
Papa Leone XIV segue costantemente e da vicino l’evolversi della situazione a Gaza, purtroppo sempre più drammatica con il procedere dell’invasione via terra e con raid aerei da parte dell’esercito israeliano. Per questo, oltre a restare in contatto con padre Gabriel Romanelli, parroco della Sacra Famiglia di Gaza - come già riferiva La Verità ieri e in questo seguendo le orme di Papa Francesco, che si sentiva con Romanelli anche nei suoi ultimi giorni -, ieri il Pontefice, chiudendo l’udienza generale del mercoledì in piazza San Pietro, ha lanciato un nuovo appello; e lo ha fatto con parole inequivocabilmente dure.
Papa Prevost ha infatti espresso, anzitutto, «vicinanza al popolo palestinese a Gaza che continua a vivere nella paura e a sopravvivere in condizioni inaccettabili, costretto con la forza a spostarsi ancora una volta dalle proprie terre».
Spingendosi oltre una semplice, benché sentita, manifestazione di «vicinanza», il pontefice statunitense ha anche formulato un monito molto forte, chiedendo il ripristino immediato del diritto internazionale e, ancor più, della riscoperta del quinto comandamento. «Davanti al Signore onnipotente che ha comandato “Non ucciderai” e al cospetto dell’intera storia umana», ha per la precisione ricordato Leone XIV, «ogni persona ha sempre una dignità inviolabile da rispettare e da custodire». Di qui l’appello a far tacere le armi e a riprendere subito la via diplomatica: «Rinnovo l’appello al cessate il fuoco, al rilascio degli ostaggi, alla soluzione diplomatica negoziata, al rispetto integrale del diritto umanitario internazionale; invito tutti a unirsi alla mia accorata preghiera affinché sorga presto un’alba di pace e di giustizia». Non è purtroppo dato sapere se queste parole sortiranno qualche effetto.
Non resta davvero sperare che quest’ennesimo appello di Papa Leone XIV - il quale sin dal suo primo affaccio su piazza San Pietro, dopo la sua elezione, aveva subito deciso di presentarsi al mondo invocando proprio la «pace disarmata e disarmante» - trovi ascolto.
A questo proposito, per provare - anche se forse è ormai tardi - a indurre il governo israeliano a fermarsi, si è mossa anche l’Europa con quello che l’Alto rappresentante Ue, Kaja Kallas, ha definito «un robusto pacchetto di sanzioni». Più precisamente, rompendo secondo più di un osservatore troppo tardivamente gli induci, la Commissione europea ha messo sul tavolo tre proposte di sanzioni: una sospensione parziale dell’accordo commerciale tra Ue e Israele - per colpire il 37% dei beni importati in Europa escluse le armi, misura che, sulla base dello scambio commerciale del 2024, si traduce in 227 milioni di euro di dazi pagati all’Ue -; delle sanzioni ai ministri israeliani estremisti Itamar Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich, a tre coloni, sei organizzazioni di coloni e 10 esponenti di Hamas; una sospensione di circa 20 milioni di fondi della Commissione europea per Israele, esclusi quelli che toccano la società civile israeliana.
Ora, i dubbi sull’efficacia di queste misure, definite dal commissario europeo per il Commercio, Maros Sefcovic «una risposta attentamente ponderata a una situazione sempre più grave», sono davvero tanti. Anzitutto perché non colpiscono gli insediamenti in Cisgiordania né l’export di armi dall’Europa, primo partner commerciale di Tel Aviv, verso lo Stato ebraico: il che appare singolare, dato che per fermare un Paese in guerra le armi, in teoria, sarebbero proprio il primo ambito sui cui fare leva.
In più, va detto che il solo provvedimento realmente operativo da subito è la sospensione dei fondi operativi: la misura meno penalizzante. Per quanto riguarda invece la sospensione parziale dell’accordo commerciale, non essendo materia esclusiva dell’Ue, serve una maggioranza qualificata in sede di Consiglio europeo; maggioranza non impossibile - a giugno già 17 Paesi avevano chiesto a Bruxelles di rivedere l’accordo in oggetto -, ma neppure scontata; molto dipenderà anche dall’atteggiamento di Germania e Italia, con il ministro degli Esteri Antonio Tajani che giorni fa aveva preso tempo, dicendosi pronto «ad ascoltare e a valutare le proposte che la Commissione europea farà al Consiglio europeo».
Utopiche paiono invece le sanzioni ai ministri e coloni, dato che in questo caso occorre l’unanimità ed esiste almeno un Paese, l’Ungheria, contraria a qualsivoglia sanzione allo Stato ebraico. Forse anche per questo a Tel Aviv non sembrano troppo impensieriti, anche se ovviamente l’iniziativa dell’Ue non è piaciuta. Il ministro degli Esteri israeliano Gideon Sa'ar, commentando su X l’iniziativa di Bruxelles, ha parlato di misure «moralmente e politicamente distorte, e c’è da sperare che non vengano adottate come è avvenuto finora». Perché se fossero davvero messe in campo le sanzioni in particolare commerciali, ha aggiunto, Sa'ar, «riceveranno una risposta adeguata» da Israele che, in ogni caso, «continuerà a lottare, con l’aiuto dei suoi amici in Europa, contro i tentativi di danneggiarlo mentre è nel mezzo di una guerra esistenziale».






