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2020-12-07
Tutti i dubbi sui vaccini Ogm
Ansa
Sarà gratis, la priorità l'avranno il personale medico-sanitario e gli anziani, saranno a disposizione 202 milioni di dosi ed è probabile che a ciascuna persona ne serviranno 2 a distanza di qualche tempo, i primi arriveranno a gennaio. L'operazione non sarà obbligatoria, almeno per il momento. Sono queste le uniche certezze che abbiamo sulla vaccinazione contro il Covid. La campagna inizierà a gennaio per completarsi a fine anno. Due sono le case farmaceutiche che per prime metteranno a disposizione il vaccino: il 20 dicembre la Pfizer e il 12 gennaio Moderna. Da queste aziende avremo rispettivamente 8 milioni e 1,346 milioni di dosi. Per i vaccini che necessitano di catena del freddo standard ci sarà un sito nazionale di stoccaggio e siti territoriali.
Nella fase iniziale le vaccinazioni saranno centralizzate negli ospedali o con unità mobili. Serviranno circa 20.000 persone e quindi oltre ai medici saranno chiamati a partecipare anche gli specializzandi. A parte questi titoli sciorinati dal ministro della Salute, Roberto Speranza, nulla si sa su come l'operazione vaccini sarà organizzata a livello territoriale. Non sono state ancora comunicate le strutture, a cominciare dagli ospedali, in grado di conservare il vaccino Pfizer, il primo ad arrivare e quello più delicato da gestire dal momento che va tenuto a meno 75 gradi. E sono ancora tanti i punti oscuri e gli interrogativi di questa vaccinazione di massa.
Innanzitutto, che cosa sappiamo dei due farmaci Pfizer e Moderna, che stanno per arrivare sul mercato? Sappiamo che sono il frutto di una tecnologia avanzata e che dovrebbero rappresentare un salto rispetto ai tradizionali vaccini. Ma proprio perché è un prodotto innovativo ci saremmo aspettati una maggiore trasparenza e più dati sui risultati della sperimentazione. Enrico Bucci, Ph.D. in biochimica e biologia molecolare, professore aggiunto alla Temple University di Philadelphia, in un post sul suo profilo Facebook ironizza sui risultati sbandierati dalle industrie del farmaco. «Le comunicazioni di percentuali di efficacia sono numeri a lotto, sia per motivi tecnici, perché basate su campioni troppo piccoli e quindi corredate di un intervallo di incertezza molto ampio, sia per motivi concreti, perché nessun numero è stato fornito alle autorità regolatorie, come Ema (European medicines agency, Agenzia europea del farmaco, ndr), per poter effettuare un calcolo. Vanno dunque intese per ciò che sono: messaggi ottimistici agli investitori e ai concorrenti, quando provengono dalle aziende, e agli elettori e cittadini, quando provengono dai politici».
Un interrogativo è la durata della copertura dal virus. L'antinfluenzale dura meno di un anno. Non è noto se il vaccino protegge dalle complicanze del Covid e se i soggetti vaccinati che si sono ammalati hanno avuto un decorso della malattia meno grave rispetto ai soggetti non vaccinati che si sono ammalati. Punto interrogativo anche sul grado di protezione per gli anziani. Il vaccino riuscirà a proteggerli allo stesso modo dei giovani? Inoltre sempre riguardo agli anziani, dal momento che si richiedono due dosi, non c'è il rischio che non possano essere tollerate se il paziente ha anche altre patologie, cosa non rara con l'età avanzata?
È un altro interrogativo ancora senza risposta: e se chi si immunizza diventa poi un portatore sano? L'obiettivo dei governi è la cosiddetta immunità di gregge, ma questo traguardo potrebbe allontanarsi se chi è stato vaccinato dovesse diventare un portatore sano o asintomatico, cioè un individuo infettato dall'agente patogeno trasmissibile che però non presenta sintomi della malattia.
Finora ci sono state solo dichiarazioni alla stampa, ma manca una pubblicazione scientifica in grado di chiarire questi dubbi.
Tant'è che diverse associazioni di medici e infermieri negli Stati Uniti hanno fatto sapere che supporteranno la vaccinazione soltanto quando avranno a disposizione precisi dati scientifici.
È il tema più controverso che ha scatenato subito il partito dei cospirazionisti e dei No vax. Sappiamo che i vaccini contro il Covid sono ottenuti con tecnologie avanzate ma, senza entrare nel ginepraio delle polemiche sull'ingegneria genetica, vale comunque la pena ricordare che a luglio la Commissione europea ha proposto un regolamento per derogare ad alcune disposizioni della direttiva sugli organismi geneticamente modificati (Ogm) per le sperimentazioni cliniche e sui trattamenti che contengono o sono costituiti da Ogm. «Alcuni vaccini», si legge sul sito del Parlamento europeo, «e trattamenti anti Covid già in fase di sviluppo possono essere definiti Ogm e sono quindi coperti dalle direttive Ue sugli Ogm». La deroga, si precisa, sarà temporanea e legata alla pandemia.
In Gran Bretagna il Comitato congiunto per la vaccinazione e l'immunizzazione ha sconsigliato la somministrazione alle donne in gravidanza. Su Clinical Trial, un database di studi clinici finanziati con fondi pubblici e privati condotti in tutto il mondo, è comparso un report di Moderna su una sperimentazione del vaccino che esclude le donne in gravidanza. Non solo quelle in evidente stato interessante. Per accedere alla sperimentazione bisognava astenersi da rapporti sessuali 28 giorni prima della dose e continuare la contraccezione nei 3 mesi successivi alla seconda dose. Per gli uomini valeva la restrizione di aver praticato la contraccezione e di essersi astenuti da rapporti sessuali dal momento della prima dose e fino a 3 mesi dopo la seconda dose. Questo lascia intendere che chi invece non si trova in tale condizione non è stato testato. Quindi che cosa succede se si viene vaccinati in una situazione di gravidanza iniziale? O si hanno avuti rapporti sessuali?
La contrattazione per l'acquisto dei vaccini fa capo alla Ue. Al momento la Commissione non ha fornito i contenuti dei contratti stipulati: la mancanza di trasparenza è uno dei maggiori limiti di tutta l'operazione vaccini anti Covid. Pertanto, non si conoscono il costo sostenuto e in quali situazioni scatta la responsabilità con obbligo di indennizzo in caso di effetti collaterali non previsti. Chi si ammala a chi potrà rivolgersi per ottenere un risarcimento? L'Agenzia italiana del farmaco, interpellata sul tema della responsabilità di eventuali effetti collaterali, ha spiegato che «come per qualunque altro vaccino la responsabilità è in capo all'azienda farmaceutica, tranne che per le reazioni avverse indicate nel foglio illustrativo, come previsto dalla legge». Ma sono proprio le reazioni avverse l'oggetto del mistero. E a pagare potrebbero essere chiamati anche gli Stati che hanno contribuito a finanziare le ricerche.
