2018-12-08
Ecco i tagli per le pensioni d’oro
ma la fregatura è su quelle basse
Le sforbiciate previste colpiranno sopra i 90.000 euro lordi annui: si va dall'8 fino al 40% per chi incassa più di 500.000 euro. Ma dietro la retorica si nasconde il blocco delle rivalutazioni già dai 2.000 lordi al mese.Il congelamento dell'indicizzazione può portare 2 miliardi nelle casse dello Stato.Lo speciale contiene due articoli.!function(e,t,s,i){var n="InfogramEmbeds",o=e.getElementsByTagName("script")[0],d=/^http:/.test(e.location)?"http:":"https:";if(/^\/{2}/.test(i)&&(i=d+i),window[n]&&window[n].initialized)window[n].process&&window[n].process();else if(!e.getElementById(s)){var r=e.createElement("script");r.async=1,r.id=s,r.src=i,o.parentNode.insertBefore(r,o)}}(document,0,"infogram-async","https://e.infogram.com/js/dist/embed-loader-min.js"); Il taglio delle pensioni d'oro sarà sicuramente un fatto (anche la Lega lo sosterrà), ma al momento resta più che altro uno slogan, soprattutto grillino. Nato dall'ispirazione di Rocco Casalino che da subito ha capito quanto agli italiani piaccia vedere puniti i più ricchi. Soprattutto quelli che a loro avviso non meritano un portafogli gonfio. Ma spesso anche quelli che invece hanno onestamente lavorato e versato i contributi. Il contratto di governo, d'altronde, lo prevede, anche se la cifra indicata è quella dei 5.000 euro netti. Così la mediazione tra Lega e 5 stelle avrebbe portato a una sorta di via di mezzo: si scende a 4.500 euro netti, importo che equivale a circa 90.000 euro lordi annui, e si parte con un taglio progressivo, equivalente all'8% della cifra eccedente i 90.000 euro fino a un imponibile di 130.000. Si passa poi a un prelievo del 12% tra i 130.000 euro e i 200.000. Sullo scaglione successivo, compreso tra i 200.000 e i 500.000, pesa un'aliquota del 16%. Si conclude infine con un prelievo del 40% dai 500.000 euro lordi annui in su. In soldoni, significa che un pensionato che riceve 10.000 euro lordi al mese ne perde 248. Si passa a circa 1.000 euro in meno al mese con un assegno di poco superiore ai 15.000. Con 24.000 euro lordi di assegni, si lascia allo Stato una cifra che si aggira sui 2.700 euro mensili e infine per chi incassa più di 38.000 euro la sforbiciata è del 40% pari a 12.600. Tanto, anzi tantissimo, ma almeno è un taglio progressivo.E così in ogni caso la propaganda è soddisfatta, sia rispetto agli impegni presi prima delle elezioni del 2018, sia - soprattutto - in vista di quelle di maggio 2019. In termini di gettito, l'operazione è però praticamente irrilevante. Innanzitutto tra i 4.000 netti e i 5.000 euro netti mensili c'è una differenza abissale. Immaginare un taglio secco sopra i 5.000 euro (circa 30.000 pensionati) comporterebbe un risparmio per lo Stato di 280 milioni all'anno (il taglio degli assegni comporta anche la rinuncia a una buona fetta di Irpef e altre tasse) e con una cifra simile non si è in grado di aumentare le minime se non di circa 15 euro al mese. Il nesso tra pensioni d'oro e minime non è stato fatto da noi, ma da Luigi Di Maio lo scorso 24 giugno. Se poi il taglio sopra i 4.500 euro sarà progressivo come prospettato in questi giorni, il gettito sarà sicuramente inferiore ai 200 milioni netti. Ecco perché tale schema, anche se si tratta di indiscrezioni, apre al vero pericolo: il taglio della rivalutazione degli assegni rispetto all'inflazione. Il primo gennaio 2019 scadrà il periodo di congelamento della rivalutazione ereditato dal governo Letta e definito da quelli Renzi e Gentiloni. Il congelamento applicato da Mario Monti è stato dichiarato illegittimo. In pratica, l'anno prossimo dovrebbero scattare gli aumenti per tutti i pensionati, portando nelle casse dello Stato un aggravio - solo per il 2019 - di circa due miliardi di euro. In pratica, si ritornerebbe al modello applicato dopo il Duemila. Il condizionale è d'obbligo: si tratta di una cifra che lo Stato non ha messo in manovra. Non risulta essere stata stanziata. Così, mentre alcuni fanno terrorismo sulle pensioni d'oro «dimezzate», il problema vero pare il blocco delle rivalutazioni. Il saggio indica la luna, lo stolto guarda il dito? In questo caso l'esempio va rovesciato. Invece di guardare la luna, i pensionati farebbero bene a soffermarsi sulle dita che impugneranno le forbici ed elimineranno gli aumenti. A quanto risulta alla Verità, il ministero dell'Economia è al lavoro per utilizzare lo stesso schema progressivo di taglio delle pensioni d'oro per ridurre gli aumenti. La soglia di partenza dovrebbe essere dai 2.000 euro lordi al mesi, e dopo i 3.500 euro lordi al mese dovrebbe implicare un «congelamento» totale delle rivalutazioni.Non è ancora dato sapere quali percentuali di mancata rivalutazione si vorranno applicare. Probabilmente da un minimo del 20% per passare a scaglioni da 40 e poi 70%. In ogni caso inferiori al taglio