2024-07-21
Nel piano Trump per la pace territori e armi nucleari. Obiettivo contenere Pechino
Donald Trump e Volodymyr Zelensky (Ansa)
Zelensky concorda incontro con il tycoon, che vuole fermare la guerra per allontanare Russia e Cina. Non indebolirà la Nato ma pretenderà ancora più fondi dall’Europa.La tanto attesa telefonata tra Volodymyr Zelensky e Donald Trump è avvenuta. «Si è congratulato con me per la convention repubblicana. Ha condannato l’odioso tentato assassinio di sabato scorso», ha detto Trump. «Ho apprezzato che il presidente ucraino mi abbia cercato perché porterò la pace nel mondo e metterò fine alla guerra che è costata molte vite umane e ha devastato molte famiglie innocenti. Tutte e due le parti si uniranno e negozieranno un accordo che metta fine alla violenza e spiani la strada alla prosperità». A stretto giro risponde il leader ucraino su Telegram: «Abbiamo concordato un incontro per avviare le trattative di persona». Quando? Si vedrà. Nel frattempo, è bene non soffermarsi troppo sulle parole e tanto meno sui toni del tycoon se si vuole cercare di capire che cosa l’amministrazione repubblicana (in caso di vittoria) voglia fare dopo novembre. Sbaglia chi pensa che Trump voglia distruggere la Nato e offrire a Vladimir Putin il coltello dalla parte del manico. Certo la trattativa per essere definita tale va fatta al medesimo tavolo e deve prevedere cessioni da qualche parte. Ma dai retroscena della recente convention a Milwaukee emergono due spunti interessanti. Certamente la linea aggressiva verso l’Ue in termini di scelte energetiche e militari (spendere di più per stare dentro la Nato) sarà confermata. Ma è probabile che le aperture a Mosca per instaurare la pace siano da leggersi in chiave anti cinese. Uno degli obiettivi del nuovo Gop, quello uscito dalle primarie, dall’attentato a Trump e dalla scelta del vice J.D. Vance, mirerà a fare in modo che la Russia si allontani dalla sfera di Pechino. Per controllare la prima e indebolire la seconda. Tant’è che per cercare di capire che farà il nuovo Trump sarebbe il caso di mettere in fila ciò che ha fatto il vecchio.All’origine della guerra in Ucraina ci sono due fattori diversi tra loro ma con elementi in comune: forza e deterrenza. Gli elementi si chiamano energia e nucleare. Secondo molti il timore della Russia non era la Nato, ma gli Usa e l’Europa. Evidentemente Vladimir Putin aveva avuto consapevolezza prima di noi della volontà di tagliare il cordone del gas che univa Mosca al Vecchio continente.Da qui una invasione militare dell’Ucraina, con il risultato di far esplodere il bubbone ed evitare che il progetto si realizzasse in tempi ragionevoli e sostenibili per i compratori. Al di là di come sia andata effettivamente la cosa negli ultimi due anni (non sempre le guerre producono gli effetti programmati), un discorso simile vale per le testate nucleari. Il 20 ottobre del 2018 Donald Trump decise di uscire dall’accordo Inf sulla non proliferazione delle testate, firmato nel lontano 1987. La motivazione è stata di poche righe. Visto che Russia e Cina non lo rispettano, anche Washington se ne esce. La fine dell’accordo è datata 2019. Gli Stati Uniti lo fanno per tre ragioni, strettamente interdipendenti, che per convenienza analitica l’Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale) all’epoca ha definito strategiche, ideologiche e politiche. La strategia è quella che lega questa decisione alle minacce, nuove e antiche, che gli Usa devono fronteggiare. Tra le seconde vi è la rinnovata sfida di una Russia che investe nella sua risorsa fondamentale, l’arsenale nucleare, ammodernando tra l’altro la sua dotazione di missili a raggio intermedio, in probabile violazione dell’Inf. Parliamo dei famigerati missili Sarmat inaugurati da Putin proprio nel 2018. Tra le prime, vi è invece una Cina che, pur non avendo abbracciato le scelte nucleari alla pari di Mosca e Washington, molto ha investito in missili a gittata limitata, che gli Usa pensano di poter bilanciare con strumenti analoghi, meno onerosi da dispiegare rispetto a quelli trasportabili per mare o aria.«Secondo questa logica, condivisa anche da esperti altrimenti critici nei confronti di Trump, uscire dall’Inf è indispensabile per rispondere alla rinnovata minaccia cinese e russa», scriveva nel 2019 sempre l’Ispi. A ciò si aggiungeva l’ideologia, incarnata dall’ex consigliere per la Sicurezza nazionale, John Bolton, da decenni critico feroce degli accordi stipulati dagli Usa in materia di armamenti. Bolton denunciava l’accettazione della deterrenza come una inaccettabile cessione di sovranità: come un vero «tradimento perpetrato da chi accetta dolosamente di porre gli Usa in una condizione di rischio esistenziale». Insomma, quella scelta di ormai sei anni fa non è per nulla da sottovalutare. Primo, perché ha creato un effetto cascata che ha cambiato i rapporti con l’Iran e ha modificato gli equilibri di forza tra Est e Ovest. Secondo, perché è esattamente il punto di partenza del ruolo del Trump bis, nel caso ovviamente venga eletto a novembre. È chiaro che all’epoca Trump fosse convinto di fare subito il secondo mandato. E il Pentagono non aveva previsto la svolta di Joe Biden a favore dell’Iran e contro l’Arabia Saudita. Oggi però, e alla luce di quanto è successo, il probabile trattato di pace in Ucraina metterà sulla bilancia il territorio ucraino e l’arsenale russo nucleare. Questa sarà probabilmente la materia di scambio. A quel punto per Trump sarà più semplice cercare di interrompere la grande crescita delle relazioni economiche tra Russia e Cina. Tornando a rifornire la prima di tecnologia e cercando probabilmente accordi di spartizione in Africa. A discapito di Pechino. Taiwan sarà un altro tema. Molto più complesso per via dei dazi e delle barriere doganali. Un riequilibrio non facile da gestire per chi starà in mezzo: l’Europa.
Jose Mourinho (Getty Images)