Infine, non ha ancora una risposta chiara l'interrogativo su che cosa accadrà se non si raggiungerà l'obiettivo dell'immunità di gregge, se cioè oltre il 70% della popolazione non si vaccina. Il farmaco potrebbe diventare obbligatorio in modo più o meno esplicito. Per esempio, potrebbe essere reso obbligatorio il rilascio di una sorta di passaporto sanitario per spostarsi liberamente anche all'estero. Così il vaccino non obbligatorio lo diventa per vie traverse.
I timori di esperti, medici, infermieri: «Fretta eccessiva. Così è una follia»
Febbre alta, eruzioni cutanee, mal di testa, vomito, forte sensazione di stanchezza al punto da non potersi alzare dal letto per oltre due giorni. Sono gli effetti della vaccinazione contro il Covid, così come risultano dalle testimonianze di chi si è sottoposto al test, raccolte da riviste scientifiche e da alcuni giornali americani. Degli effetti a medio e lungo termine non si sa nulla. Ci sono dichiarazioni ma nessun dato pubblicato.
La rivista americana Science riporta la testimonianza di un biologo quarantenne, Luke Hutchison, che si è offerto volontario per una sperimentazione del vaccino di Moderna. Dopo aver ricevuto la seconda iniezione, un braccio si è gonfiato «come un uovo», riferisce Hutchison che ha fornito anche una foto dell'arto arrossato. Nel giro di poche ore dopo la somministrazione del farmaco, ha avuto la febbre alta oltre 39 gradi, accompagnata da forti dolori muscolari e alle ossa: «Ho cominciato a tremare e ho passato la notte davanti al telefono nell'incertezza se chiamare l'ambulanza». I sintomi di Hutchison si sono risolti dopo 12 ore.
Bernice Hausman, esperta di controversie sui vaccini al College of medicine della Pennsylvania State University, ancora su Science ha sollevato il problema di come supportare le persone con reazioni serie. Hausman richiama l'attenzione su strutture in grado non solo di effettuare la vaccinazione ma anche di assistere i vaccinati. C'è la testimonianza di Ian Haydon, che ha ricevuto la dose più alta del vaccino Moderna nella prima sperimentazione umana. Riferisce di aver avuto brividi e mal di testa, dolori muscolari, stanchezza, nausea e febbre alta a 39,6 gradi. È stato sottoposto a cure urgenti e in seguito ha vomitato ed è svenuto prima che i sintomi si ritirassero, circa 24 ore dopo. Haydon dice che la sua esperienza è stata «un piccolo prezzo da pagare» per la possibilità di tornare alla vita normale.
Su Scientific American è comparso un articolo di William Aseltine, scienziato noto per gli studi sull'Hiv e sul genoma umano, professore all'Harvard medical school, che mette in guardia dal rischio di avere fretta nello sfornare un vaccino. Fattori come l'età influiscono sulla risposta alla copertura contro il virus: «Più invecchiamo, peggiore è la capacità di rispondere ai vaccini. La resistenza alla vaccinazione inizia sui 30 anni e diventa progressivamente più profonda con il tempo. E con il Covid gli over 60 sono la popolazione più a rischio. La vaccinazione degli anziani a volte può avere successo somministrando dosi ripetute e aumentando la potenza del vaccino con adiuvanti che però possono essere rischiosi per chi è in età avanzata». Aseltine definisce una «follia affrettarsi per un vaccino nel 2020 se è probabile che abbia solo un beneficio limitato per la popolazione più bisognosa e potrebbe mettere a rischio persone altrimenti sane».
Lo scienziato mette in guardia dal rischio che effetti collaterali possano incrinare la fiducia in altri vaccini salvavita: «Vale la pena aspettare un vaccino sicuro, efficace per tutti coloro che sono a rischio, soprattutto quando abbiamo altre soluzioni in mano. Sappiamo dall'esperienza dei Paesi asiatici che l'epidemia può essere fermata con misure di salute pubblica di base: test diffusi, tracciamento dei contatti e quarantena controllata obbligatoria, non necessariamente in una struttura sanitaria pubblica, ma nelle case con supervisione virtuale. Questi sforzi da soli potrebbero portare le nuove infezioni quasi a zero in poche settimane».
Il Clinical Trials, un registro di studi clinici, il più grande database di sperimentazioni cliniche, riporta un articolo del giornalista inglese Reynald Castaneda, specializzato in temi scientifici, nel quale ci sono interventi di esperti perplessi sulla fretta con cui la casa farmaceutica AstraZeneca ha riavviato le sperimentazioni dopo che due volontari hanno avuto gravi effetti neurologici. Un editoriale sul British medical journal denuncia la scarsa trasparenza nei risultati dei test mentre il Washington Post riferisce che tra medici e infermieri ci sono molte perplessità sul vaccino: prima di sostenerlo, vogliono più dati sulla sperimentazione. La diffidenza sarebbe tale che molti di loro hanno detto chiaramente che non saranno in prima fila a farsi vaccinare.
Secondo un rapporto di ricercatori dell'Università della California, il 66% degli operatori sanitari di Los Angeles intende aspettare prima di farsi vaccinare mentre da un sondaggio dell'American nurses association, un'organizzazione nazionale di infermiere, è emerso che un terzo dei membri non ha intenzione di vaccinarsi e un altro terzo è indeciso. A Boston i principali ospedali universitari stanno lanciando video informativi rivolti al personale medico per convincerli dell'efficacia del farmaco. Un report del Pew Research Center ha rilevato che solo il 51% degli statunitensi è disponibile a farsi vaccinare e il 19% ha fiducia che il processo di sviluppo del vaccino produrrà un prodotto sicuro ed efficace.
«Ancora troppi segreti sul contratto tra Ue e aziende farmaceutiche»
La Commissione europea ha firmato 5 contratti con altrettante case farmaceutiche per l'acquisto dei vaccini, ma finora il contenuto è rimasto segreto. Sollecitata dalle interrogazioni parlamentari la Commissione si è rifiutata di fornire qualsiasi informazione su tali accordi, sul prezzo e soprattutto sulle responsabilità qualora emergessero effetti collaterali imprevisti. È avvolto dal mistero il vaccino contro il Covid, più di un segreto di Stato, nonostante ci siano in gioco milioni di vite umane. L'europarlamentare belga Marc Botenga ha cercato di aprire una breccia in questo muro di silenzio, ma finora senza esito. Le sue interrogazioni parlamentari sono cadute nel vuoto, hanno ricevuto risposte generiche e un secco rifiuto quando ha cercato di andare più a fondo. Il Financial Times ha scritto che la lobby dei vaccini dell'industria farmaceutica ha fatto pressing sulla Ue per essere esentata da azioni legali in caso di effetti collaterali. Da Bruxelles, Botenga spiega alla Verità che cosa è riuscito a sapere sulle clausole di responsabilità civile contenute nei contratti tra la Ue e le case farmaceutiche.
