2023-03-10
«Studiavo, ora imbraccio il fucile. Ho imparato a uccidere e mi piace»
La testimonianza di un universitario ucraino partito per il fronte col padre: «Ho ammazzato tre “orchi” russi con un colpo di bazooka. È la guerra, o noi o loro. I simboli nazisti? Diciamo che è una provocazione».Niccolò Celesti da Slovyans’k Avevamo lasciato Max nelle trincee di Kherson, al suo quarto mese, in una estate torrida nella quale continuava a muovere i primi passi da soldato. Osservava il lavoro e imparava dai compagni più grandi, parlava di libertà e onore e aveva ancora quell’aria da civile vestito da militare, quell’aspetto di una persona che ancora deve essere intaccata dalla guerra.Lo abbiamo incontrato ancora, nella casa dove vive con la sua unità, vicino al fronte di Bakhmut. Max apparentemente non è stato inghiottito da tutto l’orrore che ha vissuto negli ultimi 12 mesi, forse lo sarà dopo la guerra ma quando lo intervistiamo parla con grande maturità, senza rilasciare emozioni anche alle domande più difficili.«Quando è scoppiata la guerra non avevo dubbi che avrei combattuto: volevo partire subito, ma in famiglia mi chiesero di aspettare mio padre che lavorava in Polonia, lui è un veterano del Donbas», ci spiega. «È anche stato ferito e ha grande esperienza, così l’ho atteso e alla fine siamo partiti insieme. Ho studiato, lavorato, vissuto una vita piena, fino al momento in cui siamo stati attaccati».Ti ricordi l’inizio di tutto?«Ricordo ci siamo ritrovati a Kiev per la liberazione di Bucha e Irpin. Quando sono diventato un soldato, mi è stata consegnata un’arma. Non ne avevo mai viste prima, era la prima volta per me. I vestiti? A quel tempo c’erano problemi con le uniformi e le scarpe, quindi ci dovevamo arrangiare da soli. E così ho fatto. Ricordo solo che faceva freddo. Dopo qualche giorno mi hanno consegnato la giacca ma vestivo con pantaloni civili e scarpe da ginnastica; poi nei mesi successivi, piano piano, tra quello che ci siamo comprati da soli, le donazioni e le forniture militari siamo riusciti a completare tutto l’equipaggiamento».E dopo ci siamo incontrati d’estate sul fronte tra Mikolaiv e Kherson.«Sì, lì era diverso, ancora stavo imparando. La prima volta che siamo entrati nelle trincee è stato a Mykolaiv, è stato molto difficile per noi nei primi giorni perché non avevamo mai costruito posizioni e ripari dove ci si potesse nascondere dai bombardamenti. Ma ce l’abbiamo fatta molto velocemente. Eravamo psicologicamente pronti a incontrare gli “orchi” (i russi, ndr) anche se lì lavorava solo l’artiglieria; quindi facevamo principalmente un lavoro statico, mantenevamo la presenza sui campi mentre loro ci sparavano sopra».Poi è arrivata Bakhmut...«Quando eravamo a Kherson, era una guerra completamente diversa. A Kherson e Mikolaiv funzionava solo l’artiglieria; qui a Bakhmut, lavorano anche i carri armati, ma sopratutto sono in agguato quelli della Wagner. A Kherson almeno in qualche modo siamo sopravvissuti, qui diciamo al walkie-talkie che un carro armato ci sta sparando ma purtroppo in questo momento non ci sono munizioni per rispondere e per darci copertura».Ti è mai capitato di uccidere Max?