2019-02-04
Tutte le ombre delle Ong nel Mediterraneo. «I trafficanti programmano il naufragio dei barconi»
A Trapani e Catania inchieste per favoreggiamento dell'immigrazione clandestina Una ventina di persone indagate, fra le quali un prete eritreo: si cercano contatti tra le organizzazioni e gli scafisti. Un'altra è in corso a Ragusa. Sotto osservazione ci sono anche i bilanci: chi sono i donatori? E perché rimangono sempre top secret?L'ex magistrato Carlo Nordio: «Se ti metti in mare pronto a raccogliere i migranti, assecondi l'attività dei criminali: si chiama responsabilità oggettiva, anche se non è penale».A giugno 2018, una vittoria simbolica del leader leghista, con il natante di Msf che viene indirizzato in Spagna.Lo speciale contiene tre articoliSe ne fregano delle indicazioni della Guardia costiera italiana, nelle acque territoriali libiche ingaggiano delle vere e proprie battaglie navali per riuscire a soffiare ai guardacoste di Tripoli il carico di migranti e sono sempre prime quando c'è da avvistare un gommone che, stranamente, sta caricando acqua ed è in fase di inabissamento. Dopo il solito appuntamento al largo delle coste nordafricane, poi, a pieno carico, ignorano altri porti sicuri e puntano dritte verso l'Italia. Le loro rotte non seguono le indicazioni delle autorità e, spesso, sono al di fuori delle leggi nazionali e degli accordi internazionali. E le navi? Ex pescherecci di almeno 40 anni o natanti da diporto adattati alla ricerca e al soccorso in mare. Quando va bene battono la stessa bandiera del Paese che hanno scelto come porto di riferimento, altrimenti scelgono le più classiche bandiere di comodo: la più gettonata è Panama. Sono state beccate a smaltire illegalmente rifiuti o, più di recente, come nel caso della Sea Watch 3, presentavano una serie di non conformità sia legate alla sicurezza della navigazione sia al rispetto delle normative in materia di tutela dell'ambiente marino. La condotta in mare delle Ong è ormai ben nota. Ed è descritta in più di un fascicolo giudiziario. Ad accertare se nelle ricostruzioni fatte dalla polizia giudiziaria o dalla Guardia costiera ci siano anche reati penali ci stanno provando alcune Procure siciliane, su tutte Trapani e Catania. Qui, dopo lo sbarco della Sea Watch 3, è stato appena aperto un fascicolo contro ignoti per favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. Ma procuratori e pubblici ministeri da un paio d'anni sono alle prese con difficili inchieste che hanno già svelato dettagli inquietanti: le Ong sono in contatto con gli scafisti.Anche a Trapani, ad esempio, si indaga per favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. Sulla graticola c'è una ventina di persone, in buona parte personale delle associazioni umanitarie. Mentre gli investigatori dello Sco, il Servizio centrale operativo della polizia di Stato, e della Squadra mobile di Trapani approfondivano le gesta della nave Iuventa by Jugend Rettet, sono nati gli stralci d'indagine su altre navi umanitarie messe in mare da Medici senza frontiere e Save the children, la Dignity One, la Bourbon Argos e la Vos Prudence. Nell'inchiesta è coinvolto anche il prete eritreo don Mussie Zerai, sotto accusa per aver rilanciato gli sos che arrivavano sul suo cellulare dai migranti che si imbarcavano con il numero di telefono del sacerdote in tasca.Uno dei momenti clou dell'inchiesta giudiziaria è arrivato e a giorni, in regime di incidente probatorio, verranno esaminati, come disposto dalla Procura, i telefoni cellulari e i computer sequestrati agli operatori delle Ong Jugend Rettet e Save the children.I pm cercano le prove degli ipotizzati contatti tra operatori delle Ong e trafficanti libici nelle email o nelle chat utilizzate dalla ciurma delle navi. Dalle testimonianze raccolte dagli investigatori era emersa l'esistenza di una chat segreta con la quale gli equipaggi delle Ong finite sotto inchiesta avrebbero mantenuto contatti con gli scafisti libici.Gli avvocati degli indagati si sono opposti alla richiesta di affidare alla Polizia scientifica la duplicazione dei contenuti delle apparecchiature informatiche sequestrate, sostenendo di non fidarsi perché «la polizia dipende dal Viminale». E lo hanno messo nero su bianco. A bordo della Vos Hestia, poi, gli