
Alla faccia di chi dava la Casa Bianca in fuga, Washington piomba nel caos di Tripoli e tratta direttamente con Khalifa Haftar per dargli più potere economico in cambio dello stop agli scontri. Emmanuel Macron si scopre il terzo incomodo, mentre l'Italia rimane latitante.Gli scontri in Libia proseguono senza sosta. Su chi sia effettivamente in vantaggio è difficile fare previsioni. Ciascuno tira acqua al proprio mulino e diffonde comunicati ad hoc. Secondo Al Jazeera il generale della Cirenaica, Khalifa Haftar avrebbe schierato ieri pomeriggio la «brigata salafita Subul Salam» di Kufra e avrebbe ordinato di «unirsi alla battaglia per Tripoli». La stessa emittente avrebbe specificato che la milizia - accusata di «tratta di esseri umani» - è guidata «dall'estremista Abdul Rahman Hashem». Secondo il The Libya Observer, le forze fedeli al governo di concordia nazionale avanzano invece nelle zone di Wadi Rabia, Qaser Bin Ghashir, Ain Zara e Twaisha, a sud di Tripoli. Le forze aeree della Tripolitania avrebbero bombardato per l'intera giornata di ieri la base aerea di Al Wattiya vicina al confine con la Tunisia. Insomma, sembra che il governo di Tripoli abbia trovato nuove forze per lanciare il contrattacco. Anche se è presto per tracciare sul terreno nuove linee di confine.I sostenitori di Haftar spiegano che le sue milizie hanno percorso migliaia di chilometri per arrivare alla periferia della capitale, tanto da non essere disposte ad arrendersi a un passo dagli edifici governativi. Le intenzioni non sempre però corrispondono alla realtà dei fatti. Il capo di Bengasi sa di non essere in grado di dare la spallata e soprattutto ha compreso che nelle ultime ore le cose sono cambiate. Venerdì il presidente Donald Trump ha avuto un colloquio telefonico con Haftar per discutere gli sforzi antiterrorismo in corso e la «necessità di raggiungere la pace e la stabilità». A spingere per la telefonata sarebbe stato il numero uno egiziano Abdel Al Fattah Al Sisi, a seguito di un veloce viaggio a Washington. Il colloquio sembra già aver prodotto i primi frutti. La coalizione pro Bengasi ha compreso che per avere il sostegno pieno degli Usa (i quali a breve riapriranno il proprio desk d'intelligence sul territorio libico) non deve tirare troppo la corda, e di conseguenza non deve favorire la rioccupazione dell'area centrale del Paese da parte di forze incontrollabili, legate agli ambienti del Daesh e finanziate da interlocutori legati al Qatar e alla Turchia. L'Europa d'altro canto, pur spezzata in varie fazioni, non sembra disposta ad abbandonare il governo di Fayez Al Serraj, e dunque lo scontro militare rischia di protrarsi senza portare a benefici concreti. Dal canto suo Haftar non è in grado di garantire la stabilità sul lungo termine: l'età avanzata, unita alla mancanza di un delfino, dimostrano che anche se conquistasse Tripoli lo status quo durerebbe pochi anni. Ciò che veramente la Cirenaica sta cercando è l'accesso al board del fondo sovrano Lia e alle scorte di dollari della Noc, compagnia petrolifera nazionale. Insomma, Haftar vuole le chiavi della cassaforte. L'intervento di Trump spinge in questa direzione. Gli Usa sanno che il momento delle elezioni è ancora lontano e bisognerà arrivarci avendo già assegnato seggi, ministeri e poltrone. È l'unico modo per riconoscere ad Haftar il proprio posto al sole. Per arrivare a una soluzione diplomatica, la Casa Bianca ha fatto anche una serie di pressioni nei confronti della Francia. Trump vuole che Emmanuel Macron si riallinei a una posizione più europeista. Potrebbe sembrare un paradosso, ma gli Usa hanno capito che la partita libica va gestita in modo diverso rispetto ai temi commerciali e alle partite valutarie. Meno divisioni ci sono, meglio è.Permettere che il Qatar abbia troppa influenza sull'Italia e la Francia dialoghi in via preferenziale con l'Egitto significherebbe rendere il Mediterraneo ancora più instabile. Obbligando di conseguenza gli Stati Uniti a un ingresso diretto nella diatriba, con la conseguente perdita di ruolo da arbitro super partes. Sul fronte italiano vale la pena ricordare la telefonata tra Trump e Giuseppe Conte, sebbene abbia ancora per un po' relegato l'Italia su un piano di serie B. E soprattutto la svolta inaspettata di un osservatore politico fino troppo schierato con Parigi. Ieri in una intervista a Maria Latella su Sky, Enrico Letta ha detto la sua. La Francia ha sbagliato sostenendo Haftar, il quale è un impresentabile. Se la sponda francese in Italia e il tramite tra Parigi e la politica legata a doppio filo con Sergio Mattarella inizia a sterzare, significa che stavolta Macron l'ha proprio fatta grossa e si trova senza sponde ideologiche. Dovrà ritirare il sostegno militare e richiamare le numerose cellule di intelligence? Alla faccia di tutti coloro che avevano già dato per scontato il disimpegno americano.