Chi paga se le cose dovessero andare storte, se nel medio e lungo termine emergessero effetti collaterali seri dalle vaccinazioni?
«A settembre scorso il capo della Direzione generale per la salute e la sicurezza alimentare, Sandra Gallina, in un'audizione parlamentare disse che le aziende farmaceutiche sarebbero civilmente responsabili per qualsiasi difetto del vaccino, ma potrebbero evitare di pagare un indennizzo nel caso dei cosiddetti “difetti nascosti". Nell'interrogazione ho chiesto alla Commissione di specificare come e da chi verrebbero definiti i “difetti nascosti" e se la Commissione poteva indicare casi concreti in cui le società farmaceutiche sono esentate in tutto o in parte dal pagamento dell'indennizzo. Infine, ho chiesto se gli Stati membri saranno costretti a risarcire i danneggiati al posto delle industrie del farmaco».
Che cosa ha risposto la Commissione? Chi è responsabile se il vaccino provoca danni e chi risarcisce?
«Il commissario Ue per la Salute, Stella Kyriakides, ha risposto che nei contratti definiti dalla Commissione europea con le aziende farmaceutiche è previsto l'obbligo da parte degli Stati membri di pagare un indennizzo per effetti collaterali che non si possono prevedere. In base alla direttiva sulla responsabilità del prodotto, ha ricordato Kyriakides, il produttore non è responsabile se dimostra che lo stato delle conoscenze scientifiche e tecniche al momento in cui è stato messo in circolazione il prodotto non era tale da consentire la scoperta di un difetto. Quindi se la società non è ritenuta responsabile, non è costretta a pagare il risarcimento. E la responsabilità dovrà essere evidente. Qualsiasi difetto, mi ha detto Kyriakides, dovrà essere accertato davanti al tribunale competente con una prova del danno, del difetto e della relazione causale tra difetto e danno. Sarà molto, molto difficile inchiodare le industrie farmaceutiche alle loro responsabilità. Ma c'è di più. Non solo i produttori di vaccino non pagheranno per gli eventuali effetti collaterali, ma riceveranno soldi dagli Stati a titolo di copertura di possibili cause legali».
Vuol dire che le aziende farmaceutiche oltre a lavarsi le mani di eventuali danni provocati dal vaccino, riceveranno un indennizzo dai governi?
«Proprio così. Nella risposta all'interrogazione il commissario Kyriakides mi scrive questo: gli accordi di acquisto anticipato dei vaccini Covid prevedono che gli Stati membri indennizzino il produttore per eventuali responsabilità sostenute solo a determinate condizioni stabilite nell'accordo. In tutte le altre condizioni non definite negli accordi, gli Stati membri non saranno obbligati a indennizzare il produttore. Ovvero gli Stati farebbero da polizza assicuratrice».
La Commissione ha fatto accordi con le industrie farmaceutiche nei quali sono stabiliti una serie di condizioni. Quali?
«Qui cominciano i segreti. Alla mia richiesta di conoscere i contenuti degli accordi, cioè le condizioni di acquisto e il prezzo…».
È calata la cortina di silenzio?
«Peggio. Mi è stato risposto che c'è il segreto commerciale. Ma questo dovrebbe riguardare informazioni sensibili per l'azienda, non le condizioni e il prezzo sui quali sarebbe necessaria la massima trasparenza».
Lei ha chiesto a quale prezzo l'Europa acquisterà i vaccini?
«Mi è stato risposto con un “no comment"».
Che idea si è fatto di questi accordi?
«La Commissione sta negoziando i contratti velocemente e non sono sicuro che lo stia facendo nel migliore dei modi».
C'è qualche altra cosa che non la convince?
«Nella squadra dei negoziatori della Commissione Ue c'è Richard Bergstrom, fino al 2016 a capo dell'Efpia, la lobby farmaceutica europea, quindi un personaggio che è in totale conflitto di interessi. L'agenzia di stampa Reuters ha calcolato, prendendo a riferimento i prezzi praticati sui vaccini negli Usa, che i prodotti di Pfizer e Moderna potrebbero costare all'Europa oltre 10 miliardi di euro. Certo, alla fine, sui prezzi ci sarà un controllo della Corte dei conti europea, ma prima che questo avvenga passerà molto».
Come mai il silenzio su quanto la Commissione pagherà le dosi?
«Potrebbero voler nascondere che pagano troppo. Guardate quello che è successo con il Remdesivir, l'antivirale usato contro il Covid. La Ue aveva contrattato un accordo quadro di 1 miliardo a inizio ottobre per 500.000 trattamenti anche se il 23 settembre l'Oms aveva detto che il farmaco non funzionava. Si è fatta buggerare, o lo sapeva ed è andata avanti lo stesso?».
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Sono tante le domande sulla somministrazione dell'antidoto al Covid-19. Pochi dati e scarsa trasparenza per un'operazione le cui percentuali di efficacia sembrano «numeri dati al lotto».Le riviste scientifiche americane hanno riportato le testimonianze delle prime «cavie» cui è stato iniettato il farmaco: febbre alta, mal di testa, vomito, stress. E la metà degli statunitensi non vuole farsi vaccinare.L'eurodeputato belga Marc Botenga: «In caso di "difetti nascosti" a pagare i risarcimenti ai malati non saranno le Big Pharma, ma gli Stati».Lo speciale contiene tre articoli.Sarà gratis, la priorità l'avranno il personale medico-sanitario e gli anziani, saranno a disposizione 202 milioni di dosi ed è probabile che a ciascuna persona ne serviranno 2 a distanza di qualche tempo, i primi arriveranno a gennaio. L'operazione non sarà obbligatoria, almeno per il momento. Sono queste le uniche certezze che abbiamo sulla vaccinazione contro il Covid. La campagna inizierà a gennaio per completarsi a fine anno. Due sono le case farmaceutiche che per prime metteranno a disposizione il vaccino: il 20 dicembre la Pfizer e il 12 gennaio Moderna. Da queste aziende avremo rispettivamente 8 milioni e 1,346 milioni di dosi. Per i vaccini che necessitano di catena del freddo standard ci sarà un sito nazionale di stoccaggio e siti territoriali. Nella fase iniziale le vaccinazioni saranno centralizzate negli ospedali o con unità mobili. Serviranno circa 20.000 persone e quindi oltre ai medici saranno chiamati a partecipare anche gli specializzandi. A parte questi titoli sciorinati dal ministro della Salute, Roberto Speranza, nulla si sa su come l'operazione vaccini sarà organizzata a livello territoriale. Non sono state ancora comunicate le strutture, a cominciare dagli ospedali, in grado di conservare il vaccino Pfizer, il primo ad arrivare e quello più delicato da gestire dal momento che va tenuto a meno 75 gradi. E sono ancora tanti i punti oscuri e gli interrogativi di questa vaccinazione di massa.Innanzitutto, che cosa sappiamo dei due farmaci Pfizer e Moderna, che stanno per arrivare sul mercato? Sappiamo che sono il frutto di una tecnologia avanzata e che dovrebbero rappresentare un salto rispetto ai tradizionali vaccini. Ma proprio perché è