2024-03-18
Tutte le bugie sulla plastica
Le particelle nell’acqua minerale? Innocue. L’alternativa dei sacchetti di cotone? Inquina di più e contamina i cibi. La crociata Ue contro questo materiale si basa su falsità.L’esperta Maria Claudia Lucchetti: «Va considerato l’intero ciclo di vita dei prodotti. Questi sono leggeri, per trasportarli si consuma meno energia. Ma Bruxelles voleva un nemico e l’ha trovato».Il presidente dell’associazione di settore Walter Regis: «La capacità di trattamento dei rifiuti in Europa è raddoppiata in 5 anni»Lo speciale contiene tre articoli«Il mondo sarebbe più bello senza plastica», «Bisognerebbe tornare ai contenitori di carta», «Meglio usare i sacchetti di stoffa che le buste di plastica», «Stiamo riempendo il nostro corpo di microplastiche». Quante volte abbiamo sentito queste frasi a corredo della crociata contro la plastica, uno dei capisaldi della politica green. Ma in quella che è diventata una vera e propria fatwa contro un prodotto che ha contribuito allo sviluppo economico del pianeta, ci sono anche tante falsità. Fermo restando che l’uso della plastica va diminuito e reso sostenibile, la formula della crociata rischia di mettere in ginocchio un intero comparto industriale con ricadute occupazionali gravi.A che punto è la nuova normativa che dovrebbe regolamentare il settore? Il Consiglio Ue e il Parlamento europeo hanno raggiunto un accordo provvisorio sulla proposta di regolamento sul packaging e sui rifiuti di imballaggio. Questo prevede che si vada a un calo dei rifiuti da imballaggio del 5% entro il 2030, del 10% nel 2035 e del 15% entro il 2040, come previsto nella proposta iniziale della Commissione. Dal 1° gennaio 2030 saranno vietati alcuni formati di imballaggi in plastica monouso, come quelli per frutta e verdura fresca non trasformata, per alimenti e bevande riempiti e consumati in bar e ristoranti, porzioni individuali (come condimenti, salse, panna, zucchero), e contenitori per i prodotti da toilette negli alberghi e la pellicola per le valigie negli aeroporti. I divieti non valgono se la plastica è compostabile, e viene raccolta e smaltita come avviene in Italia e per gli imballaggi compositi, in plastica e carta. Vietato l’uso delle borse di plastica molto leggere (sotto i 15 micron). Inoltre i distributori finali di bevande e cibi da asporto nel settore dei servizi di ristorazione dovranno offrire ai consumatori la possibilità di portare il proprio contenitore. Entro il 2030 dovrebbero inoltre impegnarsi a dare il 10% dei prodotti in un formato di imballaggio riutilizzabile.Il Parlamento e il Consiglio ora dovranno approvare formalmente l’accordo prima che possa entrare in vigore. Un passo in avanti verso alcune richieste dell’Italia è stato fatto ma non è abbastanza, come ha detto il viceministro all’Ambiente, Vannia Gava. Lo scorso dicembre l’Italia è stato l’unico tra i ventisette Stati membri ad aver votato contro l’adozione del mandato negoziale del Consiglio Ue sul regolamento imballaggi.Il tema della plastica è al centro di una lunga e animata discussione in cui si è detto di tutto e l’incontrario di tutto. Per anni celebrata, per aver rivoluzionato il nostro modo di vivere, ora è considerata una delle principali cause dell’inquinamento del pianeta. L’industria italiana ha un ruolo leader nelle tecniche di riciclo che permette a questa risorsa di avere molte vite. Secondo i dati del rapporto «Il Riciclo in Italia 2022», il nostro Paese ha riciclato il 72% di tutti i rifiuti, urbani e speciali-industriali, un primato europeo (il 53% è la media Ue e il 55% quella della Germania), con un tasso di utilizzo di materiali riciclati sul totale dei materiali consumati al 21,6% (media Ue 12,8%, 13,4% in Germania). Anche per la gestione dei rifiuti d’imballaggio l’Italia è un’eccellenza europea del riciclo con più di 10,5 milioni di tonnellate avviate a riciclo, con un tasso pari al 73,3% nel 2021, superiore non solo al target europeo del 65% al 2025 ma, con 9 anni di anticipo, anche al target europeo del 70% al 2030. Il settore del riciclo è un pilastro fondamentale per un’economia circolare e rappresenta una risorsa strategica per evitare sprechi, per non riempire il Paese di discariche e per ridurre le emissioni di gas serra.Eppure nonostante questi passi in avanti sulla sostenibilità di tale risorsa continuano a circolare ancora molti pregiudizi e mezze verità. Leggiamo spesso che la plastica costituisce la parte più grande dei rifiuti da imballaggio. In Europa gli imballaggi di plastica sono responsabili solo del 19% di tutti gli scarti da imballaggio. Carta e cartone contribuiscono in maniera superiore rispetto alle materie plastiche alla quantità