2023-08-18
Macché Trump, i collusi con Mosca erano i tifosi del Russiagate
L'ex agente dell'FBI Charles McGonigal (Getty Images)
A innescare, nel 2016, l’indagine contro il tycoon fu proprio l’ex agente Fbi arrestato per i soldi ricevuti dall’oligarca Deripaska.Che l’indagine contro Donald Trump sul Russiagate fosse ormai caduta in discredito, era noto da tempo. Pubblicato nel 2019, il rapporto del procuratore speciale, Robert Mueller, non era infatti riuscito a dimostrare alcuno sforzo coordinato tra il Cremlino e il team del magnate newyorchese per interferire nelle presidenziali del 2016. In secondo luogo, un altro procuratore speciale, John Durham, ha pubblicato a maggio un report, in cui sono state presentate tutte le storture di cui l’Fbi si è macchiato nei confronti dello stesso Trump in riferimento alla sua presunta collusione con Mosca. Ma adesso è emerso un ulteriore «dettaglio». L’allora agente del Bureau che de facto innescò la prima (e assai controversa) indagine su Trump e la Russia, chiamata Crossfire Hurricane, si è dichiarato colpevole di riciclaggio di denaro e associazione per delinquere finalizzata alla violazione dell’International Emergency Economic Powers Act. Parliamo dell’ex capo del controspionaggio dell’Fbi di New York, Charles McGonigal, che è finito nel mirino degli inquirenti per aver collaborato con Oleg Deripaska: oligarca russo, vicino a Vladimir Putin e colpito da sanzioni statunitensi nel 2018 (ai tempi, cioè, dell’amministrazione Trump). In particolare, McGonigal ha ammesso di aver preso oltre 17.000 dollari per aiutare Deripaska a raccogliere informazioni compromettenti su un oligarca russo suo rivale. Inoltre, secondo gli inquirenti, l’ex agente si sarebbe attivato per far sì che lo stesso Deripaska fosse rimosso dalla lista degli oligarchi sanzionati dagli Usa. McGonigal, che aveva guidato il controspionaggio dell’ufficio newyorchese del Bureau dal 2016 fino al suo pensionamento nel 2018, era stato incriminato a gennaio dal Dipartimento di Giustizia.I reati di cui è accusato risalgono al 2021, successivamente quindi al suo addio al Bureau. «In qualità di funzionario dell’Fbi, McGonigal aveva contribuito a indagare su Deripaska e altri oligarchi russi. Nel 2018, mentre prestava servizio come agente speciale, McGonigal ha ricevuto un elenco allora riservato di oligarchi russi con stretti legami con il Cremlino che sarebbero stati presi in considerazione per sanzioni. Nel 2021, McGonigal ha tramato per fornire servizi a Deripaska, in violazione delle sanzioni statunitensi imposte a Deripaska nell’aprile 2018», ha affermato il Dipartimento di Giustizia. Proprio McGonigal risultò una figura chiave nell’apertura di Crossfire Hurricane. A rivelarlo fu, in una deposizione al Senato nel settembre 2020, il Deputy Assistant Director dell’Fbi Jonathan Moffa. Costui raccontò che, nel luglio 2016, era stato McGonigal a inviargli via email un «rapporto» che «poi servì come base per aprire il caso». Crossfire Hurricane fu avviata il 31 luglio 2016 e si protrasse fino a maggio 2017, quando venne inaugurata l’indagine di Mueller che si sarebbe conclusa a marzo 2019. Inoltre, secondo documenti resi pubblici dal Senato, McGonigal inviò a marzo 2017 un messaggio, in cui scriveva: «Il nostro team sta attualmente parlando di Russia con CP». Il riferimento era a Carter Page: allora consigliere di Trump che era stato messo sotto sorveglianza dall’Fbi. Come sottolineato da Durham nel suo report, i mandati di sorveglianza per Page furono ottenuti dai federali facendo leva sul dossier dell’ex spia britannica, Christopher Steele: documento largamente infondato e in gran parte finanziato dal comitato elettorale di Hillary Clinton. Non solo. Una delle principali fonti del dossier era Igor Danchenko: figura che lo stesso Fbi aveva messo sotto indagine tra il 2009 e il 2011 per sospetti legami con i servizi russi. «Sembra che l’Fbi non abbia mai preso in considerazione la possibilità che le informazioni di intelligence che Danchenko stava fornendo a Steele [...] fossero tutta o in parte disinformazione russa», si legge nel rapporto di Durham. Lo stesso Durham, pur riconoscendo che ci fossero gli estremi per un’inchiesta preliminare, ha stabilito che, sulla base delle scarse prove rinvenute, Crossfire Hurricane non avrebbe dovuto trasformarsi in un’indagine vera e propria. Ma non è finita. Nel 2019, il New Yorker riferì di legami tra Steele e Deripaska, scrivendo: «Deripaska [...] aveva assunto uno studio legale americano, che a sua volta aveva assunto Steele, per aiutarli a rintracciare milioni di dollari che l’oligarca credeva gli fossero stati rubati da Paul Manafort, un ex socio in affari di Deripaska che stava per diventare il manager della campagna presidenziale di Trump». Manafort è stato incriminato da Mueller e condannato nel 2018 in Virginia per vari reati: reati che, come riportato all’epoca dalla Pbs, non erano tuttavia correlati alla sua attività nella campagna di Trump (Manafort ne fu manager tra giugno e agosto 2016). Infine, secondo Durham, Danchenko aveva rapporti anche con l’ex consigliere della Clinton, Charles Dolan, che intratteneva legami col Cremlino e che figurò tra le fonti del dossier di Steele. Insomma, se c’è qualcuno che si è macchiato di collusione con i russi, quel qualcuno non sembra essere Trump.