
Insieme con altra letteratura religiosa sono state rimosse dall'elenco degli articoli che dovranno affrontare la sovrattassa del 10%. Da Pechino il 65% delle importazioni Usa del settore (92 milioni di dollari). Plauso degli evangelici, ma resta il balzello sui rosari.Il presidente Donald Trump tira dritto sulla guerra commerciale alla Cina. Ma, se la Bibbia ne resta fuori, il rosario no. La stretta tariffaria americana del 10% su circa trecento miliardi di dollari di prodotti d'importazione cinese si avvicina. E, in questo senso, l'Ufficio del rappresentante commerciale degli Stati Uniti ha recentemente pubblicato due liste: una, contenente i prodotti che saranno colpiti dai dazi a partire da settembre, e un'altra con le tariffe che sono per ora state rimandate al prossimo 15 dicembre. Il tutto, precisando che «alcuni prodotti sono stati rimossi dall'elenco delle tariffe sulla base di salute, sicurezza, sicurezza nazionale e altri fattori». Nessuno dei due elenchi include la Bibbia. È stato del resto lo stesso Ufficio del rappresentante commerciale a precisarlo alla testata Christian Today: «Le Bibbie e altra letteratura religiosa sono tra gli articoli rimossi dall'elenco dei prodotti che dovranno affrontare tariffe aggiuntive del 10%».La notizia è stata accolta con favore da numerosi ambienti cristiani americani che, nei mesi scorsi, avevano temuto conseguenze negative dalle tensioni commerciali in atto tra Washington e Pechino. Anche perché, lo scorso maggio, le Bibbie e altri testi religiosi stampati in Cina erano stati inseriti nei prodotti soggetti a dazi: prodotti per un totale di quasi novantadue milioni di dollari (pari al 65% di tutte le importazioni americane del 2018 nel settore).La Cina figura infatti tra i maggiori editori biblici al mondo, soprattutto con la Amity press, che - con sede a Nanchino - dal 1987 ha stampato circa due milioni di Bibbie all'anno, stringendo anche una partnership con le United bible societies. In particolare, la Amity risulta concentrata sulla distribuzione di Bibbie e altri testi spirituali tra le chiese e le congregazioni cinesi. Nonostante i problemi, qualcosa sta d'altronde lentamente cambiando nella Repubblica popolare sul fronte religioso: basti rammentare, sotto questo aspetto, l'accordo tra Vaticano e Cina sulla nomina dei vescovi, siglato nel settembre del 2018. Come che sia, i collegamenti cinesi con gli universi editoriali internazionali non mancano. Si pensi, per esempio, che la Harpercollins christian publishing sostenga circa tre quarti dei propri costi di produzione in Cina.In questo senso, lo scorso giugno, i principali editori di letteratura cristiana si erano rivolti alla United States international trade commission, proprio per chiedere delle esenzioni dalle tariffe, annunciate dalla Casa Bianca. Il timore era infatti che le nuove tensioni commerciali con Pechino potessero portare a una cosiddetta Bible tax. Nel corso dell'audizione davanti alla commissione, il ceo di Harpercollins christian publishing, Mark Schoenwald, paventò un aumento dei costi e una riduzione dei volumi di vendita. Una linea, in buona sostanza sposata anche da Stan Jantz, presidente dell'Evangelical christian publishers association. In particolare - secondo costoro - soltanto la Repubblica popolare disporrebbe delle tecnologie adeguate per la complessa realizzazione delle Bibbie. Un fattore, in virtù di cui circa il 75% di esse sarebbe oggi stampato proprio in Cina.Il fatto che la Bible tax sia stata scongiurata ha suscitato il plauso di molti esponenti religiosi americani: a partire da Russell Moore, presidente della Southernbaptist convention's ethics and religious liberty commission, e da Ben Mandrell, presidente di Lifeway christian resources, che hanno pubblicamente elogiato la mossa dell'amministrazione Trump. Se il mondo evangelico tira, insomma, un sospiro di sollievo, un po' meno soddisfatti potrebbero rivelarsi i cattolici. Come riporta Reuters, rosari e altri articoli religiosi importati dalla Cina continueranno infatti ad essere soggetti alle tariffe americane, che entreranno in vigore il prossimo settembre. Si tratta di un giro d'affari non irrilevante: si pensi che circa il 60% delle importazioni statunitensi di questi oggetti religiosi provenga dalla Cina, per un valore complessivo di 11 milioni di dollari nel 2018.È chiaro che, evitando la Bible tax, Trump stia puntando a mantenere la presa su un bacino elettorale per lui fondamentale: quello degli evangelici. Nonostante un tempo questo mondo non lo amasse troppo, il magnate è man mano riuscito a conquistarselo, abbracciando la battaglia antiabortista, nominando giudici tendenzialmente conservatori e proponendosi come strenuo difensore del primo emendamento (che garantisce la libertà di religione e di parola). Una strategia ben congegnata, che ha attirato a Trump l'endorsement di importanti leader evangelici, come Jerry Falwell Jr. In particolare, un punto di riferimento per queste galassie nell'attuale amministrazione americana risulta da sempre il vicepresidente, Mike Pence. Nel 2016, Trump ottenne circa l'81% dei consensi tra gli elettori evangelici bianchi, conquistando invece circa il 56% dei cattolici bianchi. E, in vista delle presidenziali del 2020, è impellente per il magnate cercare di replicare (e magari migliorare) questi numeri.