di rifiuti da packaging.C’è chi consiglia di servirsi delle borse riutilizzabili per trasportare gli alimenti. In realtà queste hanno un impatto ambientale di gran lunga superiore a quello dei sacchetti di plastica monouso, oltre a rappresentare un rischio non indifferente per la salute. Nel 2022 il New Jersey ha bandito i sacchetti monouso con l’intento di ridurre il consumo di plastica, eppure, stando a uno studio indipendente condotto dal Freedonia Group, il passaggio a borse alternative ha incrementato notevolmente l’utilizzo di plastica. La ricerca evidenzia che a seguito della nuova normativa è stata consumata sei volte più plastica di polipropilene, tessuta e non tessuta, per produrre le borse riutilizzabili; difatti la maggior parte di queste viene realizzata in polipropilene non tessuto, che non è ampiamente riciclato negli Stati Uniti e in genere non contiene materiali riciclati post-consumo. Già nel 2020 il Programma Ambientale delle Nazioni Unite aveva segnalato le problematiche legate alle borse riutilizzabili: secondo i loro studi un sacchetto di cotone dovrebbe essere utilizzato tra le 50 e le 150 volte per avere un impatto minore sui cambiamenti climatici rispetto a uno di plastica monouso. Anche l’Agenzia danese per la protezione dell’ambiente aveva espresso nel 2018 le proprie perplessità riguardo le alternative ai sacchetti di plastica: nel loro studio si afferma addirittura che un singolo sacchetto di cotone biologico dovrebbe essere riutilizzato ogni giorno per 54 anni (o circa 20.000 volte) per compensare il suo impatto ambientale. Le borse riutilizzabili rappresentano anche un rischio per la salute. Uno studio dell’Università dell’Arizona e della Loma Linda University, ha evidenziato che solo il 3% di chi le usa, le lava regolarmente. Lo stesso studio ha rilevato la presenza di batteri nel 99% dei casi. «Lo sporco rilevato è paragonabile a quello delle suole delle scarpe», ha dichiarato Ryan Sinclair della Loma Linda University School of Public Health, coautore dello studio.Secondo il Dipartimento della Salute di New York, i sacchetti che trasportano alimenti o altri oggetti possono essere contaminati con germi come E. coli o Salmonella. In questo caso il riuso tanto elogiato non è una valida alternativa al monouso in plastica.Un altro pregiudizio è l’uso dannoso della plastica per gli alimenti freschi. Un recente rapporto del Cpma (Canadian Produce Marketing Association), evidenzia un aumento di oltre il 50% degli sprechi alimentari di prodotti freschi in varie categorie e un aumento del 50% delle emissioni di gas serra lungo la catena di approvvigionamento a seguito delle misure per limitare l’uso della plastica negli imballaggi di prodotti freschi.Poi ci sono le famigerate 240.000 particelle plastiche in un litro d’acqua. Spesso le ricerche scientifiche vengono strumentalizzate. E il caso di uno studio della Columbia University che ha rilevato «240.000 nanoparticelle di polimeri plastici in un litro di acqua in bottiglia». Il paper non fa alcun riferimento a rischi per la salute umana. Le bioplastiche compostabili hanno alimentato altri pregiudizi. La narrazione degli ambientalisti è che fanno male al pianeta perché sottraggono spazio all’agricoltura. La normativa italiana da tempo ne regolamenta e ne promuove l’impiego e il riciclo insieme ai rifiuti organici. In questo modo possono essere trasformate in compost, fertilizzante naturale utilizzabile in sostituzione dei concimi chimici, in grado di apportare sostanza nutritiva ai terreni, ripristinandone la fertilità. Nel 2021 la stima dei terreni dedicati alla produzione delle bioplastiche era dello 0,01% della superficie agricola mondiale, secondo l’European Bioplastic, ossia appena 700.000 ettari. Il numero degli ettari dedicati a coltivazioni vegetali utilizzate per scopi industriali è enormemente più alto. Solo per la produzione di legname e altro, è stata destinata a livello mondiale un'area di foresta di 1,15 miliardi di ettari, ben 1.640 volte di più.Spesso viene denunciato il fatto che le bioplastiche utilizzano preziose materie prime alimentari. Il caso più citato è quello dell’amido ma si dimentica che questa materia prima viene impiegata da sempre a fini non alimentari: secondo Starch Europe, il 44% della sua produzione nella Ue è destinata a scopi industriali. Chris DeArmitt, massimo esperto di polimeri plastici, dice che siamo di fronte alla «plastifobia» e ad un’enorme copertura mediatica che «hanno distorto la nostra visione fino a renderci ossessionati dalla plastica».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/tutte-le-bugie-sulla-plastica-2667531354.