2025-04-03
Ucciso dai cittadini di Gaza il boia di Hamas che ammazzò i dissidenti anti tagliagole
Ieri altre proteste della popolazione contro i jihadisti. L’Idf intensifica gli attacchi nella Striscia, Netanyahu: «Ora cambiamo marcia». Sale la tensione tra Usa e Iran.Atene stanzia 25 miliardi per rifare la Difesa e per comprare da Gerusalemme un sistema come l’Iron dome.Lo speciale contiene due articoli.Nella Striscia di Gaza diventa sempre più tesa la situazione tra Hamas e la popolazione civile. Ieri il gruppo jihadista ha ammesso sul suo canale Telegram che lunedì uno dei responsabili degli omicidi dei sette gazawi che avevano partecipato alle proteste degli scorsi giorni è stato prima rapito e poi ammazzato in pieno giorno a colpi di arma da fuoco da alcuni uomini.Ad oggi non si sa chi siano ma, secondo quanto raccontano gli stessi uomini dell’organizzazione terroristica, i sospetti si dirigono sui familiari o amici di Uday Al Rubai, 22 anni, residente nel quartiere Tel Al Hawa di Gaza City. Al Rubai, lo scorso 29 aprile, era stato rapito dall’organizzazione terroristica dopo aver incitato alle manifestazioni e torturato brutalmente per quattro ore. Il giovane stato trascinato con una corda al collo nella città di Gaza, picchiato su tutto il corpo con mazze e spranghe di ferro davanti ai passanti e, mentre stava morendo, è stato consegnato alla sua famiglia insieme a un biglietto: «Questo è quello che succede a chi critica Hamas».Hamas, dopo il ritrovamento del cadavere del proprio miliziano, in una dichiarazione ha minacciato la popolazione: «L’uccisione di un cittadino senza giustificazione giudiziaria e da parte di soggetti non autorizzati costituisce un’uccisione extragiudiziale e richiede un’azione punitiva. Siamo in contatto con i servizi di sicurezza per adottare una serie di misure volte a mantenere la stabilità sul fronte interno, data la difficoltà di far rispettare la legge, gli attacchi deliberati e le persecuzioni in corso da parte del nemico». La popolazione, però, pare non dare ascolto alle minacce e ieri pomeriggio centinaia di cittadini di Beit Lahia (Nord di Gaza) hanno di nuovo protestato per chiedere la fine della guerra e l’espulsione di Hamas.Sempre nella giornata di ieri, il ministro della Difesa israeliano, Israel Katz, ha annunciato l’espansione dell’operazione militare nella Striscia di Gaza preceduta da una serie di attacchi notturni. L’Idf ha confermato che aviazione e artiglieria hanno colpito obiettivi legati ad Hamas in più punti della Striscia. L’offensiva di terra prevede l’evacuazione su larga scala dei civili dalle aree interessate dai combattimenti, la neutralizzazione di Hamas e delle sue infrastrutture e l’occupazione di nuovi territori, che saranno integrati nelle zone di sicurezza israeliane per proteggere militari e comunità civili.«Invito i residenti di Gaza ad agire ora per rimuovere Hamas e restituire tutti gli ostaggi. Questo è l’unico modo per porre fine alla guerra», ha dichiarato Katz. L’Idf e lo Shin Bet hanno detto in una dichiarazione congiunta di aver effettuato un attacco contro gli operativi terroristici di Hamas nell’area di Jabalia dopo aver avvisato per tempo i civili. I media palestinesi hanno riferito di almeno dieci morti nell’attacco e hanno affermato che l’obiettivo era una clinica dell’Unrwa.Ma perché una clinica dell’Onu è stata oggetto di un attacco israeliano? L’Idf ha reso noto che era usato come base terroristica: «Gli agenti si trovavano in un complesso di comando e controllo che fungeva da infrastruttura terroristica e da punto di incontro centrale per l’organizzazione terroristica. Inoltre, l’edificio è stato utilizzato dal battaglione Jabalia per portare avanti i piani di attacco contro i civili israeliani e le forze dell’Idf». Benjamin Netanyahu ha rilasciato una dichiarazione sulle intensificazioni delle operazioni israeliane nella Striscia di Gaza e ha annunciato che Israele assumerà il controllo di un ulteriore corridoio: «Nella Striscia di Gaza abbiamo cambiato marcia. L’Idf sta prendendo territorio, colpendo i terroristi e distruggendo infrastrutture. E noi stiamo facendo qualcos’altro: stiamo prendendo il Corridoio Morag», che è situato tra Rafah e Khan Yunis.Sale sempre di più la tensione tra Stati Uniti, Israele e Iran dopo che la leadership di Teheran non ha dato seguito alle richieste di Donald Trump (appoggiate da molti Paesi dell’area, uno su tutti l’Arabia Saudita) che non intende consentire agli iraniani di dotarsi di armi nucleari. In tal senso Emmanuel Macron ha chiesto la convocazione di una riunione straordinaria del Gabinetto di sicurezza sul programma nucleare iraniano e sulla possibilità che gli Stati Uniti e Israele attacchino i suoi impianti nucleari. Il segretario alla Difesa degli Stati Uniti, Pete Hegseth, ha disposto il dispiegamento di ulteriori aerei da guerra per potenziare la presenza navale del Pentagono in Medio Oriente, secondo quanto dichiarato martedì dallo stesso dipartimento della Difesa. Sebbene la nota ufficiale menzionasse solo genericamente il rafforzamento delle forze aeree, fonti statunitensi che hanno parlato con Reuters a condizione di anonimato hanno riferito che almeno quattro bombardieri B-2 sono stati trasferiti in una base militare congiunta anglo-americana sull’isola di Diego Garcia, nell’Oceano Indiano - una posizione strategica da cui è possibile raggiungere rapidamente lo Yemen o l’Iran.Secondo Bloomberg, Hegseth ha anche ordinato al gruppo d’attacco della portaerei Carl Vinson di dirigersi nella regione: la nave arriverà dopo aver completato le esercitazioni nell’Indo-Pacifico. Inoltre «il dipartimento sta prolungando il dispiegamento del gruppo d’attacco della portaerei Harry Truman nella regione», ha affermato il portavoce del Pentagono, Sean Parnell. Tutto lascia presagire che qualcosa di grosso sia in preparazione magari prima nello Yemen e poi in Iran.