Di qui al 2030 dovremmo tagliare 10,5 miliardi di chilowattora. Col sussidio di Conte ne abbiamo eliminati 9, ma ci è costato 130 miliardi e abbiamo rischiato di mettere ko il bilancio. Intanto Confindustria Assoimmobiliare vede le opportunità di business.
Di qui al 2030 dovremmo tagliare 10,5 miliardi di chilowattora. Col sussidio di Conte ne abbiamo eliminati 9, ma ci è costato 130 miliardi e abbiamo rischiato di mettere ko il bilancio. Intanto Confindustria Assoimmobiliare vede le opportunità di business.Prima del week end, Confindustria Assoimmobiliare, l’associazione che fa capo ai big del real estate, ha diffuso una nota. Un messaggio semplice. In pratica, le norme verdi green vanno bene così come impostate, ma serve più tempo. «La transizione green del patrimonio immobiliare è un percorso ineludibile che va affrontato con soluzioni di lungo periodo e una politica industriale organica per tutta la filiera», suggerisce il comunicato. «La Energy performance of buildings directive (quella appena approvata dal trilogo; manca solo il voto alla plenaria di fine aprile), anche se in modo meno stringente rispetto la prima versione, prevede un calendario sfidante per la riqualificazione del parco immobiliare residenziale. E, se non adeguati ai nuovi standard energetici, gli edifici rischiano di perdere valore».In altre parole, secondo i rappresentanti dell’industria immobiliare, non si tratta di un percorso semplice e per questo «è necessaria una strategia di lungo periodo che non si limiti alla sola ristrutturazione dell’esistente ma che miri anche a una progressiva sostituzione del patrimonio immobiliare, con investimenti che non ricadano solo sulle spalle delle famiglie o sulle casse dello Stato». Per centrare gli obiettivi della decarbonizzazione del patrimonio immobiliare, che non dovrà limitarsi solo al patrimonio residenziale ma abbracciare tutte le categorie di edifici, Confindustria Assoimmobiliare ritiene necessario che il ridisegno delle politiche pubbliche per il settore tenga conto di vari principi guida. Più fondi immobiliari per sondare il mercato, un nuovo sistema di bonus edilizi e incentivi fiscali e meno tasse per la transazioni relative alle case green. Insomma, appare legittimo che chi si occupa degli interessi della finanza che commercia case suggerisca incentivi su misura. Si finisce sempre con l’omettere che in questo modo chi non avrà la liquidità e i soldi necessari per stare al passo con la transizione si troverà a cedere la proprietà. D’altronde, basti pensare quanto accadrà ai mutui. «I tassi d’interesse praticati per questo tipo di operazioni», ha detto recentemente il segretario generale della Fabi, Lando Maria Sileoni, in una trasmissione Mediaset riferendosi alle abitazioni di classe A, B, e C, «vanno dal 2% al 3% e sono di fatto la metà rispetto all’attuale media di mercato che è tra il 4% e il 5%. Si tratta di prestiti a tasso fisso fino a 30 anni che, nel caso di ristrutturazioni, se le condizioni lo consentono, possono aggiungersi a finanziamenti già attivi, quelli cosiddetti in essere». Ciò che Sileoni non ha detto è che la forchetta dei mutui per le case, che non saranno a norma, salirà ancora. In pratica, chi non avrà la liquidità disponibile e soldi a sufficienza per ammodernare gli immobili vedrà svalutata la casa di un buon 40%. Chi invece vorrà comprarne una e non avrà fondi sufficienti dovrà chiedere un mutuo che pagherà molto più caro rispetto a quello che le banche faranno a chi potrà permettersi una abitazione di classe premium. Per capirsi, le prime tre classi a oggi rappresentano solo il 12% degli oltre 12 milioni di immobili. E quindi chi è povero dovrà spendere di più per farsi una casa di proprietà. A fronte di tutte queste perplessità si aggiungono alcuni dati che presi nella loro semplicità spiegano che anche spalmando in più anni gli interventi il modello green dell’Ue non è sostenibile. Leggendo i report di Terna si può vedere che nel 2021 su un totale di circa 300 miliardi di chilowattora consumati lungo la penisola, poco più di 65 miliardi derivano dal sistema residenziale, cioè dalle case degli italiani. La direttiva europea prevede che entro il 2030 dovremo tagliare il 16% dei consumi. Poi la percentuale sale ulteriormente. Anche se ci fermiamo a quanto dovrà accadere fra sette anni scarsi, un simile taglio significa ridurre i consumi di 10,5 miliardi di chilowattora. Secondo fonti Enea il Superbonus nei suoi primi 2 anni e mezzo di vita ha contribuito a tagliare circa 9 miliardi di chilowattora. Tanti o pochi? Diremmo irrilevante come concetto visto che a fronte del risparmio energetico sono stati impegnati 130 miliardi dello Stato con il rischio di mandare ko il bilancio. Il governo Meloni ha interrotto il piano di incentivi in fretta e furia per non subire per giunta la stangata Ue. Ecco, il target Ue è superiore di quasi 1,5 miliardi di chilowattora. Qualcuno spieghi come sarà possibile spendere circa 150 miliardi pubblici. La domanda è retorica. Il nuovo patto di stabilità comunque non lo consente. Restano quindi due strade. La prima sarebbe quella di imporre ai cittadini l’obbligo di ammodernamento. Il governo in carica, grazie al cielo, sembra escluderlo. Resta una sola soluzione, dunque. Dopo le elezioni europee una nuova Commissione e un nuovo Parlamento che cancellino andando a ritroso ogni decisione presa dai socialdemocratici e del loro, ancora per poco, idolo Frans Timmermans.
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