2024-03-30
Il liberale Tusk ci fa mettere l’elmetto: «Vicini al conflitto, l’Europa si armi»
Il premier polacco dà un’intervista a «Repubblica» dai toni preoccupanti. Ma è assurdo che l’ex eurocrate pretenda di richiamare alla realtà l’Ue, lui che da Bruxelles si preoccupò solo di conti, green e temi Lgbt.«Stiamo scivolando in una fase prebellica». Donald Tusk con l’elmetto sarebbe perfetto in un cinepanettone anni Novanta accanto a Massimo Boldi, ma ormai il ruolo dell’ex presidente del Consiglio della Ue è questo: mostrare il volto bellicoso dell’Europa in chiave anti-russa, evocare cupi scenari novecenteschi, escludere la via della pace ed esaltare il ruolo muscolare del triangolo di Weimar (lui, Emmanuel Macron, Olaf Scholz nella foto ricordo) per salvare il continente «dall’aggressività di Vladimir Putin. Se Kiev perde, nessuno potrà più sentirsi al sicuro in Europa». L’ex burosauro che fustigava l’Italia lo dice da premier polacco, a due passi dal confine con l’Ucraina (c’è da capirlo), in una lunga intervista concessa a un pool di giornali fra i quali Repubblica. Alza la voce con l’emotività del primo baluardo dell’Occidente: «Non voglio spaventare nessuno ma la guerra non è più un concetto del passato. Quando ero bambino c’era una foto in casa, mostrava la spiaggia di Sopot piena di gente che rideva. Era stata scattata il 31 agosto 1939. Una dozzina di ore dopo, a cinque km di distanza, cominciava la Seconda guerra mondiale». Se ci azzecca come fece nel 2016 con la Brexit («Non si farà perché porterebbe alla fine dell’Occidente») possiamo stare tranquilli. I toni apocalittici di Tusk derivano anche da una mera necessità di propaganda politica. Scivolato nelle retrovie il fallimentare tema del Green deal (solo in Italia se ne parla ancora con strazianti toni salvifici), l’argomento dominante per una possibile rielezione di Ursula Von der Leyen in giugno è lo spauracchio della guerra. Compattare il popolo attorno a una difesa comune con accenti da Winston Churchill nel 1940 è la strategia scoperta del polo popolare e socialdemocratico per evitare (o mitigare) una batosta nelle urne dopo un quinquennio di deliri. E allora vai col tango e con le mitragliatrici pesanti.«So che sembra devastante soprattutto per i più giovani, ma dobbiamo abituarci mentalmente all’arrivo di una nuova era. È l’era prebellica. Dobbiamo essere pronti e l’Europa ha molta strada da fare. La Polonia si prepara a investire il 4% nella difesa, se gli altri paesi arrivassero al 2% sarebbe un must», dice. Bentornato sulla Terra, quella dove la storia non è finita solo perché lo ha scritto Francis Fukuyama. E dove le priorità non sono i desideri delle minoranze Lgbtq+, non sono i cappotti alle abitazioni, non sono i centimetri dei cetrioli, le cavallette fritte e le devastazioni industriali in nome di un ritorno alla pastorizia ecologista, come in questi anni ha fatto notare anche un piccolo quotidiano italiano. Tutti sogni bagnati dell’era Tusk a Bruxelles che oggi diventano boomerang. A conferma di ciò, proprio ieri la Polonia ha ufficializzato di essere uscita dal Trattato sulle forze convenzionali nell’area Nato, per creare il più grande esercito terrestre d’Europa.Curiosa intervista quella di Tusk. Parla di errori commessi da lui come se fossero stati commessi da altri. Curiosa non solo nelle risposte, ma anche in qualche domanda. Poiché il premier polacco, a sorpresa, ha parole positive per Giorgia Meloni («Ha dimostrato di essere più europeista di quanto ci si aspettasse, la rispetto per questo e voglio lavorare a stretto contatto con lei, sto preparando una visita a Roma»), la giornalista Tonia Mastrobuoni evoca fantasiose derive autoritarie della premier, che in Italia si scaglierebbe contro cronisti, editori e magistrati a pranzo e a cena. E di fatto gli chiede se sia il caso di sedersi a tavola con un commensale simile. Il primo ministro polacco glissa con un filo di imbarazzo nella risposta perché proprio lui a gennaio, qualche settimana dopo avere vinto per un pelo le elezioni a Varsavia, ha azzerato la Tv pubblica, ha minacciato di farla fallire «se l’aria non cambia», ha licenziato intere redazioni colpevoli «di essere al soldo dei nostri avversari». Praticamente si è riconosciuto nello scenario della domanda. Tusk ha imposto il pensiero unico, con l’aggravante che in Polonia il sistema mediatico privato a garanzia del dissenso non è certo capillare come negli Stati Uniti e neppure come in Italia. Nell’area cosiddetta liberale è stato l’unico capo di un governo occidentale a farlo. Ed è passato con i cingoli sulle accuse di violare lo Stato di diritto da parte del suo stesso parlamento e dal presidente della Repubblica Andrzey Duda. Evidentemente nessuno della crème degli intervistatori di Lena (il pool ammesso alla sua scrivania) se n’è accorto. E invece le derive democratiche di Meloni, signora mia.Il Tusk pensiero è interessante perché conferma che l’Europa vista da Bruxelles è un’apparizione scomparente, un’ipotesi virtuale con priorità lunari che si sgretolano davanti agli interessi degli Stati sovrani. Lui è l’esempio plastico di questa ipocrita contraddizione. Da presidente del Consiglio dell’Unione europea, per anni ha spinto per l’abbattimento di ogni specificità nazionale in nome del superiore interesse comunitario. Di fronte al libero scambio con l’Ucraina, da premier polacco oggi dice: «Mi devo prendere cura dei miei cittadini, devo difendere gli interessi di mezzo milione di agricoltori e dei loro famigliari, tutti minacciati dalla liberalizzazione del commercio tra Ucraina e Ue». E sulle migrazioni, lui così sensibile da Bruxelles alla causa dei profughi, da Varsavia rivaluta Matteo Salvini: «Russia e Bielorussia spingono migliaia di persone al confine, siamo costretti a respingerle». Però gli dispiace.
«Murdaugh: Morte in famiglia» (Disney+)
In Murdaugh: Morte in famiglia, Patricia Arquette guida il racconto di una saga reale di potere e tragedia. La serie Disney+ ricostruisce il crollo della famiglia che per generazioni ha dominato la giustizia nel Sud Carolina, fino all’omicidio e al processo mediatico.