investigatori ritengono di aver trovato documenti interessanti sulla gestione di alcuni trasbordi di immigrati nel tratto di mare immediatamente vicino alle acque territoriali libiche. Già nel decreto di sequestro della Iuventa erano presenti diversi riferimenti alla Vos Hestia, che era spesso in contatto con la nave di Jugend Rettet per trasbordare gli immigrati che venivano portati sotto bordo della Ong tedesca dai barchini condotti dai trafficanti e scafisti. Un comportamento segnalato all'intelligence italiana da un gruppo di ex appartenenti alla polizia di Stato che si erano imbarcati come dipendenti di una società di sicurezza privata: la Imi security service. Sono finiti a Ragusa, invece, gli atti dell'inchiesta sulla Proactiva Open arms. La Procura, il 15 marzo dello scorso anno, ha emesso un avviso di conclusione delle indagini nei confronti del comandante della nave, Marc Reig Creus, e della capo missione Ana Isabel Montes Mier. I reati ipotizzati: violenza privata (per aver costretto il governo italiano a concedere l'approdo per lo sbarco di migranti che, invece, sarebbero dovuti arrivare a Malta) e favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. La nave della Ong spagnola era stata sequestrata dalla Procura di Catania che contestava anche il reato di associazione a delinquere, poi ritenuto non provato dal gip che dispose la trasmissione degli atti a Ragusa per competenza territoriale. L'ultima in ordine di tempo è l'indagine sulla Sea Watch 3. Dal Viminale sottolineano la solita coincidenza dei migranti che prendono il largo solo se ci sono imbarcazioni delle Ong per caso da quelle parti e pronte a intervenire. In qualche caso il soccorso si è trasformato in un pasticcio ed è finita in tragedia. I migranti non vogliono tornare in Libia (anche perché in molti casi hanno già pagato tutta la somma per il viaggio) e aspettano il taxi del mare che li porti in Italia. Ovviamente, per far sì che sia configurabile un soccorso, i gommoni devono affondare. Ed è questa l'ipotesi segnalata dagli analisti dell'intelligence italiana che negli ultimi giorni sta cercando di approfondire la polizia giudiziaria. E c'è chi sottolinea, infatti, che nei video realizzati dagli equipaggi dei taxi del mare i gommoni vengono sempre ripresi mentre stanno affondando. E se questo dettaglio viene contestualizzato diventa particolarmente interessante. La maggior parte dei migranti partiti dalle coste libiche è stata recuperata in mare da imbarcazioni di Ong. E quando questo non è avvenuto, a monte c'era comunque, quasi nel cento per cento dei casi, una loro segnalazione. Gli sos dei migranti, insomma, partono quasi sempre da un Alarm phone di una Ong.È stato il settimanale Panorama a svelare che solo nei primi quattro mesi del 2017 le Ong sono intervenute ben 14 volte nelle acque contigue, non internazionali, entro le 24 miglia dalla Libia. E la loro rotta di navigazione non era affatto da pattugliatore. Anzi. Le autorità, in un dossierone inviato alla Procura di Catania, non lasciano dubbi: le navi delle Ong sono andate dritte alla meta. A tutto ciò va aggiunto anche che a volte a chiamare i centri di soccorso sono direttamente gli scafisti. Il gioco, insomma, ormai è scoperto. E più soccorsi vengono portati a termine, più cresce il capitolo donazioni. E, così, le Ong diventando in fretta dei colossi. Nel caso di Save the children, che era la più amata e anche la più finanziata dai governi Renzi e Gentiloni, il bilancio è cresciuto sempre grazie alle riuscitissime campagne di comunicazione. Anche per Sea Watch il bilancio è diventato subito milionario. Nel 2017 la Ong tedesca ha incassato 1.608.109 euro e nel 2018 è riucita a fare anche meglio, alzando l'asticella di quasi 200.000 euro. Nelle casse resta molto, perché per Sea Watch 3, per l'aereo Moonbird e per i team che li manovrano, la Ong spende poco più di 1.400.000 euro. Ovviamente i nomi dei donatori sono riservati. Top secret. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/tutte-le-ombre-delle-ong-nel-mediterraneo-2627896416.