Cristiano d'Arena (foto da Facebook)
È Cristiano D’Arena l’ultimo nome finito nell’inchiesta di Brescia: avrebbe venduto a Venditti e Mazza vetture a prezzi bassi in cambio di accordi per favorire un’altra sua società monopolista nel settore delle intercettazioni.
Il supporto tecnico per le intercettazioni, le auto in leasing per la Procura e il ristorante che era diventato il punto di ritrovo della «Squadretta» di investigatori che lavoravano a stretto contatto con l’ex procuratore aggiunto di Pavia, Mario Venditti, e con il sostituto Paolo Pietro Mazza (ora in servizio a Milano). Nell’inchiesta bresciana sulla presunta corruzione dei due magistrati ricorrono i nomi delle società del gruppo imprenditoriale riconducibile a Cristiano D’Arena, titolare della Esitel, monopolista, per molti anni, delle intercettazioni per la Procura di Pavia (comprese quelle del fascicolo del 2017 su Andrea Sempio per il delitto di Garlasco), alla guida della Cr Service che aveva fornito le vetture per le indagini e ospitale gestore del ristorante.
Luca Palamara (Ansa)
La nostra intervista ad Amara mette sotto i riflettori le azioni dei pm. Che così si mobilitavano per pilotare i giornali.
L’intervista rilasciata a questo giornale da Piero Amara ha fatto rumore. Le parole dell’ex legale sulla conduzione delle indagini nell’inchiesta per corruzione (che corruzione non era) nei confronti di Luca Palamara hanno innescato un comunicato dei legali dell’ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati. Gli avvocati, Benedetto Buratti e Roberto Rampioni, dopo avere letto La Verità, hanno annunciato un esposto «per accertare la correttezza dell’operato del pubblico ministero sulla vicenda Palamara».
Ansa
Volkswagen taglia 30.000 posti in Germania e sposta la produzione e lo sviluppo tecnologico più avanzato delle elettriche in Asia. Intanto Rheinmetall smobilita dai siti italiani (Toscana e Abruzzo) che realizzano componenti per vari tipi di veicoli.
Mentre a Belém inizia lo stanco rito della COP (la numero 30), con il consueto corollario di allarmi sulla fine del mondo, in Europa la transizione green prosegue la sua opera di deindustrializzazione e di annientamento del lavoro. Le grandi case automobilistiche, in difficoltà, tagliano l’occupazione e delocalizzano, mentre il governo tedesco, con i consueti magheggi contabili, corregge le politiche climatiche che aveva sbandierato come irreversibili.
Ursula von der Leyen (Ansa)
S&D: «Modifiche di facciata». Carlo Fidanza: «Inaccettabile». Coldiretti: «Fuori dalla realtà».
Dopo la lettera con richiesta di retromarcia, firmata dai capigruppo dei 4-5 partiti che sostengono la sua maggioranza, Ursula von der Leyen tenta di ricomporre l’equilibrio politico attorno al nuovo Quadro finanziario pluriennale dell’Unione europea, ma la mossa sembra aver prodotto l’effetto opposto: le modifiche introdotte per andare incontro alle richieste dei gruppi parlamentari hanno finito per irritare quasi tutti.






