2023-04-29
L’«arma chimica» della Tunisia contro l’Fmi
Il presidente tunisino Kais Saied (Getty Images)
Kais Saied non vuole cedere ai «ricatti» del Fondo monetario e punta a sviluppare da solo l’industria del fosfato per stabilizzare l’economia del Paese. Ma occhio ai cinesi, pronti a monopolizzare il mercato della materia prima in tutto il Nord Africa.La Tunisia torna a guardare al fosfato. Il presidente, Kais Saied, ha auspicato un rilancio del settore come rimedio alla crisi economica che attanaglia il Paese. «Il nostro oro è sottoterra, mentre il Paese sta affrontando una difficile situazione finanziaria», ha dichiarato mercoledì il capo di Stato tunisino, riferendosi alle riserve di fosfato, nel corso di una riunione del Consiglio di sicurezza nazionale. Non è un mistero che, da quando ha effettuato il suo colpo di mano a luglio 2021, Saied attribuisca enorme importanza al settore. Ad aprile 2022, Reuters, citando un alto funzionario dell’azienda statale tunisina Gafsa Phosphate, riferì che «la produzione tunisina di fosfato è raddoppiata a 1,3 milioni di tonnellate nel primo trimestre del 2022, rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso». «Gafsa Phosphate», proseguì Reuters, «mira a produrre 5,5 milioni di tonnellate di fosfato quest’anno rispetto ai 3,7 milioni di tonnellate dell’anno scorso». La stessa fonte, nel maggio successivo, riferì che la Tunisia aveva ripreso le esportazioni di fosfato e che prevedeva di spedirne circa 300.000 tonnellate: in particolare, i Paesi interessati agli acquisti sarebbero stati Francia, Pakistan, Brasile, Indonesia e Turchia. Infine, lo scorso febbraio, la Gafsa Phosphate ha reso noto di puntare a produrre 5,6 milioni di tonnellate nel 2023. Il settore era caduto relativamente in disgrazia dopo la rivoluzione tunisina del 2011: da allora, proteste e scioperi avevano portato a una sensibile riduzione della produzione. Una situazione che ha iniziato ad essere ribaltata lo scorso anno. Saied punta molto su questo settore. Il suo obiettivo è infatti quello di far tornare la Tunisia ad essere uno dei principali produttori di fosfato al mondo, approfittando inoltre degli effetti della crisi ucraina: il fosfato viene infatti usato anche per produrre i fertilizzanti, il cui prezzo è notevolmente aumentato dopo l’invasione russa dell’Ucraina. Ma il punto è anche un altro. Saied è tornato a battere sul rilancio del fosfato più o meno mentre usciva la notizia che Bruxelles non offrirà sostegno finanziario per la stabilizzazione della Tunisia, a meno che il Fmi non conceda prima a Tunisi il prestito da 1,9 miliardi di dollari in fase di negoziazione. Il punto è che tale prestito è stato subordinato a riforme che Saied non sembra intenzionato a implementare. Risultato: la stabilizzazione finanziaria della Tunisia da parte di Fmi e Ue è rimandata a data da destinarsi. Un quadro che sta quindi portando il presidente tunisino a puntare ancor di più sul fosfato. L’aspetto preoccupante è che, con la loro linea miope, Fmi e Ue potrebbero spingere Tunisi lontano dall’orbita occidentale. La Cina ha già infatti mostrato un significativo interesse per il fosfato nordafricano. Prendiamo l’Algeria. A marzo dell’anno scorso, Pechino e Algeri siglarono un accordo dal valore di 7 miliardi di dollari nel settore dell’estrazione del fosfato: in particolare, l’intesa mirava a produrre 5,4 milioni di tonnellate di fertilizzante all’anno nella regione di Tebessa, oltre a produrre alcune migliaia di posti di lavoro. Inoltre, secondo Agenzia Nova, a inizio aprile di quest’anno il ministro dell’Energia algerino, Mohamed Arkab, ha ricevuto una delegazione della società cinese Cncec (realtà che, nel 2020, il Pentagono mise nel mirino per i suoi legami con l’Esercito popolare di liberazione): l’incontro è stato principalmente dedicato alla partnership nel settore del fosfato. Ma Pechino sta guardando anche a Rabat. Nel gennaio 2021, il gruppo statale marocchino operante nel segmento del fosfato, Ocp, avviò una joint venture con la cinese Hubei Forbon Technology, per sviluppare fertilizzanti di nuova generazione. E non è finita qui. A dicembre 2019, un consorzio formato da China State Construction Engineering Corporation e China Wengfu firmò un contratto con la società statale egiziana Phosphate Misr per la realizzazione di un impianto di acido fosforico in Egitto. «La capacità produttiva annua dell’impianto è di circa un milione di tonnellate di acido fosforico, che è la materia prima per la produzione di fertilizzanti fosfatici semplici e composti», riferì China Daily. Tra l’altro, sempre a dicembre 2019, il quotidiano Asharq al-Awsat riportò che Pechino aveva messo gli occhi anche sul fosfato tunisino. Insomma, il rischio è che, ritrovandosi di fatto abbandonato da Fmi e Ue, Saied possa prima o poi affidarsi agli investimenti cinesi per incrementare ulteriormente la produzione di fosfato. Ricordiamo che Pechino, insieme a Mosca, ha recentemente spinto affinché Tunisi entri nei Brics. Inoltre, a dicembre scorso, il presidente tunisino e Xi Jinping hanno avuto un incontro a Riad. E, durante il vertice, i due leader si sono impegnati a rafforzare le relazioni tra le rispettive nazioni. Il fosfato è quindi la fessura in cui il Dragone potrebbe progressivamente infiltrarsi nel Paese nordafricano. Il pericolo è rilevante. L’Ue e il Fmi dovrebbero capirlo urgentemente. E favorire la strategia di stabilizzazione della Tunisia, promossa dal governo italiano.