un prodotto innovativo ci saremmo aspettati una maggiore trasparenza e più dati sui risultati della sperimentazione. Enrico Bucci, Ph.D. in biochimica e biologia molecolare, professore aggiunto alla Temple University di Philadelphia, in un post sul suo profilo Facebook ironizza sui risultati sbandierati dalle industrie del farmaco. «Le comunicazioni di percentuali di efficacia sono numeri a lotto, sia per motivi tecnici, perché basate su campioni troppo piccoli e quindi corredate di un intervallo di incertezza molto ampio, sia per motivi concreti, perché nessun numero è stato fornito alle autorità regolatorie, come Ema (European medicines agency, Agenzia europea del farmaco, ndr), per poter effettuare un calcolo. Vanno dunque intese per ciò che sono: messaggi ottimistici agli investitori e ai concorrenti, quando provengono dalle aziende, e agli elettori e cittadini, quando provengono dai politici».Un interrogativo è la durata della copertura dal virus. L'antinfluenzale dura meno di un anno. Non è noto se il vaccino protegge dalle complicanze del Covid e se i soggetti vaccinati che si sono ammalati hanno avuto un decorso della malattia meno grave rispetto ai soggetti non vaccinati che si sono ammalati. Punto interrogativo anche sul grado di protezione per gli anziani. Il vaccino riuscirà a proteggerli allo stesso modo dei giovani? Inoltre sempre riguardo agli anziani, dal momento che si richiedono due dosi, non c'è il rischio che non possano essere tollerate se il paziente ha anche altre patologie, cosa non rara con l'età avanzata?È un altro interrogativo ancora senza risposta: e se chi si immunizza diventa poi un portatore sano? L'obiettivo dei governi è la cosiddetta immunità di gregge, ma questo traguardo potrebbe allontanarsi se chi è stato vaccinato dovesse diventare un portatore sano o asintomatico, cioè un individuo infettato dall'agente patogeno trasmissibile che però non presenta sintomi della malattia.Finora ci sono state solo dichiarazioni alla stampa, ma manca una pubblicazione scientifica in grado di chiarire questi dubbi.Tant'è che diverse associazioni di medici e infermieri negli Stati Uniti hanno fatto sapere che supporteranno la vaccinazione soltanto quando avranno a disposizione precisi dati scientifici.È il tema più controverso che ha scatenato subito il partito dei cospirazionisti e dei No vax. Sappiamo che i vaccini contro il Covid sono ottenuti con tecnologie avanzate ma, senza entrare nel ginepraio delle polemiche sull'ingegneria genetica, vale comunque la pena ricordare che a luglio la Commissione europea ha proposto un regolamento per derogare ad alcune disposizioni della direttiva sugli organismi geneticamente modificati (Ogm) per le sperimentazioni cliniche e sui trattamenti che contengono o sono costituiti da Ogm. «Alcuni vaccini», si legge sul sito del Parlamento europeo, «e trattamenti anti Covid già in fase di sviluppo possono essere definiti Ogm e sono quindi coperti dalle direttive Ue sugli Ogm». La deroga, si precisa, sarà temporanea e legata alla pandemia.In Gran Bretagna il Comitato congiunto per la vaccinazione e l'immunizzazione ha sconsigliato la somministrazione alle donne in gravidanza. Su Clinical Trial, un database di studi clinici finanziati con fondi pubblici e privati condotti in tutto il mondo, è comparso un report di Moderna su una sperimentazione del vaccino che esclude le donne in gravidanza. Non solo quelle in evidente stato interessante. Per accedere alla sperimentazione bisognava astenersi da rapporti sessuali 28 giorni prima della dose e continuare la contraccezione nei 3 mesi successivi alla seconda dose. Per gli uomini valeva la restrizione di aver praticato la contraccezione e di essersi astenuti da rapporti sessuali dal momento della prima dose e fino a 3 mesi dopo la seconda dose. Questo lascia intendere che chi invece non si trova in tale condizione non è stato testato. Quindi che cosa succede se si viene vaccinati in una situazione di gravidanza iniziale? O si hanno avuti rapporti sessuali?La contrattazione per l'acquisto dei vaccini fa capo alla Ue. Al momento la Commissione non ha fornito i contenuti dei contratti stipulati: la mancanza di trasparenza è uno dei maggiori limiti di tutta l'operazione vaccini anti Covid. Pertanto, non si conoscono il costo sostenuto e in quali situazioni scatta la responsabilità con obbligo di indennizzo in caso di effetti collaterali non previsti. Chi si ammala a chi potrà rivolgersi per ottenere un risarcimento? L'Agenzia italiana del farmaco, interpellata sul tema della responsabilità di eventuali effetti collaterali, ha spiegato che «come per qualunque altro vaccino la responsabilità è in capo all'azienda farmaceutica, tranne che per le reazioni avverse indicate nel foglio illustrativo, come previsto dalla legge». Ma sono proprio le reazioni avverse l'oggetto del mistero. E a pagare potrebbero essere chiamati anche gli Stati che hanno contribuito a finanziare le ricerche.Infine, non ha ancora una risposta chiara l'interrogativo su che cosa accadrà se non si raggiungerà l'obiettivo dell'immunità di gregge, se cioè oltre il 70% della popolazione non si vaccina. Il farmaco potrebbe diventare obbligatorio in modo più o meno esplicito. Per esempio, potrebbe essere reso obbligatorio il rilascio di una sorta di passaporto sanitario per spostarsi liberamente anche all'estero. 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La rivista americana Science riporta la testimonianza di un biologo quarantenne, Luke Hutchison, che si è offerto volontario per una sperimentazione del vaccino di Moderna. Dopo aver ricevuto la seconda iniezione, un braccio si è gonfiato «come un uovo», riferisce Hutchison che ha fornito anche una foto dell'arto arrossato. Nel giro di poche ore dopo la somministrazione del farmaco, ha avuto la febbre alta oltre 39 gradi, accompagnata da forti dolori muscolari e alle ossa: «Ho cominciato a tremare e ho passato la notte davanti al telefono nell'incertezza se chiamare l'ambulanza». I sintomi di Hutchison si sono risolti dopo 12 ore. Bernice Hausman, esperta di controversie sui vaccini al College of medicine della Pennsylvania State University, ancora su Science ha sollevato il problema di come supportare le persone con reazioni serie. Hausman richiama l'attenzione su strutture in grado non solo di effettuare la vaccinazione ma anche di assistere i vaccinati. C'è la testimonianza di Ian Haydon, che ha ricevuto la dose più alta del vaccino Moderna nella prima sperimentazione umana. Riferisce di aver avuto brividi e mal di testa, dolori muscolari, stanchezza, nausea e febbre alta a 39,6 gradi. È stato sottoposto a cure urgenti e in seguito ha vomitato ed è svenuto prima che i sintomi si ritirassero, circa 24 ore dopo. Haydon dice che la sua esperienza è stata «un piccolo prezzo da