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="i-trafficanti-programmano-il-naufragio-dei-barconi-e-loro-cosi-li-favoriscono" data-post-id="2627896416" data-published-at="1758065297" data-use-pagination="False"> «I trafficanti programmano il naufragio dei barconi. E loro così li favoriscono» Dottor Carlo Nordio, ci sono contiguità tra le Ong e gli scafisti? «Le Procure hanno indagato ma finora non sono emerse prove definitive di reato. Però c'è un aspetto politico». Cioè? «Questi naufragi sono programmati». Programmati? «Tenga presente che il concetto di naufragio, anche dal punto di vista del diritto internazionale, si riferisce a un evento imprevisto e imprevedibile». E i naufragi dei barconi invece? «Quelli dei barconi sono programmati dalle organizzazioni criminali». Dalle organizzazioni criminali, non dalle Organizzazioni non governative. «Sul piano etico, soccorrere le vittime di un naufragio programmato è un dovere. Ma significa, oggettivamente, assecondare l'attività degli scafisti». Le Ong «incoraggiano» i trafficanti a compiere le loro malefatte? «Oggettivamente, il fatto che ci siano queste navi pronte a raccogliere i superstiti di un naufragio programmato aiuta i trafficanti. Oggettivamente, è un incoraggiamento». «Oggettivamente». Questa parola l'ha già usata tre volte. Significa che le Ong hanno una «responsabilità oggettiva», per usare un termine giuridico, nel traffico di migranti? «Sì. Si potrebbe parlare di una responsabilità oggettiva. Che però non equivale a una responsabilità penale. Per quella bisogna accertare l'esistenza di una condizione». Quale? «Il previo concerto». Che significa? «Bisogna verificare se le Ong e gli scafisti si mettono d'accordo prima». La nave Iuventa fu filmata a raccogliere i migranti dal barcone. Poi, praticamente, lo riportava indietro ai trafficanti… «Queste situazioni vanno valutate caso per caso. Io le posso dire che se le Procure hanno aperto tre inchieste diverse, è perché stanno esaminando se questo previo concerto vi sia stato o no». Veniamo al caso della Sea Watch 3. Che idea si è fatto? Davvero per la nave l'unica opzione era arrivare in Italia? «Niente affatto. La nave batteva bandiera olandese, era di proprietà tedesca e non navigava in acque italiane. I porti sicuri più vicini erano Tunisia, Malta e la stessa Libia. Che, ricordiamolo, è considerata porto sicuro». Sulla Libia, le Ong la pensano diversamente. «Ammettiamo che la Libia sia un porto sicuro di diritto, ma non di fatto. Rimanevano comunque Malta e Tunisia. Portare i migranti in Italia aveva senso come portarli a Marsiglia o a Barcellona». È venuto fuori anche che il capitano della Sea Watch si sarebbe avvicinato alla Sicilia perché era stato convocato da un magistrato. «Un magistrato italiano che convoca un capitano di una nave straniera mentre compie operazioni di soccorso in acque straniere? Mi sembra un'ipotesi metafisica». Le Ong puntano all'Italia per creare un caso politico sulla pelle dei disperati? «Non si può escludere. Sta di fatto che se i migranti sono sopravvissuti per giorni sulla Sea Watch, sarebbero sopravvissuti qualche giorno in più per arrivare a Barcellona, a Marsiglia o magari ad Amsterdam». Perché invece le Ong vengono tutte da noi? «Manca una visione europea del fenomeno. Ogni Paese va per conto suo. E poi è vero che l'Italia non vuole più i migranti, ma non li vuole nemmeno la Francia, che ha chiuso la frontiera a Ventimiglia e Calais. Non li vuole la Gran Bretagna, che ha bloccato Dover. Non li vuole l'Austria, che aveva minacciato di mandare i blindati al Brennero. E non li vogliono i Paesi di Visegrád. E i primi a non volerli sono stati la Danimarca e la Svezia. Senza contare il comportamento incredibile dell'Olanda, che in pratica ha detto che non era affar suo che una nave battente la sua bandiera portasse dei naufraghi in Italia». L'Italia ci rimette sempre? «Se manca una concertazione a livello europeo, l'Italia rimane alla mercé di queste iniziative individuali delle Ong. E alla fine siamo costretti a trovare una soluzione di compromesso: ognuno prende un po' di migranti. Il problema però si riproporrà». Quindi anche trattenere la Sea Watch 3 a Catania è una soluzione tampone? «Sì. Ma c'è da dire che il caso della Sea Watch, in effetti, era stato risolto dall'Europa. Ovvero, dalla Corte europea». Parla del ricorso presentato dal capitano per ottenere lo sbarco in Italia? «Esatto. La Corte ha detto chiaramente che l'Italia non ha nessun