2025-04-05
L’Ue di Macron va al braccio di ferro contro Musk e i colossi di Internet
Elon Musk ed Emmanuel Macron (Ansa)
La Commissione vuol comminare 1 miliardo di multa a mister Tesla. La smentita non convince anche perché l’obiettivo dichiarato della Francia è tassare i big della rete. Peccato che l’Unione non abbia servizi alternativi.Dentro la Commissione Ue sono convinti di dover mostrare i muscoli a Donald Trump, potendo far leva sull’importanza che il mercato europeo riveste per gli Stati Uniti. Così, quel che rimane dell’idea di diplomazia nel Vecchio continente rischia sul serio di evaporare, dinanzi alla prima cartuccia che i funzionari dell’Unione sembrerebbero voler sparare: parliamo del miliardo di dollari di multa che, stando al New York Times, sarebbero pronti a comminare a Elon Musk. Già: devono trattare uno sconto sui dazi con il presidente americano, che da importatore netto di beni ha il coltello dalla parte del manico, ma il loro punto di partenza è bombardare i pupilli del tycoon. Una mossa talmente votata all’autolesionismo da aver chiamato una goffa smentita: un portavoce dell’esecutivo, ieri, ha garantito che non c’è «nessuna multa contro X sul tavolo», pur ammettendo che sono in corso istruttorie a livello «tecnico». Eppure, il quotidiano della Grande Mela aveva citato fonti di Bruxelles, che avrebbero confidenza con il dossier, aperto già da quasi due anni, sul social network X, di proprietà del magnate sudafricano.L’accusa degli euro-Tafazzi riguarda la presunta violazione del Digital services act, la normativa comunitaria con la quale i nostri burocrati pretendono di proteggerci dalla disinformazione online. La piattaforma è oggetto anche di un secondo filone d’inchiesta, nel quale le viene contestato di essere diventata una fucina di discorsi d’odio e fake news. Dall’Europa precisavano che l’applicazione delle regole avviene «senza discriminazioni» e che la vicenda, comunque, non ha a che vedere con la guerra commerciale, visto che le pratiche sono state avviate nel 2023. Anzi, proprio la consapevolezza di non dover irritare Trump starebbe portando l’Ue a più miti consigli: la sanzione miliardaria e la richiesta di introdurre misure per moderare i contenuti dei post sarebbero una sorta di compromesso al ribasso. E se non bastasse tale scaltra clemenza, i funzionari dell’Unione si erano detti disponibili a fare marcia indietro, qualora il capo del Doge accetti di adeguarsi ai loro saggi diktat.Il giallo sulla randellata a Musk, magari, non c’entra niente con i dazi; fatto sta che anche altre aziende statunitensi sono in predicato di condanne. Apple e Meta, ad esempio, sono sotto tiro per non aver rispettato il Digital markets act, cioè la disciplina sulla concorrenza nel settore tecnologico; in più, la società di Mark Zuckerberg, come X, si trova sotto indagine per non aver protetto i minori, ai sensi del Dsa. Sullo sfondo, aleggia la dottrina espressa dal tycoon: la Casa Bianca equipara alle consuete tariffe doganali tutte le regolamentazioni europee, che costituiscono una barriera per il business delle compagnie a stelle e strisce. A Bruxelles, anziché lasciare, raddoppiano. Salvo poi, con il commissario al Commercio, Maros Sefcovic, plaudire a «un franco scambio di due ore» con l’omologo Howard Luttnick e l’ambasciatore Jamieson Greer. Le indiscrezioni, riportate dal New York Times e poi negate dalla Commissione sono un impaccio sulla strada del dialogo bilaterale con Washington, che il governo italiano si riserva di intraprendere, anche alla luce delle pressioni per uniformare le posizioni dei singoli Stati alla strategia della Commissione. Strategia a sua volta modellata sulle esigenze della Germania, principale obiettivo polemico di Trump, e della Francia, dove Emmanuel Macron ha esortato gli imprenditori transalpini a congelare gli investimenti Oltreoceano. La Commissione ha preferito non commentare la dichiarazione, limitandosi ad auspicare «di avere qui in Europa un’offerta molto attraente per le aziende che desiderano investire». Contemporaneamente, però, dall’Unione evocano una rappresaglia antiamericana. Il ragionamento è il seguente: l’America compra le nostre merci molto più di quanto noi compriamo le sue e, quindi, i dazi su una Cadillac non avrebbero lo stesso effetto di quelli su una Volkswagen; tuttavia, se dai beni ci si sposta ai servizi, specie quelli digitali, i rapporti di forza si invertono. Ergo, l’Europa potrebbe colpire quelli. La stangata su Musk rientrerebbe nella stessa logica. Peccato solo che il calcolo non torni.La proposta di Parigi, che tenta Ursula von der Leyen, ambisce a una revisione della tassazione sui colossi del Web. Bene: bisognerà convincere i paradisi fiscali europei, che si sono trasformati in veri e propri santuari per le Big tech Usa. Quante fiches scommettiamo sulla sacerrima unità europea? D’altronde, è improbabile che il volume degli affari di quei giganti, ossia la domanda dei servizi che erogano, si contragga; al limite, i costi di prestazioni che rimarrebbero irrinunciabili finirebbero per essere scaricati sui consumatori. Il punto è che, in Europa, non esistono alternative all’offerta statunitense: non ce ne sono su Internet, non ce ne sono sulle piattaforme social, così come non ce ne sono sui satelliti di Musk; e chi oggi acquista gli iPhone, vista la loro fascia di prezzo, si lascerebbe scoraggiare da qualche euro di aumento? Il pericolo, in sostanza, è di non riuscire a intaccare il business delle aziende americane, lasciando però che il conto di una tattica fallimentare ricada sui noi cittadini, che non siamo certo in condizione di rinunciare a Google, Amazon & C. Qualcuno spera davvero di intaccare uno degli elementi cruciali del potere globale degli Usa?Incaponirsi sulle ritorsioni, ha giustamente notato ieri il ministro del made in Italy, Adolfo Urso, «sarebbe come farci del male da soli». Un’arte in cui, in Europa, siamo i migliori al mondo.