pagare» per la possibilità di tornare alla vita normale. Su Scientific American è comparso un articolo di William Aseltine, scienziato noto per gli studi sull'Hiv e sul genoma umano, professore all'Harvard medical school, che mette in guardia dal rischio di avere fretta nello sfornare un vaccino. Fattori come l'età influiscono sulla risposta alla copertura contro il virus: «Più invecchiamo, peggiore è la capacità di rispondere ai vaccini. La resistenza alla vaccinazione inizia sui 30 anni e diventa progressivamente più profonda con il tempo. E con il Covid gli over 60 sono la popolazione più a rischio. La vaccinazione degli anziani a volte può avere successo somministrando dosi ripetute e aumentando la potenza del vaccino con adiuvanti che però possono essere rischiosi per chi è in età avanzata». Aseltine definisce una «follia affrettarsi per un vaccino nel 2020 se è probabile che abbia solo un beneficio limitato per la popolazione più bisognosa e potrebbe mettere a rischio persone altrimenti sane». Lo scienziato mette in guardia dal rischio che effetti collaterali possano incrinare la fiducia in altri vaccini salvavita: «Vale la pena aspettare un vaccino sicuro, efficace per tutti coloro che sono a rischio, soprattutto quando abbiamo altre soluzioni in mano. Sappiamo dall'esperienza dei Paesi asiatici che l'epidemia può essere fermata con misure di salute pubblica di base: test diffusi, tracciamento dei contatti e quarantena controllata obbligatoria, non necessariamente in una struttura sanitaria pubblica, ma nelle case con supervisione virtuale. Questi sforzi da soli potrebbero portare le nuove infezioni quasi a zero in poche settimane». Il Clinical Trials, un registro di studi clinici, il più grande database di sperimentazioni cliniche, riporta un articolo del giornalista inglese Reynald Castaneda, specializzato in temi scientifici, nel quale ci sono interventi di esperti perplessi sulla fretta con cui la casa farmaceutica AstraZeneca ha riavviato le sperimentazioni dopo che due volontari hanno avuto gravi effetti neurologici. Un editoriale sul British medical journal denuncia la scarsa trasparenza nei risultati dei test mentre il Washington Post riferisce che tra medici e infermieri ci sono molte perplessità sul vaccino: prima di sostenerlo, vogliono più dati sulla sperimentazione. La diffidenza sarebbe tale che molti di loro hanno detto chiaramente che non saranno in prima fila a farsi vaccinare. Secondo un rapporto di ricercatori dell'Università della California, il 66% degli operatori sanitari di Los Angeles intende aspettare prima di farsi vaccinare mentre da un sondaggio dell'American nurses association, un'organizzazione nazionale di infermiere, è emerso che un terzo dei membri non ha intenzione di vaccinarsi e un altro terzo è indeciso. A Boston i principali ospedali universitari stanno lanciando video informativi rivolti al personale medico per convincerli dell'efficacia del farmaco. Un report del Pew Research Center ha rilevato che solo il 51% degli statunitensi è disponibile a farsi vaccinare e il 19% ha fiducia che il processo di sviluppo del vaccino produrrà un prodotto sicuro ed efficace. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/tutti-i-dubbi-sui-vaccini-ogm-2649329684.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="ancora-troppi-segreti-sul-contratto-tra-ue-e-aziende-farmaceutiche" data-post-id="2649329684" data-published-at="1607278963" data-use-pagination="False"> «Ancora troppi segreti sul contratto tra Ue e aziende farmaceutiche» La Commissione europea ha firmato 5 contratti con altrettante case farmaceutiche per l'acquisto dei vaccini, ma finora il contenuto è rimasto segreto. Sollecitata dalle interrogazioni parlamentari la Commissione si è rifiutata di fornire qualsiasi informazione su tali accordi, sul prezzo e soprattutto sulle responsabilità qualora emergessero effetti collaterali imprevisti. È avvolto dal mistero il vaccino contro il Covid, più di un segreto di Stato, nonostante ci siano in gioco milioni di vite umane. L'europarlamentare belga Marc Botenga ha cercato di aprire una breccia in questo muro di silenzio, ma finora senza esito. Le sue interrogazioni parlamentari sono cadute nel vuoto, hanno ricevuto risposte generiche e un secco rifiuto quando ha cercato di andare più a fondo. Il Financial Times ha scritto che la lobby dei vaccini dell'industria farmaceutica ha fatto pressing sulla Ue per essere esentata da azioni legali in caso di effetti collaterali. Da Bruxelles, Botenga spiega alla Verità che cosa è riuscito a sapere sulle clausole di responsabilità civile contenute nei contratti tra la Ue e le case farmaceutiche. Chi paga se le cose dovessero andare storte, se nel medio e lungo termine emergessero effetti collaterali seri dalle vaccinazioni? «A settembre scorso il capo della Direzione generale per la salute e la sicurezza alimentare, Sandra Gallina, in un'audizione parlamentare disse che le aziende farmaceutiche sarebbero civilmente responsabili per qualsiasi difetto del vaccino, ma potrebbero evitare di pagare un indennizzo nel caso dei cosiddetti “difetti nascosti". Nell'interrogazione ho chiesto alla Commissione di specificare come e da chi verrebbero definiti i “difetti nascosti" e se la Commissione poteva indicare casi concreti in cui le società farmaceutiche sono esentate in tutto o in parte dal pagamento dell'indennizzo. Infine, ho chiesto se gli Stati membri saranno costretti a risarcire i danneggiati al posto delle industrie del farmaco». Che cosa ha risposto la Commissione? Chi è responsabile se il vaccino provoca danni e chi risarcisce? «Il commissario Ue per la Salute, Stella Kyriakides, ha risposto che nei contratti definiti dalla Commissione europea con le aziende farmaceutiche è previsto l'obbligo da parte degli Stati membri di pagare un indennizzo per effetti collaterali che non si possono prevedere. In base alla direttiva sulla responsabilità del prodotto, ha ricordato Kyriakides, il produttore non è responsabile se dimostra che lo stato delle conoscenze scientifiche e tecniche al momento in cui è stato messo in circolazione il prodotto non era tale da consentire la scoperta di un difetto. Quindi se la società non è ritenuta responsabile, non è costretta a pagare il risarcimento. E la responsabilità dovrà essere evidente. Qualsiasi difetto, mi ha detto Kyriakides, dovrà essere accertato davanti al tribunale competente con una prova del danno, del difetto e della relazione causale tra difetto e danno. Sarà molto, molto difficile inchiodare le industrie farmaceutiche alle loro responsabilità. Ma c'è di più. Non solo i produttori di vaccino non pagheranno per gli eventuali effetti collaterali, ma riceveranno soldi dagli Stati a titolo di copertura di possibili cause legali». Vuol dire che le aziende farmaceutiche oltre