13 ottobre 2025: il summit per la pace di Sharm El-Sheikh (Getty Images)
La quiete in Medio Oriente non placa gli animi dei commentatori nostrani, che ora screditano gli accordi ispirati da Trump per l’assenza di donne ai tavoli negoziali: «Hanno più sensibilità dei maschi». Eppure la von der Leyen dimostra il contrario.
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C’è un filo che attraversa il tempo, invisibile e tenace che unisce le donne di ieri a quelle di oggi. È la trama di storie che non chiedono concessioni, ma riconoscimento. Di gesti che cambiano le cose senza bisogno di clamore. Di intelligenze che innovano, di passioni che costruiscono. Da questo filo è nata Valore Donna, uno spazio dove le donne non sono semplicemente «raccontate», ma anche e soprattutto ascoltate.
In un mondo che ancora fatica a dare piena cittadinanza alla voce femminile, questa rivista è un atto di presenza, che ho fortemente voluto, con l’intenzione di restituire visibilità e valore alle donne che ogni giorno, in silenzio o sotto i riflettori, trasformano il mondo in cui vivono.
Quelle che fondano imprese e reinventano modelli economici, che fanno ricerca, innovano nelle professioni, guidano comunità e progetti sociali. Quelle che mettono la competenza al servizio dell’impegno civile, che difendono i loro diritti, che si fanno portavoce di una nuova idea di leadership: inclusiva, empatica, concreta. Non a caso in questo numero è stato dato largo spazio al premio Donna d’autore, promosso dall’A.i.d.e. (Associazione indipendente donne europee) e in modo particolare alla sua entusiasta presidente Anna Silvia Angelini, perché le premiate rappresentano in maniera evidente i modelli di Valore Donna, dove ogni pagina è una finestra aperta su storie di talento, coraggio e visione. Non ho voluto costruire solo un racconto di unicità, ma anche restituire la normalità della grandezza femminile: donne che riescono, che sbagliano, che ricominciano, che costruiscono futuro. La loro forza non è un’eccezione, ma una presenza quotidiana che Valore Donna vuole portare alla luce, con impegno, rispetto e franchezza. Questo progetto editoriale inoltre ha nel suo dna un’idea di qualità come responsabilità: nella scrittura, nelle immagini, nella scelta dei temi. Ogni contributo è frutto di una ricerca attenta, di un linguaggio curato e di una sensibilità che si sforza di vedere il mondo con occhi diversi. Dando spazio a voci nuove, a imprenditrici, giornaliste, intellettuali, professioniste, donne della politica, giovani, donne che operano nel terzo settore, donne che collaborano, si sostengono e che raccontano la realtà contemporanea senza filtri, con l’autenticità di chi la vive pienamente. Perché solo rinnovando lo sguardo si può cambiare la prospettiva. Valore Donna vuole essere una rivista che lascia un’impronta nel panorama editoriale del Paese, un luogo d’incontro tra generazioni, esperienze e linguaggi. Non un manifesto ideologico, ma un laboratorio vivo, dove la libertà di pensiero e la sensibilità estetica si intrecciano. Nel racconto di queste pagine c’è l’orgoglio delle donne che sognano e nello stesso tempo si impegnano non per rivendicare uno spazio, ma per abitarlo con la pienezza di chi sa di meritarlo. Perché il futuro si scrive soprattutto con le loro voci.
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