2024-10-17
Sul prestito a Kiev e la competitività il Consiglio europeo è ancora spaccato
Il leader ucraino Zelensky a Bruxelles il 17 ottobre 2024 (Ansa)
Orbán sotto pressione, in vista dell’incontro di oggi e domani, per i soldi all’Ucraina. Pure la ricetta Draghi resta divisiva.Per chi crede che possa servire a migliorare la situazione, oggi e domani si terrà a Bruxelles uno dei più importanti incontri del Consiglio europeo degli ultimi anni. Per chi, più realisticamente, crede che le divisioni e i contrasti di interesse siano prevalenti e insormontabili, sarà l’ennesima inconcludente liturgia fatta di buoni propositi e rinvii.L’agenda è fittissima: Ucraina, Medio Oriente, competitività, immigrazione e altri temi minori. Proprio la vicenda degli aiuti a Kiev è esemplificativa dello stallo decisionale. Infatti, leggendo la risoluzione parlamentare seguita al dibattito di martedì fa ancora capolino la vicenda del prestito da 50 miliardi di dollari che a giugno sembrava cosa fatta. Invece viene ribadita la necessità di «lavorare per l’attuazione delle decisioni prese al vertice G7 dello scorso giugno, inclusa quella relativa a rafforzare il sostegno finanziario a Kiev attraverso l’impiego delle risorse derivanti dai profitti straordinari dei beni congelati russi, in coerenza con il quadro giuridico europeo».La delicatezza della situazione è misurabile nelle parole usate dal presidente, Charles Michel, nella lettera di invito agli altri leader dove, senza tanti giri di parole, si esprime «l’aspettativa di mantenere l’impegno preso a giugno» a proposito del prestito. Come vi abbiamo anticipato nelle ultime settimane, dopo mesi di infruttuose trattative a livello tecnico e di ministri dell’Economia, gli Usa non intendono onorare l’impegno a versare la loro quota di aiuti (20 miliardi di dollari). Il motivo è almeno formalmente fondato, perché ritengono che i proventi delle attività finanziarie russe sequestrate - posti a garanzia del rimborso dei prestiti da parte di Kiev - debbano essere vincolati a lungo termine e non essere soggetti a rinnovo ogni sei mesi. Peraltro da decidersi all’unanimità dei 27 Stati membri. L’Ungheria di Viktor Orbán, che finora ha votato regolarmente a favore dei numerosi rinnovi, è contraria a questa estensione o, almeno, propone di discuterne non prima delle elezioni presidenziali Usa del 5 novembre.Da qui la decisione dell’Ue di farsi carico - a maggioranza qualificata, ma con numerosi mal di pancia - anche della quota Usa e di procedere speditamente per prestare all’Ucraina 40 miliardi di dollari entro fine anno. Solo negli ultimi giorni, autorevoli fonti vicine al dossier hanno fatto trapelare al Financial Times la disponibilità di Washington a rispettare l’impegno preso in Puglia a giugno, anche senza ottenere la contropartita del sequestro a lungo termine dei fondi russi. L’importo, che potrebbe diminuire l’impegno già preso dall’Ue, varierà in relazione a come e in che misura l’amministrazione Biden riuscirà ad aggirare l’obbligo di passare dalle forche caudine del Congresso prima di impegnare il denaro dei suoi connazionali. Anche se non c’è nulla di nero su bianco, l’annuncio della partecipazione Usa dovrebbe avvenire sul filo di lana del 5 novembre. In ogni caso, durante i lavori del Consiglio la pressione su Orbán sarà altissima perché è molto più facile e mediaticamente spendibile dare addosso al reprobo ungherese, anziché fare mea culpa per aver messo in piedi un meccanismo che finanziariamente e giuridicamente fa acqua da tutte le parti.L’altro grande tema rimesso alla valutazione dei capi di governo è quella della competitività dell’Ue. E qui, se possibile, le divisioni sono ancora più profonde. Su cosa fare e su come finanziarlo. Avendo peraltro sullo sfondo le incredibili parole del presidente dell’Eurogruppo, Paschal Donohoe, che nella sua relazione preparatoria dei lavori afferma, senza fare una piega, che «si prevede che l’attuazione del quadro (Patto di Stabilità riformato, nda) determini un orientamento di bilancio complessivamente restrittivo per l’area dell’euro, che riteniamo appropriato date le prospettive macroeconomiche e la necessità di continuare a migliorare la sostenibilità fiscale».Insomma, Pil e produttività sono in piena stagnazione, la Bce è in ritardo di almeno sei mesi nel taglio dei tassi, Usa e Cina ci hanno surclassato nelle tecnologie avanzate e la proposta «appropriata» è sempre quella del consolidamento fiscale che miracolosamente non danneggia la crescita. La ben nota austerità espansiva già bocciata dalla Storia.La definizione di un nuovo «Patto per la competitività» sarà il tema sul tavolo e i due rapporti firmati da Enrico Letta e Mario Draghi dovrebbero fornire la traccia per la discussione. Che però vediamo avviluppata in insuperabili contraddizioni. Come sarà possibile conciliare l’integrità del mercato unico con i massicci sussidi che si intendono erogare a favore degli investimenti per la transizione energetica? Sarà sufficiente la leva «miracolosa» dell’unione del mercato dei capitali per incentivare i capitali privati a fluire verso investimenti ad alto rischio senza adeguati ritorni? Chi convincerà la Germania a proseguire sulla strada dell’unione bancaria, che è zoppa proprio per l’atavica opposizione di Berlino alla garanzia comune sui depositi? Infine, come sarà possibile concordare sulla pietra d’angolo del rapporto Draghi per finanziare gli investimenti necessari al recupero di competitività, cioè la massiccia e costante emissione di debito comune? Bloomberg riferisce che gli olandesi abbiano chiesto di non discuterne all’inizio dei lavori, per non bloccare accordi più facili su altri dossier. Ed è tutto dire.
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