prodotto dai precedenti governi. Tutto è in divenire, ma il rischio di una fregatura si affaccia dietro i pacchi di Natale. Il blocco è previsto dalla legge, ma «ciò che stupisce», spiegano i rappresentanti di rimborsopensioni.it, «è il fatto che ogni provvedimento venga definito provvisorio e poi rinnovato da ciascun governo senza soluzione di continuità. Su questa base, se dovesse partire il decreto, valuteremo gli eventuali ricorsi». Alla fine i soldi mancano. E solo l'1,4% dei pensionati percepisce più di 5.000 euro al mese. Sono 33.000 in tutto. Per risparmiare una cifra che si avvicina ai due miliardi serve la massa dei pensionati. E il blocco (anche se parziale) delle indicizzazioni serve proprio a questo. I tempi sono molto stretti: se le elargizioni promesse dai 5 stelle partiranno - forse - a luglio, il congelamento scatterebbe inesorabile a gennaio.Claudio Antonelli<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/tutta-la-verita-sulle-pensioni-doro-intanto-i-tagli-sono-su-quelle-basse-2622720386.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="senza-lo-scatto-e-ladeguamento-anche-69-euro-in-meno-al-mese" data-post-id="2622720386" data-published-at="1758065764" data-use-pagination="False"> Senza lo scatto e l’adeguamento anche 69 euro in meno al mese Al momento tutti i provvedimenti sono scritti sulla sabbia. I ddl bilancio che ieri era in discussione alla Camera non contiene nulla che riguardi le pensioni d'oro. Tanto meno sulla rivalutazione degli assegni. L'anno prossimo, però, l'inflazione programmata è all'1,2% e il 31 dicembre il blocco del precedente governo non avrà più efficacia. In caso di silenzio-assenso, il governo farebbe scattare gli aumenti per tutti i pensionati. Un costo di circa due miliardi. In qualche modo, il Mef è al lavoro per limare l'esborso. Il taglio delle pensioni d'oro da solo compenserà un dieci per cento della cifra. Ecco che l'ipotesi è ripescare lo schema utilizzato dai governi di Mario Monti, Enrico Letta, Matteo Renzi e Paolo Gentiloni. Alleggerirlo e renderlo meno pesante per le pensioni più basse. Ma qui la soglia va bene inquadrata. A quanto risulta alla Verità, il blocco partirebbe dai 2.000 euro lordi al mese; circa 1.400 netti. Il mancato aumento corrisponderebbe a 4,8 euro al mese, 62 all'anno. La mancata rivalutazione, però, non si esaurisce con il 2019. Esiste infatti l'effetto trascinamento. I 62 euro in meno incassati sono persi per l'intera vita pensionistica. In pratica, se si tiene presente un'aspettativa di vita che si aggira sugli 86 anni la cifra complessiva perduta è di 1.248 euro. Se si sale si passa a mancate rivalutazioni più pesanti. Il blocco per chi incassa 2.500 euro lordi potrebbe essere del 40%, sopra i 3.000 del 70% e a partire dai 3.500 lordi mensili il mancato aumento potrebbe essere totale. Risultato? Con 2.650 euro netti al mese (equivalenti a 3.500 lordi) si perderebbero 42 euro che, trascinati per 13 mesi e per 20 anni (mediamente l'aspettativa di vita), fa una cifra di poco inferiore agli 11.000 euro. Per chi ne incassa 4.500 euro netti, la soglia da cui parte il taglio promosso da Luigi Di Maio, la mancata rivalutazione produce un effetto trascinamento di quasi 18.000 euro. Mettendo assieme questi numeri - e soprattutto i 4,8 euro al mese lordi per la massa di pensionati - si capisce come il governo possa risparmiare denaro. Non ci è dato ancora capire se la mancata rivalutazione per le pensioni d'oro andrà a sommarsi al taglio grillino. Non sappiamo se l'8% di sforbiciata sulla parte che eccede i 90.000 euro in caso di imponibile a 130.000 euro si sommerà o meno alla mancata rivalutazione. Nel caso di un assegno da 10.000 euro lordi al mese, la mancata rivalutazione varrebbe 120 euro circa. Altri 246 se ne aggiungerebbero ai 246 invocati da Di Maio. Su questo aspetto l'incertezza regna sovrana. D'altronde si tratta di ipotesi: verosimili, ma per definizione incerte. Come è incerto l'esecutivo sul tempo. Potrebbero infatti cambiare le soglie. Potrebbero essere spostate verso l'alto e poi potrebbero esserci interventi sulle percentuali di mancata rivalutazione. In ogni caso l'esigenza dello Stato ancora una volta varrebbe di più degli accordi presi con i cittadini. D'altronde, dalla sua l'esecutivo ha una recente sentenza (della scorsa estate) della Corte europea dei diritti umani. Come abbiamo più volte denunciato, le toghe di Strasburgo hanno bocciato il ricorso contro il bonus Poletti applicato dal governo Renzi dopo che la Corte costituzionale aveva bocciato il congelamento applicato da Elsa Fornero. Le motivazioni addotte? Le somme tagliate erano così basse da non intaccare lo stile di vita dei pensionati e non farli scendere sotto la soglia di povertà. Per cui, se il governo applicherà come criterio le motivazioni della Cedu i pensionati avranno poco a cui opporsi. Salvo incassare il taglio.