
Incurante del possibile impeachment, l'ex tycoon svela il contenuto del colloquio col presidente ucraino. La messa in stato d'accusa può essere un boomerang per i suoi avversari e portare consensi a The Donald.Donald Trump rischia di essere messo in stato d'accusa. L'altro ieri, la speaker della Camera, Nancy Pelosi, ha annunciato l'avvio di un'indagine formale per impeachment contro l'inquilino della Casa Bianca. Alla base di tutto sta la controversa telefonata in cui, lo scorso luglio, Trump ha chiesto al presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, di mettere sotto inchiesta Hunter Biden, figlio di Joe Biden, ex vicepresidente americano e attuale candidato alla nomination democratica. «Le azioni del presidente hanno violato la Costituzione. Nessuno è al di sopra della legge», ha tuonato la speaker della Camera. Dura la replica di Trump, che ha dichiarato: «Sarà un aiuto per la campagna elettorale. Un giorno di successi all'Onu è stato rovinato dalla spazzatura dei democratici. È una caccia alle streghe». Intanto ieri il presidente ha diffuso la trascrizione della telefonata, da cui emerge come in effetti abbia chiesto al suo omologo ucraino di indagare sul figlio di Biden. «Si parla molto del figlio di Biden, che Biden ha fermato l'accusa, e molte persone vogliono scoprirlo. Quindi qualunque cosa tu possa fare con il procuratore generale sarebbe grandiosa. Biden», vi si legge, «è andato in giro vantandosi di aver fermato l'accusa, quindi se puoi esaminarlo. Mi pare orribile». Non emergono invece minacce sul taglio degli aiuti economici a Kiev, come riportato dalla stampa nei giorni scorsi. Quanto alla frase «fammi un favore», ieri riportata con grande evidenza dai siti, si riferisce a un «favore» chiesto per scoprire cosa fosse successo con la società informatica che ha aiutato a indagare sulle interferenze russe del 2016. Tutt'altra questione, quindi. La commissione giudiziaria della Camera dei rappresentanti dovrà adesso condurre indagini, per stilare i capi d'imputazione contro il presidente. Successivamente sarà la Camera in plenaria che deciderà - a maggioranza semplice - se istruire il processo di messa in stato d'accusa. In caso di via libera, la palla passerà al Senato, che dovrà occuparsi di giudicare il presidente. Per emettere un verdetto di colpevolezza qui è richiesta una maggioranza qualificata, pari ai due terzi dei voti. Si tratta di una soglia difficilmente raggiungibile. Non a caso, i due processi di impeachment presidenziali che gli Stati Uniti hanno sino ad oggi conosciuto (Andrew Johnson nel 1868 e Bill Clinton nel 1999) non si sono conclusi con la rimozione del presidente in carica. In questo senso, è chiaro che la nuova iniziativa dei democratici rischi di rivelarsi in salita: un elemento di cui la stessa Nancy Pelosi è consapevole. Non sarà del resto un caso che la speaker si sia per mesi detta contraria alla via dell'impeachment, nonostante le pressioni provenienti da alcuni settori del suo partito. Sennonché la questione ucraina ha incrementato queste stesse pressioni, portando la Pelosi - seppur obtorto collo - a cedere. I nodi non sono tuttavia pochi. In primo luogo, si riscontra un problema di numeri parlamentari. Sebbene detengano la maggioranza alla Camera, i democratici sono minoranza al Senato. E anche qualora dovesse esserci qui qualche defezione repubblicana, arrivare al fatidico quorum dei due terzi risulterebbe un'impresa quasi impossibile. Tanto più che molti senatori repubblicani stanno già facendo quadrato attorno al presidente. In secondo luogo, bisogna fare attenzione al precedente storico di Bill Clinton, che - secondo Gallup - avrebbe conseguito da presidente il massimo della popolarità proprio nelle settimane in cui fu messo in stato d'accusa. In questo senso, Trump sta puntando a cavalcare la questione dell'impeachment, con l'obiettivo di ritorcerla contro i democratici, rinverdendo al contempo la sua classica strategia da John Wayne: l'uomo solo che si batte contro tutti. Una strategia che, alle presidenziali del 2016, si dimostrò vincente. Inoltre emerge un paradosso. Trump viene tacciato di essersi servito della propria autorità per un tornaconto personale e, con ogni probabilità, verrà formulata l'accusa di abuso di potere (come accaduto a Nixon nel 1974). Senonché una simile mossa rischia di rivelarsi un autogol, perché anche Joe Biden, da vicepresidente, si comportò di fatto allo stesso modo. È stato del resto proprio lui a raccontare pubblicamente che, nel marzo del 2016, spinse l'allora presidente ucraino, Petro Poroshenko, a silurare il procuratore generale, Viktor Shokin, minacciando di bloccare un miliardo di dollari di aiuti economici a Kiev. Shokin in quel periodo stava conducendo un'inchiesta per corruzione su una società energetica ucraina, Burisma Holding, nel cui consiglio d'amministrazione sedeva proprio Hunter Biden. Quest'ultimo era entrato nella società a maggio 2014, nelle stesse settimane in cui suo padre veniva nominato da Obama figura di collegamento tra Kiev e Washington. È vero che, come sostiene Joe Biden, Shokin fosse un personaggio controverso, di cui molti all'epoca richiedevano la rimozione. Resta tuttavia il fatto che Biden, da vicepresidente, quelle pressioni per cacciarlo le abbia esercitate mentre il procuratore indagava sull'azienda in cui lavorava Hunter. Insomma, la differenza tra il comportamento di Trump e quello di Biden francamente sfugge. E un eventuale impeachment rischia dunque di avere ripercussioni sulla campagna elettorale dell'ex vicepresidente, che si porta dietro anche altri sospetti di conflitto di interessi. Infine, quello che non si capisce della mossa di Nancy Pelosi è la fretta. Perché annunciare l'indagine per impeachment poche ore prima di conoscere la trascrizione della controversa telefonata con Zelensky? E, soprattutto, perché annunciarla due giorni prima della testimonianza alla Camera sulla questione ucraina del Director of National Intelligence, Joseph Maguire? In fondo, l'esplosione dell'Ukrainegate è avvenuta soltanto una settimana fa. Non valeva la pena di attendere qualcosa di più concreto prima di azzardare un passo così importante? Possibile che una donna politicamente esperta come la Pelosi non si accorga di una stranezza simile? E se dietro questa indagine per impeachment si celasse un regolamento di conti tra le correnti del Partito democratico? Non è che, insomma, la speaker voglia accontentare con l'impeachment le frange più radicali del suo schieramento con l'unico intento di mandarle a sbattere?
Sébastien Lecornu (Ansa)
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