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="sovrastimato-limpatto-ecologico" data-post-id="2667531354" data-published-at="1710658788" data-use-pagination="False"> «Sovrastimato l’impatto ecologico» «L’Europa doveva individuare un nemico dell’ambiente e l’ha individuato nella plastica. Ma è stato più facile intraprendere una crociata, mettendo nel mirino le imprese, piuttosto che avviare una seria campagna di educazione allo smaltimento di questa materia». Maria Claudia Lucchetti, professore di Economia circolare dell’Università di Roma3 e membro dell’Osservatorio della Plastica del Dipartimento di Economia aziendale dell’università, lancia subito una provocazione: «Un mondo senza plastica sarebbe davvero migliore?». Sarebbe migliore? A lei la risposta. «Questi materiali fanno parte della nostra quotidianità. La caratteristica principale che li rende insostituibili è la loro resistenza nel tempo per cui possono svolgere la loro funzione a lungo. I materiali non sono né buoni né cattivi, dipende da come vengono gestiti. Inoltre quello che molti non sanno è che il loro riciclo ha anche un basso costo». Alla plastica è associata spesso l’immagine delle isole di bottiglie che galleggiano negli oceani. Come la mettiamo con la sostenibilità? «Quando si parla di sostenibilità o di impatto ambientale bisogna fare una valutazione lungo l’intero ciclo di vita. I materiali plastici hanno come dote principale la leggerezza a parità di prestazioni e significa che per trasportarli occorre un minor consumo energetico». Ma nella produzione non vengono emesse sostanze nocive? «Ormai i processi produttivi sono molto controllati ed è facile eliminare le scorie. Nel valutare l’impatto di un materiale bisogna considerare la produzione, l’utilizzo, la distribuzione e il fine vita. Sono percorsi di indagine lunghi e complicati, per cui talvolta è facile considerare solo una singola fase. Il problema principale non è capire se i materiali hanno impatto maggiore o minore di altri ma capire quanti sono efficienti i processi di riciclo. Il punto debole è il comportamento del consumatore». Vuol dire che la plastica di per sé non è cattiva finché non viene gettata in mare? «La plastica siccome costa poco, stimola la logica dell’usa e getta. Il grosso problema è quello di un’educazione ambientale corretta. Andrebbe ancora di più agevolata la raccolta differenziata. In Italia ci sono diverse metodologie nelle regioni. A livello normativo c’è stata una sorta di caccia all’uomo. La Ue ha scelto la strada più facile che è il divieto. Ridurre l’impiego di prodotti monouso in linea di principio può anche essere positivo ma non sempre è sensato; occorre considerare diversi aspetti tra cui anche quelli igienico-sanitari». Prima le direttive che hanno imposto di accelerare gli standard del riciclo, ora si cambia ed è in arrivo un regolamento che impone misure più severe. Sempre peggio. Ci si dimentica dell’impatto sull’industria. «Le norme in vigore impongono alte percentuali di riciclo alle quali l’Italia si è adeguata. Ma questo sembra non bastare. Il regolamento in arrivo, non ancora definitivo, prevede che negli imballaggi ci sia una quota elevata di materiale riciclato. Questo pone un problema di disponibilità di materiali riciclati sul mercato. Poi c’è il divieto dal 2025 di materiali monouso in plastica come piatti di plastica, posate e bicchieri. Con cosa saranno sostituiti? I prodotti alternativi dovranno essere lavati e questo vuol dire usare acqua e detersivi. Non è così che si risolve il problema dell’impatto ambientale. Inoltre si pone un tema di igienicità specialmente nelle strutture sanitarie. Dovremmo dire addio anche alle attuali capsule del caffè. La plastica e l’alluminio dovrebbero essere sostituiti con materiale compostabile. Le aziende dovrebbero cambiare i macchinari produttivi, impegnando grandi risorse e i consumatori sarebbero costretti ad acquistare nuove macchine. Un dispendio di soldi inutile». Riuso o riciclo? «Non sono in contraddizione ma sono due fasi l’una successiva all’altra. Anche il riciclo chimico e quello meccanico sono due metodologie che si possono integrare. L’orientamento di vietare del tutto i materiali plastici è una follia. Significa andare a colpire un comparto industriale con ricadute enormi sull’occupazione e sulla sopravvivenza di alcune aree geografiche e industriali. E poi anche per i materiali alternativi bisognerebbe valutare l’impatto ambientale. È più facile fare allarmismo che informazione. Mancano studi seri sull’impatto ambientale dell’intero ciclo di vita dei materiali plastici. Così si sfornano provvedimenti più ideologici che con solide basi scientifiche». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/tutte-le-bugie-sulla-plastica-2667531354.