«Sì, ho già ucciso gli “orchi” anche se ho solo 21 anni. Mi hanno costretto ad ammazzare, provo molta rabbia per la morte dei miei fratelli e per i miei concittadini che sono stati stuprati e uccisi, per gli uomini e le donne che sono stati trucidati mentre cercavano di mettere in salvo la propria famiglia. Quando la realtà e la brutalità di essa ti si para davanti così nella vita, diventi una persona diversa, non ti chiedi più se sia giusto o no uccidere. Lo è e basta perché altrimenti sei tu stesso a morire. Ti racconto. Era il 1° febbraio, di notte, e ci hanno attaccati in massa. Eravamo in trincea e sentivamo i colpi, abbiamo contrattaccato per mantenere le posizioni. Me lo ricordo bene, ho ucciso tre soldati della Wagner con un colpo di bazooka. Vuoi vedere il video? (prende il cellulare dalla tasca e scorre sul rullino della fotocamera e ci mostra un filmato, ndr). Erano le 4 del mattino e davanti alle nostre posizioni, a circa 7-800 metri, abbiamo visto dei nemici muoversi e fare fuoco. Mi sono messo fuori dalla trincea, ho mirato in quella direzione e ho sparato. In quel punto è calato il silenzio, nessuno sparava più. Appena è arrivata la prima luce dell’alba abbiamo fatto volare il drone e abbiamo verificato che il mio colpo era andato perfettamente a segno».Cosa hai provato quando hai capito che li avevi uccisi tu?«Sai che ti dico? Mi è piaciuto farlo, finalmente anche io ho dato il mio contributo al mio Paese e poi non c’è altra soluzione: sono gli “orchi” che ci hanno invaso e in quel momento ho avuto la possibilità di vendicarmi».Tuo padre era con te? Ti ha detto qualcosa?«Sì, certo, mio padre era con me, mi ha fatto forza e mi ha elogiato perché avevo colpito l’obiettivo, perché mi sono comportato da uomo, perché ho mirato bene e ho contribuito a salvare la mia unità. Dopo quel giorno, siamo ancora stati presi d’assalto, non solo noi ma anche le altre unità vicine. Abbiamo falciato i nemici con il fuoco delle mitragliatrici, abbiamo neutralizzato quasi due delle loro compagnie, circa 200 uomini».Cosa si prova a combattere al fianco di tuo padre? «Se le cose andranno male, in caso di sconfitta, verremo catturati o uccisi, e in caso di successo, molto probabilmente, non verremo nemmeno citati nelle cronache come personaggi famosi dell’esercito che vengono pubblicizzati dalla tv e dai cartelloni dedicati agli eroi. Non ci vedrai mai in tv o nei salotti: noi siamo gli uomini, i cittadini sul campo ed è anche su di noi che poggia l’esercito».Le tue parole sanno di rabbia, sembra che c’è qualcosa che non va bene nel supporto che dovreste avere.«Era il 2 marzo, alle 5:20 del mattino, quando fummo informati via radio che avevamo 3-200, (il 200 è il codice per i caduti al fronte, ndr): un padre e un figlio e un tenente. E due di loro erano giovani, ma già a quell’età ci hanno lasciato, erano fratelli e sono morti perché non è stato risposto con il fuoco di copertura».Sei cambiato...«La guerra fa alla psiche una cosa insopportabile: oggi sono una persona completamente diversa, con punti di vista diversi sulla vita. Spero solo che un giorno potrò tornare a Kiev, finire l’università e convivere da civile con ricordi che mi mangeranno da dentro».I russi vi accusano di essere nazisti: cosa significa il simbolo che hai sulla manica della giacca?«Indosso simboli che sono amuleti della mia cultura slava, vengono da antichissime tradizioni, alcuni sono stati usati dai nazisti e dall’estrema destra ma questo non vuol dire che io lo sia. Quello che porto davanti sulla mimetica è effettivamente un simbolo delle Ss, ma stiamo usando questi simboli per provocazione, sicuramente. Certo, c’è qualcuno che ha un orientamento nazista o di estrema destra ma non io. Diciamo che abbiamo una maniera di fare ironia e di sdrammatizzare diversa dalla vostra cultura».Max è consapevole di essere uno di quelli che vedono il nemico e sfidano la morte tutti i giorni, è arrabbiato, ma non ha intenzione di tirarsi indietro: è cresciuto a pane e onore e non vede tanto bene quelli che non mettono «il sedere in prima linea».