a lavarsi le mani di eventuali danni provocati dal vaccino, riceveranno un indennizzo dai governi? «Proprio così. Nella risposta all'interrogazione il commissario Kyriakides mi scrive questo: gli accordi di acquisto anticipato dei vaccini Covid prevedono che gli Stati membri indennizzino il produttore per eventuali responsabilità sostenute solo a determinate condizioni stabilite nell'accordo. In tutte le altre condizioni non definite negli accordi, gli Stati membri non saranno obbligati a indennizzare il produttore. Ovvero gli Stati farebbero da polizza assicuratrice». La Commissione ha fatto accordi con le industrie farmaceutiche nei quali sono stabiliti una serie di condizioni. Quali? «Qui cominciano i segreti. Alla mia richiesta di conoscere i contenuti degli accordi, cioè le condizioni di acquisto e il prezzo…». È calata la cortina di silenzio? «Peggio. Mi è stato risposto che c'è il segreto commerciale. Ma questo dovrebbe riguardare informazioni sensibili per l'azienda, non le condizioni e il prezzo sui quali sarebbe necessaria la massima trasparenza». Lei ha chiesto a quale prezzo l'Europa acquisterà i vaccini? «Mi è stato risposto con un “no comment"». Che idea si è fatto di questi accordi? «La Commissione sta negoziando i contratti velocemente e non sono sicuro che lo stia facendo nel migliore dei modi». C'è qualche altra cosa che non la convince? «Nella squadra dei negoziatori della Commissione Ue c'è Richard Bergstrom, fino al 2016 a capo dell'Efpia, la lobby farmaceutica europea, quindi un personaggio che è in totale conflitto di interessi. L'agenzia di stampa Reuters ha calcolato, prendendo a riferimento i prezzi praticati sui vaccini negli Usa, che i prodotti di Pfizer e Moderna potrebbero costare all'Europa oltre 10 miliardi di euro. Certo, alla fine, sui prezzi ci sarà un controllo della Corte dei conti europea, ma prima che questo avvenga passerà molto». Come mai il silenzio su quanto la Commissione pagherà le dosi? «Potrebbero voler nascondere che pagano troppo. Guardate quello che è successo con il Remdesivir, l'antivirale usato contro il Covid. La Ue aveva contrattato un accordo quadro di 1 miliardo a inizio ottobre per 500.000 trattamenti anche se il 23 settembre l'Oms aveva detto che il farmaco non funzionava. Si è fatta buggerare, o lo sapeva ed è andata avanti lo stesso?».
«Il governo belga si sta opponendo all’utilizzo dei fondi russi per timore di dover rimborsare l’intero importo qualora la Russia tentasse di recuperare il denaro», ha riferito Politico, per poi aggiungere: «Ma, a complicare ulteriormente la situazione, altri quattro Paesi - Italia, Malta, Bulgaria e Repubblica Ceca - hanno appoggiato la richiesta del Belgio di valutare finanziamenti alternativi per l’Ucraina, come il debito congiunto». A favore dell’uso dei beni russi congelati si è invece detta la Germania, che si è al contempo espressa contro il ricorso alla condivisione del debito. «Non illudiamoci. Se non ci riusciremo, la capacità di agire dell’Unione europea sarà gravemente compromessa per anni, se non per un periodo più lungo», ha dichiarato lunedì Friedrich Merz, riferendosi all’uso degli asset russi. Più sfumata appare invece la posizione della Francia, che non sembrerebbe del tutto ostile all’idea di ricorrere agli Eurobond. Nel frattempo, ieri Reuters ha riferito che i parlamentari italiani di maggioranza hanno stilato un documento, in cui si esorta il governo «a chiedere alla Commissione europea di condurre un esame approfondito degli aspetti legali e finanziari di tutte le opzioni di finanziamento sul tavolo». Si tratta di una risoluzione che dovrebbe essere votata nella giornata di oggi.
Come che sia, un diplomatico dell’Ue ha fatto sapere a Politico che sulla questione degli asset russi «non ci sarà alcun accordo fino al Consiglio europeo», che prenderà il via domani. «La Commissione europea ha presentato, tramite testo legislativo, due opzioni. Una era l’opzione per le riparazioni, che può essere attuata tramite la proposta legislativa presentata dalla Commissione a maggioranza qualificata. L’altra è l’opzione di un prestito, utilizzando come garanzia il margine di manovra del bilancio europeo. Questa opzione richiede l’unanimità», ha dichiarato un alto funzionario europeo. «È stato molto chiaro fin dal primo dibattito svoltosi tra gli ambasciatori che non c’era l’unanimità per quella seconda opzione, che è stata quindi messa da parte per concentrarsi sul prestito di riparazione. Non è un segreto che il prestito di riparazione sia la soluzione preferita da una considerevole maggioranza degli Stati membri», ha continuato. «Spetta ai leader decidere, ma credo che tutti i leader siano ben consapevoli della posta in gioco sproporzionata del Belgio in una soluzione basata sul prestito di riparazione. E questo viene preso in considerazione da tutti i leader e certamente il presidente del Consiglio europeo ne è ben consapevole», ha affermato un’altra fonte dell’Ue, che ha proseguito: «Tra l’altro, il negoziato sul prestito di riparazione si è svolto principalmente e soprattutto in base alle preoccupazioni del Belgio. E penso che questo sia anche un segno che tutti intorno al tavolo - gli Stati membri e certamente i leader - riconoscono la posta in gioco per il Belgio. Quindi il negoziato è in gran parte incentrato sulla condivisione di qualsiasi rischio o costo derivante da questa soluzione con il Belgio». Nell’Ue, se non panico, c’è «un senso di urgenza», come hanno detto ieri alcune fonti di Bruxelles. «Una decisione va presa».
Ricordiamo che i beni russi congelati sono detenuti da Euroclear Bank, che ha sede in Belgio. E proprio contro questo istituto ha fatto recentemente causa, davanti al Tribunale commerciale di Mosca, la banca centrale russa, chiedendo 230 miliardi di dollari di danni. «Se la banca centrale vincesse, potrebbe chiedere l’esecuzione forzata degli asset di Euroclear in altre giurisdizioni, in particolare quelle considerate ’amichevoli’ dalla Russia», ha sottolineato Reuters l’altro ieri. «Alcuni gestori di fondi avvertono che un’eventuale decisione di utilizzare i beni congelati aumenterebbe i rischi politici legati al possesso di asset in euro e metterebbe persino in dubbio il loro status di rifugio globale», aveva inoltre riportato, dieci giorni fa, il Financial Times. D’altronde, secondo il sito australiano The Conversation, «se gli operatori di mercato temessero sequestri di beni per motivi politici, potrebbero trasferire le proprie attività in giurisdizioni ritenute più sicure».
Insomma, la questione è insidiosa sul fronte tecnico. E poi emerge il nodo politico. Per l’ennesima volta, ci troviamo di fronte a un’Unione europea spaccata. Il dossier degli asset è scivoloso. Ed è tutto da dimostrare che il Consiglio europeo riuscirà a trovare una quadra su di esso.
