2022-11-19
Sorpresa: il grano ucraino non va in Africa
Trasporto del grano nell'Ucraina centro-occidentale (Getty Images)
Nonostante gli appelli per sbloccare l’export contro la fame nel mondo, nel Continente nero sono arrivate solo le briciole (26%). La maggior parte dell’oro giallo è finito in Asia (41%) ed Europa (33%). A fare affari sono stati Francia, Turchia e i colossi del cibo.Più o meno è come la storia del missile caduto sulla Polonia che è ucraino, ma bisogna considerarlo russo. Con Volodymyr Zelensky è sempre un po’ complicato capire come stanno le cose. Tra i crimini di guerra imputati alla Russia c’era quello di affamare mezzo mondo perché non partiva il grano dall’Ucraina. Pareva difficile sostenere che un Paese che produce più o meno il 4,3% di tutto il grano del mondo - 33 milioni di tonnellate contro 760 milioni in totale - potesse essere la panacea di ogni male. Ma tant’è, per mesi e mesi si è lambiccato sull’accordo del grano come ultima spiaggia per l’umanità. Le cose stanno in maniera molto diversa. Per capirlo bisogna leggere i rapporti dell’International grain council (una sorta di G20 dei cereali), ma soprattutto uno straordinario lavoro fatto da Divulga, un think tank multidisciplinare che lavora a stretto contatto con Cai - Consorzi agrari d’Italia - la maggiore rete agricola nazionale. Divulga, come se fosse un radar dei cereali, ha mappato tutte le navi che dall’Ucraina hanno trasportato frumento, mais e olio di semi di girasole di cui Kiev, è il maggior esportatore, nei quattro mesi di vigenza dell’accordo che ha consentito il lasciapassare dei cargo sul Mar Nero. Hanno preso tutte le partenze dai porti di Chornomorsk (41,4% del totale), Yuzhny (32,8%) e Odessa (25,9%) e sono andati a vedere dove è finita la merce. Sorpresa: in Africa - l’area che moriva di fame - è finito il 26% del grano, il 33% è approdato in Europa, la maggior parte (41%) è sbarcato in Asia, con la Cina che ha intermediato quasi tutto il grano destinato a Oriente. Se si piglia il mais i numeri sono ancora più sconcertanti: su 4,4 milioni di tonnellate di prodotto, l’Europa è stata la destinazione del 60% di granturco, il 30% ha raggiunto l’Asia e il 10% l’Africa. Se si prende l’olio di girasole, all’Africa è andato solo l’1%, il 75% se lo è mangiato l’Asia, il resto l’Europa. E l’America? Si è contentata di venderlo perché gli attori commerciali dei prodotti ucraini sono stati tre - come si vede consultando i volumi di esportazione registrati dall’International grain council - gli Usa, la Cina e la Francia. Qui c’è un aspetto politico molto rilevante: si rinnova il derby Italia-Francia. Con la Spagna che in Ucraina ha fatto spesa grossa seguita dalla Turchia che, autrice dell’accordo, ci ha fatto la cresta. Chi ha comprato poco è l’Africa: continua a morire di fame, ma non fa più notizia. Il nostro presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha spinto molto al recente G20 a Bali perché il Black sea grain initiative, l’accordo Onu-Turchia che ha sbloccato i porti ucraini, venisse prolungato di almeno altri quattro mesi. Ha colto nel segno perché ieri il segretario dell’Onu, Antonio Guterres, ha annunciato che Vladimir Putin sottoscrive per altri 120 giorni l’intesa sul grano e anche Volodymyr Zelensky ha dato il suo assenso. Chissà mai che la pace non poggi su un sacco di farina! La ragione dell’interesse italiano è pratica. Noi - osservando il monitoraggio di Divulga -con il 9% complessivo sul totale delle esportazioni ucraine di prodotti agricoli, tra grano, mais e olio di girasole, siamo al quarto posto dietro Spagna (18%), Turchia (13%) e Cina (11%) tra i Paesi che più hanno beneficiato del Black sea grain initiative. E la Francia? È un capitolo a parte. Si è comprata 213.000 tonnellate di prodotti vari e circa 250.000 tonnellate di solo grano e non ha tenuto nulla per sé: ha rivenduto tutto. Operazione che in parte ha probabilmente fatto anche la Spagna, che è stato il primo acquirente di grano con oltre 1,8 milioni di tonnellate, seguita dalla Cina che ne ha comprati appena meno di 1,4 milioni di tonnellate. La Spagna è in testa anche negli acquisti di mais che ha usato per mangime degli animali, la stessa destinazione che gli abbiamo dato noi. I nostri acquisti più rilevanti sono infatti di granoturco - il 14% della produzione, circa 624.000 tonnellate che hanno salvato le nostre stalle - in compenso abbiamo acquistato appena il 5% di frumento. Chi si è fatto fruttare l’accordo, che peraltro ha grandemente contribuito a stilare, è stato Recep Tayyp Erdogan. La Turchia ha importato 520.000 tonnellate di frumento, il 18% dei quasi 2,9 milioni di tonnellate che l’Ucraina ha esportato in questi quattro mesi ed è seconda dietro alla Spagna. Va aggiunto che la Turchia è il terzo produttore al mondo di pasta, con 1,9 milioni di tonnellate, che confeziona mescolando farina di grano tenero e semola (da noi è vietato) e che spedisce in gran parte in Africa. Erdogan si è portato a casa anche il 10% del mais (459.000 tonnellate) e quasi 163.000 tonnellate di olio di girasole (24% del totale) ed è secondo dietro l’India per import di questo prodotto. E l’Africa che moriva di fame? In archivio. Serviva lanciare un allarme per sbloccare i porti. Altrimenti i colossi, le famose Abcd (di cui tre americane: Adams, Bunge, Cargill e una francese la Dreyfus), che intermediano il 90% dei cereali del mondo rischiavano di non fare affari.
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