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/ucciso-cittadini-gaza-boia-hamas-2671665919.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-grecia-copia-israele-e-fa-lo-scudo-dachille" data-post-id="2671665919" data-published-at="1743661114" data-use-pagination="False"> La Grecia copia Israele e fa lo Scudo d’Achille L’Unione europea ha esortato tutti i suoi Stati membri a riarmarsi. E la Grecia ha risposto all’appello. Ieri, durante la riunione plenaria del Parlamento di Atene, il premier Kyriakos Mitsotakis ha annunciato un maxi stanziamento di 25 miliardi di euro per la Difesa. «Il prezzo della libertà è la vigilanza costante, diceva Thomas Jefferson», è stato l’incipit del suo lungo discorso in cui ha spiegato ai deputati l’ambizioso piano di riarmo della Grecia. Per una nazione di soli 10 milioni di abitanti, in effetti, si tratta di un investimento molto consistente. Anzi, come ha specificato con enfasi lo stesso Mitsotakis, si parla nientemeno che della «più drastica trasformazione delle forze armate nella storia moderna». Illustrando i dettagli del progetto, il primo ministro ha dichiarato che questo vasto potenziamento della Difesa è necessario per «rimanere forti e indipendenti in un mondo che cambia a ritmi imprevedibili» e «in un contesto internazionale incerto». L’obiettivo del governo, ha proseguito Mitsotakis, «è che la Grecia disponga in pochi anni di uno dei sistemi di difesa più avanzati d’Europa». Secondo il quotidiano ellenico Kathimerini, il piano avrà una durata di 12 anni. Questi 25 miliardi, peraltro, saranno stanziati dopo che la Grecia ha già raddoppiato le spese ordinarie per la Difesa, portandole quest’anno a oltre 6 miliardi di euro. Senza contare che, come ha rivendicato Mitsotakis in Parlamento, «per la prima volta in 14 anni, gli ufficiali delle forze armate hanno visto aumentare i loro stipendi e i loro benefit». Un’attenzione, quella per la Difesa, che non è affatto una novità per Atene, che da tempo destina al settore più del 3% del proprio Pil. E la motivazione è anche semplice da intuire: la minacciosa vicinanza della Turchia, rivale storica della Grecia, che nel frattempo ha allestito il secondo esercito più forte della Nato dopo quello degli Stati Uniti. «La filosofia del nuovo programma», ha poi spiegato Mitsotakis, «riguarda innanzitutto l’introduzione di nuove tecnologie. Ciò che chiamavamo “Difesa” significa molto più che semplice sorveglianza delle frontiere: vi rientrano le minacce ibride come i flussi migratori, campagne di disinformazione, attacchi informatici». Oltre a specificare che il progetto di riarmo non comporterà «eccessi di spesa», il premier ellenico ha sottolineato che un altro punto caratterizzante del piano sarà «la partecipazione dell’industria greca del settore a tutti i programmi che il ministero della Difesa avvierà nei prossimi anni». La volontà di potenziare la propria industria domestica, tuttavia, non esclude per il momento il ricorso ad armamenti stranieri. Per quanto riguarda la marina militare, ad esempio, il quotidiano Kathimerini ha rivelato che il governo di Atene starebbe trattando l’acquisto di due fregate Fremm italiane, ossia la Virginio Fasan (F 591) e la Carlo Bergamini (F 590), per cui sarebbe stato stanziato un budget di 580 milioni di euro. Ma uno dei punti più interessanti del piano di riarmo, che non a caso Mitsotakis ha definito come «il progetto più emblematico», riguarda senz’altro l’allestimento di un sistema di difesa aerea all’avanguardia. Il premier ne ha già svelato il nome: si chiamerà «Scudo di Achille», costerà circa 2,8 miliardi di euro e, pertanto, sarà «probabilmente il più significativo investimento dei prossimi anni». Stando sempre a Kathimerini, questo scudo dagli echi omerici sarà dotato delle più sofisticate tecnologie anti drone, antiaeree e antimissile balistico. Una sorta di Iron dome in salsa ellenica. E, infatti, non è un caso che lo Scudo di Achille sarà prodotto proprio da aziende israeliane (si parla di Iai, Rafael ed Elbit), che doteranno le forze armate greche di sistemi missilistici terra-aria ad alto, medio e corto raggio (Hsam, Msam), oltre a una rete radar avanzata. L’annuncio di Mitsotakis, del resto, è arrivato poco dopo la sua recente visita a Gerusalemme, dove ha discusso con Benjamin Netanyahu di progetti di produzione congiunta di armi tra Grecia e Israele.
Nicola Pietrangeli (Getty Images)
Gianni Tessari, presidente del consorzio uva Durella
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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Mark Zuckerberg (Getty Images)