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Da sinistra: Friedrich Merz, Keir Starmer, Volodymyr Zelensky ed Emmanuel Macron (Ansa)
Mentre il summit europeo di Berlino sulla pace in Ucraina è stato celebrato come un successo da chi ne ha preso parte, le proposte contenute nella dichiarazione congiunta dei leader dell’Europa sembrano fatte per essere rifiutate. E Mosca ha già iniziato a manifestare i primi segnali di chiusura.
A meno di 24 ore di distanza dal vertice, il Cremlino è convinto che la partecipazione degli europei alle trattative «non promette bene». E anche di fronte alle dichiarazioni del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, che intravede la conclusione del conflitto, Mosca resta cauta. Il tycoon, dopo aver parlato lunedì sera con i primi ministri e i capi di Stato europei, aveva subito dichiarato: «Siamo più vicini che mai alla fine della guerra», aggiungendo anche di essere stato in contatto «di recente con Vladimir Putin». A smentire però la telefonata è stato il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov: i due leader non si sono più sentiti dopo il 16 ottobre. Il portavoce ha anche spiegato che Mosca «non ha ricevuto» alcun segnale dopo i round di negoziati a Berlino, e anche per questo dovrà valutare «quello che sarà il risultato dei negoziati che gli americani conducono con gli ucraini, con la partecipazione degli europei». Che Mosca non abbia ancora compreso l’esito dei summit è evidente anche dalle parole del viceministro degli Esteri russo, Sergej Ryabkov: «Non abbiamo idea di cosa succeda lì». Stando a quanto rivelato dal presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, si tratterebbe di una questione di giorni: i piani di pace, che dovrebbero essere finalizzati a breve, saranno poi presentati alla Russia dagli inviati americani.
Ma il niet russo è già arrivato in merito all’impegno europeo per «una forza multinazionale Ucraina a guida europea, composta dai contributi delle nazioni disponibili nell’ambito della coalizione dei Volenterosi e sostenuta dagli Stati Uniti». La posizione di Mosca era già nota, ma ieri il viceministro degli Esteri russo in un’intervista ad Abc News, ha ribadito: «Non sottoscriveremo, accetteremo o saremo nemmeno soddisfatti di alcuna presenza di truppe Nato sul territorio ucraino». Lo stesso rifiuto si applica anche qualora la forza multinazionale fosse parte di una garanzia di sicurezza o della Coalizione dei volenterosi. A intervenire in merito è stato anche Peskov che, affermando che Mosca «non ha visto alcun testo» sulla proposta europea della forza multinazionale, ha precisato: «La nostra posizione è ben nota, coerente e trasparente ed è chiara agli americani».
A ciò si aggiunge il grattacapo dei territori, con nessuna delle due parti che è disposta a cedere. Zelensky, a margine del vertice, ha ripetuto che «l’Ucraina non riconoscerà il Donbass come territorio russo, né de jure né de facto». L’impegno di Kiev è quello di continuare a «discuterne nonostante tutto». Il presidente ucraino pare quindi non prendere ancora sul serio le parole di Trump, che ha confermato che «il territorio del Donbass è già perso» per l’Ucraina. Dall’altra parte, anche la posizione russa resta immutata: Ryabkov ha detto che Mosca non scenderà «a compromessi» su Donetsk, Lugansk, Zaporizhzhia, Kherson e Crimea. Ed è anche in quest’ottica, con i soldati russi che continuano ad avanzare, che il Cremlino ha rifiutato la tregua natalizia avanzata dal cancelliere tedesco, Friedrich Merz. Peskov ha infatti sottolineato: «Vogliamo la pace, non una tregua che dia sollievo agli ucraini e permetta loro di prepararsi a continuare la guerra».
Un altro tassello complicato riguarda Kiev e l’Ue, anche se non dalla prospettiva russa. Nell’ultimo punto della dichiarazione congiunta dei leader europei si afferma: «Il fermo sostegno all’adesione dell’Ucraina all’Unione europea». Ma da parte italiana emergono alcune perplessità. Il ministro della Difesa, Guido Crosetto, ha osservato che ritiene «difficile» l’ingresso dell’Ucraina sia nella Nato sia nell’Ue «non per motivi politici ma agricoli, conoscendo gli agricoltori polacchi, francesi, italiani e tedeschi». A ribadire la sua contrarietà è stato poi il premier ungherese, Viktor Orbàn: «Il popolo ungherese ha detto che non vuole stare in un’Unione con l’Ucraina». Tornando alla linea dell’Italia, riguardo alle garanzie di sicurezza simili all’articolo 5 della Nato di cui «gli americani ne saranno parte», il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha ricordato che si tratta della «proposta italiana» che è stata «accolta» perché «di buon senso». Ma ad essere accolte, sul fronte opposto, sono state anche le dichiarazioni inerenti al riarmo del vicepremier, Matteo Salvini: «Se Hitler e Napoleone non sono riusciti a mettere in ginocchio Mosca con le loro campagne in Russia, è improbabile che Kallas, Macron, Starmer e Merz abbiano successo». Per la portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova «il paragone è preciso, la conclusione è indiscutibile».
Nato e referendum sul Donbass: la guerra poteva finire già nel 2022
Il nostro articolo del 27 febbraio 2022 concludeva con queste parole: «Forse si potrebbe auspicare che la Nato dichiari di rinunciare, una volta per tutte, ad «invitare» l’Ucraina a farvi parte; e che le regioni ucraine oggetto del contendere siano sottoposte a nuovo referendum». Dopo quasi quattro anni di guerra, leggiamo che «Volodymyr Zelensky apre: no a Kiev nella Nato».
Inoltre, a chi gli chiedeva se egli sarebbe stato disponibile a concedere territori come parte di un accordo di pace, Zelensky rispondeva che «la cosa non può essere decisa unilateralmente dal governo o dagli alleati, ma deve avere un mandato popolare, cioè il popolo ucraino deve essere coinvolto tramite un qualche processo democratico, nel formato di elezioni o di referendum». Che il nostro auspicio di quattro anni fa coincida con le conclusioni cui sarebbe alla fine pervenuto Zelensky dopo quattro anni, è, a mio parere, l’ulteriore prova della inadeguatezza di un uomo chiamato a gestire una situazione più grande, molto più grande, di lui. E non si tratta solo di inadeguatezza, ma anche di irresponsabilità. Perché le cose - se vogliamo capirle - dobbiamo dirle tutte. Dobbiamo quindi dire che già il 15 marzo 2022 Zelensky dichiarava: «Abbiamo capito che l’Ucraina non diventerà un membro della Nato, e dobbiamo riconoscere che non ci sono porte aperte». Insomma, il dover abbandonare ogni velleità di aderire alla Nato, più che una apertura di questi giorni, era una consapevolezza acquisita già quattro anni fa. Il che impone la cogente domanda: perché ha continuato la guerra e non si arrese quel 15 marzo 2022? Prima o poi, se non da un tribunale, sicuramente dalla Storia, questa domanda gli verrà posta.
