2025-10-17
L’Ue ci illude con la «difesa comune». Il vero obiettivo è intimorire Putin
L'Alto rappresentante dell'Unione europea per gli affari esteri Kaja Kallas (Ansa)
Ursula von der Leyen chiede agli Stati acquisti congiunti di armi. Ma ogni progetto è per il fianco Est.La Commissione Ue ha presentato ieri la «Defence readiness roadmap 2030», ossia la tabella di marcia che dovrà guidare il piano di riarmo europeo. Nelle intenzioni di Bruxelles, questo documento rappresenta il passo decisivo verso una vera capacità di difesa europea. Ma la sua realizzazione dipenderà, tra le altre cose, da una condizione essenziale: la disponibilità degli Stati membri a investire risorse senza precedenti e ad accettare un livello di cooperazione finora mai sperimentato in campo militare, a cominciare dagli acquisti congiunti di armamenti. E sappiamo che, quando si tratta di denari e spazi di manovra, non è mai facile mettere tutti d’accordo.A sentire Ursula von der Leyen, questo piano di riarmo (pardon: difesa) serve a contrastare il redivivo imperialismo russo (vero o presunto), nonché le nuove minacce ibride, cibernetiche e spaziali: «L’Europa è in pericolo e deve diventare capace di difendersi. Non si tratta di militarizzare l’Unione, ma di garantire che ogni cittadino europeo sia protetto», ha dichiarato ieri la presidente della Commissione Ue presentando la roadmap. Nel dettaglio, il piano si articola attorno a tre pilastri: rafforzamento delle capacità militari europee, coordinamento strategico e integrazione industriale. Cuore della proposta è il sistema degli acquisti congiunti, una pratica già utilizzata in ambito Nato, ma che l’Unione vorrebbe rendere strutturale. Oggi l’80% delle spese militari europee avviene su base nazionale e Bruxelles intende invertire questa tendenza: entro il 2027, almeno il 40% degli acquisti militari dovrà essere effettuato in modo congiunto tra gruppi di nazioni. Per farlo, gli Stati membri saranno invitati a costituire vere e proprie alleanze operative dedicate a nove settori chiave: difesa aerea e missilistica, fattori abilitanti strategici, mobilità militare, sistemi di artiglieria, cibernetica, intelligenza artificiale e guerra elettronica, missili e munizioni, droni e contro-droni, combattimento terrestre e sorveglianza marittima.La roadmap, peraltro, prevede anche quattro grandi progetti, i cosiddetti European readiness flagships, destinati a diventare il simbolo del riarmo comune europeo: un muro anti-drone, la sorveglianza del fianco orientale dell’Ue, uno scudo aereo e uno scudo spaziale di difesa. «I conflitti moderni si vincono prima di tutto dominando lo spazio aereo e lo spettro elettronico. Chi non è pronto, perde», ha sentenziato ieri l’Alto rappresentante Kaja Kallas. Tutto bellissimo. Ma poi, puntualmente, paga Pantalone. Per finanziare la roadmap, infatti, Bruxelles ha fatto chiaramente capire che non metterà sul tavolo chissà quale grande fondo europeo: il grosso delle risorse dovrà arrivare, guarda caso, dai bilanci nazionali. E non si tratta di noccioline: si parla di 800 miliardi di euro nella fase iniziale e di un potenziale complessivo di 6.800 miliardi da stanziare entro il 2035, considerando tutte le spese di difesa pubbliche e private. L’obiettivo, insomma, è creare un «mercato unico della difesa».Come al solito, le intenzioni sono buone, forse ottime, ma poi la realtà è molto più complicata. Per quanto riguarda gli acquisti congiunti, c’è un precedente che non fa certo ben sperare: l’acquisto dei vaccini anti Covid. Il riarmo, inoltre, sembra tutto indirizzato a fortificare il fianco Est (Ucraina e Paesi limitrofi), lasciando però totalmente scoperto il fianco Sud (l’Italia e le altre nazioni mediterranee). Per tutti questi motivi, la partita è tutt’altro che chiusa. Il piano, infatti, sarà al centro del vertice europeo del 23 ottobre, quando i capi di Stato e di governo dovranno decidere se dare il via libera o chiedere modifiche. Alcuni Paesi, tra cui Francia e Spagna, hanno già espresso diverse perplessità, in particolare sulla governance e sul peso dell’industria tedesca nel settore missilistico. Insomma, è ancora troppo presto per far partire le fanfare.
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