obbligo di far sbarcare i migranti. Una tesi che rispecchia quello che succede nel resto del mondo». A cosa si riferisce? «Pensi all'Australia e alla Nuova Zelanda: salvano i naufraghi, riforniscono le navi, ma non le fanno sbarcare». Quindi la Corte europea ha «assolto» Matteo Salvini? «Certo che lo ha assolto. D'altronde, lo sbarco di una nave è disciplinato dalle leggi di uno Stato. E per un motivo insindacabile, di ordine pubblico o sanitario, quello Stato può impedire lo sbarco». E allora il processo per sequestro di persona? Uso politico della giustizia? «Guardi, io le dirò che il Tribunale dei ministri ha fatto bene a chiedere il processo per Salvini». Ha fatto bene? «Sì. Perché rimettendo la questione al Senato, ha fatto emergere chiaramente che la questione è tutta politica». Si spieghi meglio. «Il Senato è stato interpellato in virtù dell'articolo 9 della legge sulle guarentigie ministeriali». E cosa dice questa legge? «Che anche se è stato commesso un reato, il Senato può negare l'autorizzazione a procedere se il reato è stato commesso nell'interesse dello Stato». Ovvero, se la decisione di commetterlo è stata politica? «Il governo ha sostenuto che la decisione è stata collegiale. Il Senato deve certificare questa pronuncia politica. E questo chiarirà anche le cose in Parlamento, dove non c'è mai stata una pronuncia chiara sulla politica migratoria». Quindi Salvini ha fatto bene a chiedere che l'autorizzazione a procedere sia bocciata? «Certo, perché non stiamo parlando di un privilegio, o di tutelare la persona di Salvini. A essere tutelata è la sua carica e le funzioni a essa connesse, esercitate nell'interesse collettivo». All'inizio, però, Salvini era propenso a farsi processare. Si dice che a ispirare il suo cambio di rotta sia stato proprio lei… «Io sono stato il primo a scrivere le cose che sto dicendo oggi a lei. Ma Salvini ha fior fiore di avvocati attorno, a cominciare dal ministro Giulia Bongiorno. Sarà stato consigliato da loro». Alessandro Rico <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/tutte-le-ombre-delle-ong-nel-mediterraneo-2627896416.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="litalia-chiude-i-porti-per-la-prima-volta-i-precedenti-allorigine-delle-accuse-al-ministro-dellinterno-laquarius-verso-valencia-e-la-diciotti" data-post-id="2627896416" data-published-at="1758065297" data-use-pagination="False"> L’Italia chiude i porti per la prima volta. I precedenti all’origine delle accuse al ministro dell’Interno: l’Aquarius verso Valencia e la Diciotti Nella notte tra sabato 9 e domenica 10 giugno 2018, la nave Aquarius, facente parte della flotta delle Ong Medici senza frontiere e Sos Méditerranée, soccorre 629 migranti in sei diverse operazioni, compiute nell'arco di nove ore. Due dei salvataggi si rivelano particolarmente problematici: i gommoni si rovesciano e 40 persone finiscono in acqua, venendo poi recuperate dalle squadre di soccorritori. L'Aquarius prende a bordo anche alcuni naufraghi recuperati da navi della Marina e della Guardia costiera italiane. Il neo ministro dell'Interno, Matteo Salvini, non concede tuttavia lo sbarco in un porto italiano alla nave Ong. L'Italia chiede che sia Malta, il cui porto è quello più vicino alla posizione dell'imbarcazione, di occuparsi della questione, ma La Valletta risponde che «non è di sua competenza». Nel pomeriggio di lunedì 11 giugno, è la Spagna a offrire il porto di Valencia all'imbarcazione, che però fa sapere di ritenere troppo lontana la destinazione e di temere per la salute dei passeggeri, oltre che per il peggioramento delle condizioni del mare. Il giorno dopo, come conferma il ministro delle Infrastrutture, Danilo Toninelli, si decide che due navi italiane dovranno scortare l'Aquarius nella città catalana. È la prima simbolica vittoria della linea dura adottata da Salvini. Ci si accorge che esistono alternative all'arrivo dei migranti nel nostro Paese e che anche gli altri Stati europei devono essere chiamati ad assumersi le loro responsabilità. Pochi mesi dopo, il 20 novembre 2018, la nave viene sequestrata dalla Procura di Catania, con l'accusa di aver smaltito scarti e vestiti infetti come fossero rifiuti normali. A dicembre, Msf annuncia la chiusura delle attività dell'Aquarius.