Un’altra domanda che gli si dovrà porre è da dove gli è mai venuta l’idea di una Nato dalle «porte aperte». L’art. 10 del Patto Atlantico prevede che i membri «possono, con accordo unanime, invitare qualsiasi altro Stato europeo ad aderire al Trattato»; cosicché per far parte della Nato bisogna 1) essere uno Stato europeo, 2) essere invitati da chi membro lo è già, e 3) essere invitati all’unanimità. È vero che, subito dopo la fine della Guerra fredda, sebbene ci fosse stata da parte dei vertici della Nato una promessa verbale di non espansione a est della Germania, quegli stessi vertici si preoccuparono di far sapere al mondo intero che non ci sarebbero state preclusioni di principio per l’allargamento della Nato. Tuttavia, l’articolo 10 del Trattato è rimasto immutato. Insomma, Zelensky mai poteva allora, né può ora accampare diritti in ordine alla adesione dell’Ucraina alla Nato. E fa sorridere che codesta volontà di adesione sia stata scritta, addirittura, nella Costituzione ucraina, quando la cosa non dipende dalla volontà dell’Ucraina. E fa sorridere ancora di più, perché questa volontà fu addirittura un emendamento del 2019 alla Costituzione del 1996 che invece garantiva l’Ucraina quale Stato militarmente neutrale.
Anche l’altra recente affermazione di Zelensky sul possibile referendum in ordine alla «cessione» dei territori ripropone la sprovvedutezza dell’uomo. Quattro anni fa l’idea poteva sorgere spontanea. E, anzi, doveva sorgere già nel 2014. Allora, in seguito allo spodestamento del presidente Viktor Yanukovich, legittimamente eletto anche col forte sostegno dei voti dei cittadini di Crimea e del Donbass, questi decidevano di separarsi dal governo centrale con un referendum. Il referendum era, ovviamente, illegittimo; ma poneva un problema politico che in un sistema sedicente democratico avrebbe dovuto risolversi in qualche modo. Ma, anziché invocare il principio, sancito dalla Carta Onu, dell’autodeterminazione dei popoli e far ripetere i referendum sotto il controllo internazionale, la comunità internazionale girava le spalle al Donbass che si dichiarava indipendente; e sanzionava la Russia cui la Crimea si era confederata.
L’impressione è che, se fosse assennato, a Zelensky converrebbe mollare la Ue e affidarsi esclusivamente a Donald Trump. Se da un lato questi vorrebbe far finire quanto prima la guerra, e pertanto appare disponibile ad accontentare le pretese di Putin, dall’altro ha interesse a minimizzarne i vantaggi, cosa che indirettamente significa anche minimizzare gli svantaggi per l’Ucraina. Le cui disgrazie sono anche in parte dovute a quel «f**k the Eu» pronunciato - da Victoria Nuland, nel 2014 responsabile americana agli affari euroasiatici - a detrimento dell’Ucraina. Forse è venuto il momento per Zelensky di pronunciare la stessa invettiva a vantaggio del proprio Paese.
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Il viceministro degli Esteri israeliano Sharren Haskel (MFA/Mordehai Gordon)
Viceministro, la pace sembra essere ancora molto lontana in Medioriente.
«La situazione è particolarmente complessa e stiamo lavorando in patria e all’estero per garantire la sicurezza dei cittadini israeliani e di tutti gli ebrei. A Gaza, Hamas non vuole consegnare le armi, bloccando l’inizio della Fase 2, ma la nostra pazienza ha un limite. Nella Striscia serve sicurezza e democrazia, due cose che Hamas combatte da sempre. Io personalmente non ho nessuna fiducia negli attuali leader palestinesi: molti di loro fanno dichiarazioni in arabo contro Israele e poi in inglese si fingono democratici. Glorificano i terroristi e fomentano la violenza. E così fanno solo il male dei palestinesi».
Il presidente statunitense, Donald Trump, vuole inserire anche l’Italia nel cosiddetto Consiglio di pace per Gaza.
«Siamo assolutamente favorevoli a coinvolgere l’Italia. Abbiamo grande fiducia sia nei militari che nei politici italiani. Il governo di Roma si sta adoperando per raggiungere la pace e io personalmente conosco il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, e ne apprezzo la grande capacità diplomatica. Siamo però molto delusi da alcune nazioni europee come la Spagna e l’Irlanda, che hanno deciso di riconoscere la Palestina. Questo riconoscimento non è niente, non esiste e non ha senso che esista. Si tratta di un gravissimo errore politico, non fanno altro che riconoscere Hamas e i suoi crimini. Dopo aver rapito, stuprato e ucciso civili innocenti, i terroristi ne escono rafforzati perché vengono premiati da questi Paesi».
Anche il confine settentrionale resta problematico.
«Non ci fidiamo assolutamente del nuovo regime in Siria. Abu Muhamnad Al Jolani, lo chiamo ancora così perché resta un pericoloso jihadista che ha buttato la tunica e indossato la cravatta, sta uccidendo le minoranze, dagli alawiti ai cristiani, ma soprattutto i drusi che Israele ha deciso di difendere. I drusi israeliani sono parte integrante della nostra società, servono nell’Idf come soldati e sono cittadini a tutti gli effetti. I loro fratelli siriani vengono massacrati solo perché sono una minoranza e noi non lo permetteremo. Hezbollah rimane un pericolo per Israele anche se la sua forza è diminuita, ma grazie ai crimini che commettono con il traffico di droga e armi dal Sud America presto torneranno a essere un pericolo. Stiamo facendo pressioni sul governo libanese perché acceleri il disarmo di Hezbollah, che ancora non è stato fatto nonostante sia ufficialmente iniziato ad agosto. Il presidente del Libano, Joseph Aoun, ha promesso che l’esercito nazionale avrà il monopolio della forza, ma deve ancora dimostrarlo».
L’attentato contro la comunità ebraica a Bondi Beach, in Australia, ha portato l’attenzione ai massimi livelli e l’ambasciatore d’Israele a Roma, Jonathan Peled, ha dichiarato che gli ebrei non si sentono sicuri neanche in Italia.
«Con il governo di Roma c’è una stretta e proficua collaborazione e sappiamo che cerca di garantire sempre la sicurezza degli ebrei in Italia. Ma le parole del nostro ambasciatore derivano dalle manifestazioni che ci sono state nel vostro Paese, dove abbiamo visto molti episodi di antisemitismo, che vanno condannati con maggiore determinazione. Il sostegno alla causa della Palestina è soltanto una scusa per attaccarci e per questo motivo serve particolare attenzione per gli ebrei in tutto il mondo. Israele combatte molti nemici, ma il più pericoloso rimane il pregiudizio nei nostri confronti, che nella storia ha causato tante tragedie».
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Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 17 dicembre con Flaminia Camilletti