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="nel-riciclo-litalia-e-allavanguardia-e-cosi-si-riducono-le-emissioni-di-co2" data-post-id="2667531354" data-published-at="1710658788" data-use-pagination="False"> «Nel riciclo l’Italia è all’avanguardia. E così si riducono le emissioni di CO2» «L’accusa da parte di Richard Wiles, del Center for Climate Integrity, che non ci sarebbe sufficiente capacità di riciclo è smentita dai numeri, in quanto in Europa, negli ultimi cinque anni, la capacità produttiva di riciclo meccanico della plastica è raddoppiata, superando ad oggi i 12,5 milioni di tonnellate. Paradossalmente oggi mancano rifiuti di buona qualità da riciclare in nuovi prodotti ed applicazioni, ma le capacità per trattarli sono già disponibili». Walter Regis, presidente di Assorimap, l’Associazione delle aziende che riciclano materie plastiche, ribadisce il ruolo strategico in un comparto sensibile dell’industria della plastica in cui l’Italia è all’avanguardia. Una crociata contro questo prodotto appare sempre più folle alla luce delle tecniche all’avanguardia nel riciclo. Quali sono le pretese dell’Europa? «La Commissione europea ha ribadito la centralità della riduzione dei gas serra per le politiche climatiche ed ambientali dell’Unione europea, raccomandando una riduzione netta delle emissioni nella misura del 90% entro il 2040, rispetto ai livelli del 1990. Un percorso che, a partire dai livelli correnti, implica per il caso italiano una riduzione draconiana delle emissioni del 25% in meno di 10 anni: dai 418 milioni di tonnellate di CO2 equivalente del 2021 ai 312 del 2030, con un calo di 106 milioni di tonnellate di CO2». E il nostro Paese cosa sta facendo? «In Italia, lo strumento chiamato a declinare questi obiettivi in policy per la decarbonizzazione è il Piano nazionale integrato per l’energia e il clima (Pniec), aggiornato nel giugno 2023 e attualmente in fase di consultazione. È evidente che proprio in questa sede andrà promosso il contributo che il riciclo meccanico delle plastiche apporta alla riduzione delle emissioni che impattano sul clima». Qual è il ruolo del riciclo? «Il riciclo della plastica appare un segmento strategico, come emerso chiaramente dal recente report del Centro comune di ricerca della Ue, che analizza i relativi effetti ambientali: il riciclo di una tonnellata aggiuntiva di plastica, in luogo di un mix di incenerimento e smaltimento, incorpora chiari benefici di mitigazione del cambiamento climatico. I risparmi emissivi oscillano tra le 1,1 e le 3,6 tonnellate di CO2 equivalente per tonnellata di rifiuto plastico, rispettivamente da quelli più contenuti per l’Ldpe a quelli più elevati del poliuretano. Sulla base delle quote di mercato dei polimeri, il beneficio medio si attesta sulle 1,9 tonnellate di CO2 equivalente per tonnellata di rifiuto plastico». Benefici per l’Italia? «A livello italiano, il beneficio annuo atteso di 7,2 milioni di tonnellate di CO2 equivalente evitate potrebbe garantire un risparmio pari a quasi il 2% delle emissioni prodotte nel Paese (pari a 374 milioni di tonnellate di CO2 equivalente secondo il Pniec). Il comparto del riciclo meccanico della plastiche è l’ovvia risposta alla gestione in un’ottica circolare del fine vita dei rifiuti di imballaggio (e non solo) delle plastiche ed una spinta forte del nostro Made in Italy verso la decarbonizzazione, quindi una doppia risposta ambientale. L’economia circolare e l’impiego di plastica riciclata assicura nuova vita a scarti e rifiuti che altrimenti verrebbero destinati a smaltimento in discarica o, nella migliore delle ipotesi, a sostituire altri combustibili fossili per produrre energia. Inoltre, il riciclo costituisce il miglior antidoto al littering, assicurando una salvaguardia più efficace dell’ecosistema marino e terrestre in cui viviamo. Il Sistema Italia ha investito 25 anni e notevoli risorse per essere eccellenza in questo settore e non intende retrocedere. Inoltre le imprese italiane ed europee operano nel mercato, in concorrenza e senza agevolazioni specifiche, dimostrando la piena sostenibilità economica». Non le sembra che la plastica sia oggetto di attenzione ossessiva da parte della Ue? «Ci sono stati interventi mirati: dalle direttive del Pacchetto Economia Circolare (2018), alla Strategia Europea per la plastica nell’economia circolare (2018), alla Direttiva Single-Use-Plastics (2019), fino alla recente proposta di Regolamento Imballaggi (2022). Se da un lato tali provvedimenti stabiliscono ambiziosi obiettivi sui tassi di riciclaggio degli imballaggi in plastica, dall’altro lato evidenziano la necessità di un rafforzamento dell’industria di questo settore».