le regole di reciprocità. Nel 2024 si sono avuti 165 allarmi su l’ortofrutta arrivata in Italia (più 61% in un anno). È la conferma che in molti Paesi, dall’Africa al Sudamerica fino all’Asia, si usano di pesticidi pericolosi e banditi nell’Ue, ma anche in Europa bisogna armonizzare i fitosanitari tra i vari paesi. Le regole attuali sono inadeguate a garantire agli agricoltori italiani parità rispetto agli altri». Il Green deal ci mette in tavola prodotti più scadenti e «uccide» la nostra economia: negli ultimi cinque anni si è avuta una drastica riduzione delle superfici coltivate (lo rivela la Confagricoltura): -23% per le pere, -11% per le pesche, -8% per le nettarine, -7% per le albicocche, e -6% per kiwi e susine. L’ideologia verde di Timmermans e di Ursula von der Leyen agevola prodotti che fanno dumping ai nostri con una insostenibile caduta dei prezzi e mettiamo a rischio 300.000 aziende e 440.000 posti di lavoro: il 40% del totale in agricoltura. Una macedonia davvero indigesta quella europea.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/ue-pesticidi-divieto-2671107056.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="buttiamo-372-euro-di-alimenti-a-testa" data-post-id="2671107056" data-published-at="1738834989" data-use-pagination="False"> Buttiamo 372 euro di alimenti a testa D’accordo c’è sempre la massima di Trilussa – il pollo diviso in due per cui uno mangia e l’altro no anche se per la statistica sono entrambi sazi – tuttavia chi si lamenta dell’inflazione o del carrello della spesa sempre più caro dovrebbe cominciare a pensare che in media buttiamo nella spazzatura 372 euro a testa, 22 miliardi all’anno pari a 8,2 milioni di tonnellate di cibo. Non siamo i più spreconi, ma ce la caviamo bene. Più di noi buttano via la Germania (10,8 milioni di tonnellate) e i francesi (9,5 milioni), ma se si fa la classifica pro-capite si scopre - come ha fatto il centro studi Divulga basandosi su dati Fao – che sono ciprioti con 294 chili a testa, danesi con 254 chili per abitante e greci con 193 chili pro-capite i recordman della spazzatura anche se noi siamo undicesimi e comunque sopra alla media europea. Questi dati fanno pensare che la giornata contro lo spreco alimentare – si è celebrata ieri – dovrebbe diventare un’emergenza continentale (l’Europa butta via generi alimentari per 145 miliardi, il 10% del cibo disponibile con una perdita pro-capite di 345 euro all’anno) e mondiale – il cibo sprecato potrebbe sfamare 1,26 miliardi di persone - se si tiene conto della malnutrizione, del fatto che ci sono almeno 900 milioni di uomini che non hanno accesso al cibo, ma anche dell’emergenza alimentare che ormai è presente in Occidente guardando alle file sempre più lunghe davanti alle mense che offrono pasti nelle nostre città. Il rapporto di Divulga è insieme un atto d’accusa, un campanello d’allarme e una fotografia delle nostre cattive abitudini. Gli italiani sono i più spreconi tra le mura domestiche: il 76% di cibo perso, pari a 15,8 miliardi, se ne va in famiglia; il rimanente 24% si suddivide tra commercio e distribuzione (8% pari a 1,7 miliardi), ristorazione (6% pari a 1,3 miliardi), produzione primaria (6% per un ammontare complessivo di 1,1 miliardi) e industria alimentare (5% pari a 965 milioni). Nella spazzatura buttiamo soprattutto frutta (33%) e verdura (20%). Limitatissimo è lo spreco di alimenti proteici (latte, formaggi, carne e pesce) che sono solo l’8% di ciò che buttiamo mentre i cereali - soprattutto pane - sono comunque la seconda merce più sprecata (23%). È straordinario constatare come l’Europa sempre così attenta alla sostenibilità non si sia minimamente posta il problema dello spreco alimentare forse perché a Bruxelles la lobby della grande distribuzione - segnatamente tedesca e francese: quella che difende l’etichetta a semaforo, il Nutriscore così amato dalle multinazionali del cibo - conta molto e gli appelli a ridurre il carrello della spesa e a riempirlo con oculata intelligenza non piacciono troppo, né fanno parte delle misure green. Invece l’impatto sull’ambiente è considerevole. Il contenimento dello spreco alimentare potrebbe contribuire a ridurre del 10% le emissioni globali. Le emissioni europee riconducibili allo spreco raggiungono quasi 163 milioni di tonnellate di anidride carbonica (CO2), corrispondenti a 0,36 kg a persona. L’Italia fa peggio con 0,38 chili a testa, però – come sottolinea Coldiretti – il ritorno della bottega tradizionale, soprattutto la spesa diretta dagli agricoltori come nei mercati di Campagna amica, il cambiamento dello stile di consumo (non c’è più la spesa per tutta la settima, dato confermato dalla grande distribuzione che ha visto diminuire l’importo dello scontrino medio) possono portare alla riduzione dello spreco alimentare con un vantaggio sui prezzi per il consumatore e un aumento della remunerazione degli agricoltori.